6.1. Legislazione europea
Diverse norme europee si occupano della disciplina delle emissioni in atmosfera. In particolare, è possibile distinguere, da un lato, la disciplina delle emissioni industriali, e, dall’altro, la disciplina relativa alla qualità dell’aria ambiente, cui si aggiungono ulteriori norme più specifiche (ad esempio con riferimento ai cambiamenti climatici o a particolari tipi di inquinanti). Per quanto riguarda la disciplina delle emissioni provocate dagli impianti industriali, il riferimento fondamentale è la direttiva 2010/75/Ue, cosiddetta direttiva Ied (industrial emissions directive) la quale detta, in particolare, norme relative a:
- installazioni che esercitano le attività di cui all’allegato I della direttiva stessa, le cosiddette attività Ippc;
- grandi impianti di combustione;
- impianti di incenerimento e coincenerimento rifiuti;
- installazioni che utilizzano solventi organici;
- installazioni che producono biossido di titanio.
Per un approfondimento circa la direttiva Ied e la disciplina relativa si rimanda al capitolo 2. Per quanto riguarda, invece, le norme in materia di qualità dell’aria ambiente, i principali riferimenti sono:
- la direttiva 2008/50/Ce relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa[1] - la quale ha accorpato in un unico testo legislativo alcune preesistenti direttive in tema di qualità dell’aria e limitazione delle emissioni[2];
- la direttiva 2004/107/Ce, concernente l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi aromatici nell’aria ambiente.
Nella direttiva 2008/50/Ce la valutazione e la gestione della qualità dell’aria avviene per zone e agglomerati, istituiti dagli stati membri sul proprio territorio. Più precisamente, per zona si intende «una parte del territorio di uno stato membro da esso delimitata, ai fini della valutazione e della gestione della qualità dell’aria»[3] mentre un agglomerato è una «zona in cui è concentrata una popolazione superiore a 250.000 abitanti o, allorché la popolazione è pari o inferiore a 250.000 abitanti, con una densità di popolazione per km2 definita dagli stati membri»[4]. Ciò premesso, passando ad analizzare sinteticamente le principali previsioni della direttiva, rilevano obiettivi di qualità dell’aria ambiente con lo scopo di «evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso» (art. 1, comma 1, n. 1). A questo fine sono identificate diverse tipologie di valori limite e livelli di soglia che, se superati, comportano l’obbligo per gli stati membri di adottare misure di miglioramento della qualità dell’aria ambiente. Per maggiore chiarezza, uno schema riassuntivo dei diversi valori/parametri di riferimento utilizzati dalla direttiva è riportato nella tabella 1.
Tabella 1
Definizioni
Valore limite | Livello fissato in base alle conoscenze scientifiche al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e/o per l’ambiente nel suo complesso, che deve essere raggiunto entro un termine prestabilito e in seguito non deve essere superato. |
Livello critico | Livello fissato in base alle conoscenze scientifiche al di sopra del quale vi possono essere effetti negativi diretti su recettori quali piante, alberi o ecosistemi naturali, esclusi gli esseri umani. |
Valore-obiettivo | Livello fissato al fine di evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e/o per l’ambiente nel suo complesso, da conseguirsi, ove possibile, entro un termine prestabilito. |
Soglia di allarme | Livello oltre il quale vi è un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata della popolazione nel suo insieme e raggiunto il quale gli stati membri devono adottare provvedimenti immediati. |
Soglia
di informazione |
Livello oltre il quale vi è un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata per alcuni gruppi particolarmente sensibili della popolazione e raggiunto il quale sono necessarie informazioni adeguate e tempestive. |
Obiettivo a lungo termine | Livello da raggiungere nel lungo periodo, salvo quando ciò non sia realizzabile tramite misure proporzionate, al fine di garantire un’efficace protezione della salute umana e dell’ambiente. |
In particolare, gli stati membri devono assicurare che non siano superati i valori limite di biossido di zolfo, biossido di azoto, PM10, PM2,5, piombo, benzene e monossido di carbonio previsti all’allegato XI[5] e provvedono affinché siano rispettati i livelli critici di cui all’allegato XIII[6]. Secondo quanto disposto dall’art. 23 della direttiva, se in determinate zone o agglomerati i livelli di inquinanti presenti nell’aria ambiente superano un valore limite o un valore-obiettivo, gli stati membri sono tenuti a predisporre dei piani che prevedano l’implementazione di misure idonee a garantire il raggiungimento di tali valori (che possono anche essere misure previste all’art. 24, di cui di seguito)[7]. Quando, invece, vi sia il rischio che siano superate le soglie di allarme[8], gli stati dovranno elaborare piani d’azione che prevedano l’adozione nel breve termine di misure idonee a ridurre il rischio o la durata del superamento. Questi piani possono includere provvedimenti per limitare – e, se necessario, sospendere – le attività che contribuiscono al rischio di superamento dei limiti nonché provvedimenti inerenti la circolazione dei veicoli a motore, i lavori di costruzione, le navi all’ormeggio, l’attività degli impianti industriali, l’uso di prodotti e il riscaldamento domestico[9]. Inoltre, qualora siano superate le soglie di allarme o le soglie di informazione, lo stato ha l’obbligo di informare il pubblico e trasmettere alla Commissione informazioni sui dati rilevati[10]. Infine, il capo II della direttiva - e relativi allegati - individua specifiche modalità di valutazione della qualità dell’aria stabilendo, in particolare, soglie al superamento delle quali variano le modalità di valutazione (misurazioni in siti fissi piuttosto che tramite l’utilizzo di tecniche di modellizzazione, misurazioni indicative, tecniche di stima) nonché i criteri di ubicazione e il numero minimo dei punti di campionamento[11]. Si noti che il mancato rispetto dei valori limite per la qualità dell’aria e la mancata adozione di piani idonei a garantirne il rispetto da parte di uno stato membro possono essere sanzionati dalla Corte di giustizia europea in forza di una procedura di infrazione[12].
La direttiva 2004/107/Ce, invece, riguarda l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi aromatici nell’aria ambiente; tutti agenti cangerogeni e genotossici per i quali non è possibile identificare una soglia al di sotto della quale non esista alcun rischio per la salute umana. Pertanto, al fine di evitare, prevenire o quantomeno ridurre gli effetti nocivi di queste sostanze, la direttiva fissa dei valori obiettivo relativi alla concentrazione di queste sostanze nell’aria[13]; è previsto, inoltre, che la qualità dell’aria ambiente - con riferimento a queste sostanze - debba essere valutata su tutto il territorio degli stati membri, al fine di individuare le zone e gli agglomerati in cui tali valori non sono rispettati[14]. Per le zone in cui sono riscontrati superamenti dei valori obiettivo, infatti, gli stati devono dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie - anche in relazione alle fonti di emissioni prevalenti - che non comportino costi sproporzionati, al fine di raggiungere i valori obiettivo[15]. Si noti, tuttavia, che per quanto riguarda gli impianti industriali di cui alla direttiva Ippc[16], l’adozione di tutte le misure necessarie equivale all’applicazione delle migliori tecniche disponibili. Ulteriori norme sono poi dettate a livello europeo anche per quanto riguarda le emissioni di specifiche categorie di inquinanti, ritenute particolarmente dannose. Le principali norme in questo senso sono:
- la direttiva 2001/81/Ce, che istituisce limiti nazionali di emissione in atmosfera di biossido di zolfo, ossidi di azoto, componenti organici volatili ed ammoniaca, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 171/2004;
- il regolamento 1005/2009/Ce relativo alle sostanze che riducono lo strato di ozono, cui fa riferimento il D.Lgs. n. 108/2013 che ha istituito un sistema di sanzioni per la violazione delle disposizioni del regolamento;
- la direttiva 2004/42/Ce concernente le limitazioni delle emissioni di composti organici volatili dovute all’uso di solventi organici e presenti in taluni prodotti per carrozzeria, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 161/2006.
Si ricorda, inoltre, che nel dicembre 2013 la Commissione europea ha proposto un nuovo pacchetto di misure in tema di qualità dell’aria, il quale prevede l’adozione di diverse misure volte a garantire, da un lato, il conseguimento degli obiettivi dettati dalla direttiva 2008/50/Ue, dall’altro, il raggiungimento di nuovi obiettivi di qualità dell’aria per il periodo fino al 2030. Questi valori si pongono in linea con l’obiettivo a lungo termine di raggiungere in futuro concentrazioni inferiori ai valori orientativi individuati dall'organizzazione mondiale della sanità (Oms)[17]. In particolare, è stata proposta la revisione della direttiva sui limiti nazionali di emissione, con la fissazione di livelli di riduzione più ambiziosi, nonché una nuova direttiva relativa alla limitazione delle emissioni in atmosfera di inquinanti originati da medi impianti di combustione, già adottata (2015/2193/Ue) e che dovrà essere recepita dagli stati membri entro il 19 dicembre 2017. Da ultimo, si sottolinea che anche le norme dettate in tema di lotta ai cambiamenti climatici possono avere un impatto significativo sulla disciplina delle emissioni in atmosfera, come ad esempio gli obblighi legati al sistema di scambio quote di emissioni di gas a effetto serra (emissions trading system).
6.2. Qualità dell’aria
Nell’ordinamento nazionale, sia la direttiva 2004/107/Ce sia la direttiva 2008/50/Ue sono state recepite con il D.Lgs. n. 155/2010. La direttiva 2004/107/Ce era stata inizialmente recepita con il D.Lgs. n. 152/2007, che, tuttavia, è stato sostituito dal D.Lgs. n. 155/2010, il quale ha così istituito un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente.
Il decreto dunque stabilisce:
- valori limite per le concentrazioni nell’aria ambiente di biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo e PM10;
- livelli critici per le concentrazioni nell’aria ambiente di biossido di zolfo e ossidi di azoto;
- soglie di allarme per le concentrazioni nell’aria ambiente di biossido di zolfo e biossido di azoto;
- il valore limite, il valore obiettivo, l’obbligo di concentrazione dell’esposizione e l’obiettivo nazionale di riduzione dell’esposizione per le concentrazioni nell’aria ambiente di PM2,5;
- valori obiettivo per le concentrazioni nell’aria ambiente di arsenico, cadmio, nichel, e benzo(a)pirene;
- i valori obiettivo, gli obiettivi a lungo termine, le soglie di allarme e le soglie di informazione per l’ozono.
Il presupposto su cui si organizza l’attività di valutazione della qualità dell’aria ambiente è la zonizzazione, che viene predisposta, previa individuazione degli agglomerati e, successivamente, delle zone, secondo i criteri dettati dall’appendice I, ai sensi della quale sono classificate come agglomerati:
- un'area urbana, oppure
- un insieme di aree urbane che distano tra loro non più di qualche chilometro, o
- un'area urbana principale e un insieme di aree urbane minori che dipendono da quella principale sul piano demografico e dei servizi,
le quali abbiano più di 250.000 abitanti o una densità di popolazione superiore a 3.000 abitanti per km2.
Inoltre è stabilito che, per quel che riguarda gli inquinanti con natura cosiddetta "secondaria" (il PM10, il PM2,5, gli ossidi di azoto e l'ozono), il processo di delimitazione delle zone - diverse dagli agglomerati - presuppone l'analisi delle caratteristiche orografiche e meteo-climatiche, del carico emissivo e del grado di urbanizzazione del territorio, al fine di individuare le aree in cui una o più di queste caratteristiche sono predominanti nel determinare i livelli degli inquinanti. Diversamente, per gli inquinanti cosiddetti “primari” (il piombo, il monossido di carbonio, gli ossidi di zolfo, il benzene, il benzo(a)pirene e i metalli), la zonizzazione deve essere effettuata in funzione del carico emissivo.
La zonizzazione è compito delle regioni e delle province autonome, le quali provvedono anche alla classificazione delle zone, effettuata, per ciascun inquinante, sulla base delle soglie di valutazione superiori e inferiori[18]. La zonizzazione è riesaminata in caso di variazione dei presupposti di cui all’appendice I sopra citata mentre la classificazione è riesaminata ogni 5 anni, nonché in caso di significative modifiche delle attività che incidono sulle concentrazioni di inquinanti nell’aria. Le modalità di misurazione variano nelle diverse zone sulla base della classificazione; infatti, dove sono rilevati superamenti della soglia di valutazione superiore, sarà necessario effettuare misurazioni in siti fissi, solo eventualmente integrate dall’utilizzo di tecniche di modellizzazione o da misure indicative, mentre, per le zone dove i livelli di inquinanti sono inferiori alla soglia di valutazione inferiore, potranno essere utilizzate tecniche di modellizzazione o stima oggettiva anche in via esclusiva. Nelle zone in cui i livelli di inquinanti sono compresi tra “valutazione soglia inferiore” e “valutazione soglia superiore”, sono obbligatorie misurazioni in siti fissi, le quali possono, tuttavia, essere combinate con misurazioni indicative o tecniche di modellizzazione. I criteri per stabilire il numero delle stazioni di misurazione sono stabiliti agli articoli 7 e 8. Le stazioni di misurazione devono essere gestite dalle regioni e province autonome o, su delega, dalle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente; in alternativa possono essere gestite anche da altri soggetti pubblici o privati purché sotto il controllo delle regioni o, su delega, delle agenzie regionali. È stabilito, inoltre, nell’art. 5, comma 9, D.Lgs. n. 155/2010, che nei procedimenti di Via, Aia, o in altre autorizzazioni di cui al D.Lgs. n. 152/2006, per gli impianti che producono emissioni, può essere prescritta l’installazione, nonché la gestione da parte del proponente, di una o più stazioni di misurazione della qualità dell’aria ambiente, qualora la regione (o l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) ritenga queste stazioni necessarie, sulla base di una valutazione caso per caso (non sarebbe, infatti, legittima la previsione, a livello regionale, di un obbligo generalizzato di installare impianti di monitoraggio della qualità dell’aria[19]). Qualora siano riscontrati dei superamenti dei livelli di inquinanti - e in ogni caso per preservare la qualità dell’aria anche qualora i valori limite e i valori obiettivo siano rispettati - le regioni e le province autonome sono chiamate ad adottare appositi piani e misure, in collaborazione con gli enti locali interessati, per migliorare il livello di qualità dell’aria e garantire il rispetto dei valori stabiliti. Le caratteristiche specifiche dei piani e delle misure, coerentemente con quanto stabilito dalle norme europee, possono peraltro variare a seconda del tipo di superamento rilevato. In particolare, si può distinguere tra:
- piani e misure per il raggiungimento dei valori limite e dei livelli critici, per il perseguimento dei valori obiettivo e per il mantenimento del relativo rispetto, disciplinati all’art. 9, D.Lgs. n. 155/2010;
- piani per la riduzione del rischio di superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme, di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 155/2010.
I primi sono piani contenenti principalmente «misure volte ad agire sulle principali sorgenti di emissione aventi influenza in tali aree di superamento» e devono essere adottati laddove siano rilevati dei superamenti, relativamente a uno o più inquinanti:
- dei valori limite (allegato XI); in questo caso i piani devono contenere tutte le misure necessarie ad eliminare il superamento nel più breve tempo possibile[20] (art. 9, comma 1);
- dei valori obiettivo previsti per cadmio, nichel, benzo(a)pirene (allegato XIII[21]) e PM2,5 (Allegato XIV); in questo caso devono essere adottate solo le misure che non comportino costi sproporzionati. Si noti, in particolare, che per le installazioni soggette ad Aia, il perseguimento dei valori obiettivo non può comportare condizioni più rigorose di quelle connesse all’applicazione delle migliori tecniche disponibili (art. 9, commi 1 e 2);
- dei livelli critici (allegato XI) (art. 9, comma 4).
Questi piani possono prevedere misure relative al superamento di diversi inquinanti (i cosiddetti piani integrati di cui all’art. 9, comma 6) e possono anche avere carattere interregionale; inoltre, quando risulti che le misure individuabili dalle regioni non sono sufficienti al raggiungimento dei valori limite, può essere richiesta l’adozione di misure di carattere nazionale. Analogamente, anche in caso di superamento dei valori obiettivo per l’ozono (allegato VII) devono essere adottate tutte le misure - che non comportino costi sproporzionati - necessari ad agire sulle principali sorgenti di emissione aventi influenza su tali aree e a garantire il rispetto dei valori nei termini prescritti[22] (art. 13, comma 1). Questo piano deve essere integrato con i piani per la qualità dell’aria di cui all’art. 9. Nel caso, invece, di rischio di superamento delle soglie d’allarme (allegato XII), è prevista l’adozione di piani d’azione che prevedano interventi da attuare nel breve periodo al fine di ridurre il rischio o limitare la durata del superamento (art. 10)[23]. In alcune circostanze, interventi nel breve periodo possono essere adottati anche quando insorga un superamento dei valori limite e dei valori obiettivo di cui agli allegati VII[24] e XI[25]. Si sottolinea, inoltre, che, in ogni caso, i piani d’azione possono anche prevedere, se necessario, interventi finalizzati a limitare oppure a sospendere le attività che contribuiscono all’insorgenza del rischio di superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme. Tra le misure che possono essere individuate nei piani di qualità dell’aria e nei piani di azione, indicate all’art. 11, si possono citare:
- criteri per limitare la circolazione dei veicoli a motore;
- valori limite di emissione, prescrizioni, criteri di localizzazione e altre condizioni di autorizzazione per gli impianti di cui alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006, nonché per gli impianti di trattamento dei rifiuti e per gli impianti soggetti ad Aia – quando producano emissioni; limiti e condizioni per l’utilizzo di combustibili;
- misure specifiche per la tutela della popolazione infantile e delle altre fasce sensibili.
Si noti, inoltre, che, con riferimento al raggiungimento dei valori di concentrazione dell’esposizione per il PM2,5 e dei valori a lungo termine per l’ozono, trovano applicazione disposizioni specifiche (art. 12 e art. 13, comma 2). Speciali deroghe alla disciplina fin qui illustrata possono essere accordate per quelle zone e agglomerati dove il superamento dei valori limite sia imputabile alla presenza di emissioni causate da fonti naturali[26] e in caso di superamenti del livello di PM10 dovuti alla sabbiatura o salatura delle strade nella stagione invernale[27]. Si ricorda, infine, che in caso di superamento delle soglie di informazione o delle soglie di allarme le regioni e le province autonome sono tenute a informare tempestivamente il pubblico e a trasmettere i dati rilevati al ministero dell’Ambiente, che a sua volta deve comunicarli alla Commissione europea[28]. Altri oneri di informazione del pubblico sono previsti all’art. 18, D.Lgs. n. 155/2010 e all’allegato XVI. In questa sede si ricorda solo che le regioni e le province autonome devono mettere annualmente a disposizione del pubblico una relazione relativa a tutti gli inquinanti disciplinati dal decreto in esame, la quale deve anche contenere una sintetica illustrazione circa i superamenti dei valori limite, dei valori obiettivo, degli obiettivi a lungo termine, delle soglie di allarme e una valutazione degli effetti di questi superamenti. Concludendo, si ricorda che il D.Lgs. n. 155/2010 non prevede un apparato sanzionatorio autonomo per la violazione dei valori limite. Tuttavia, l’art. 29-quaterdecies, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 prevede un’ammenda da 5.000 a 26.000 euro e la pena dell'arresto fino a due anni per colui che, pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale, non ne osserva le prescrizioni - o non osserva le prescrizioni imposte dall'autorità competente - nel caso in cui il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell'aria. A ulteriore riprova del coordinamento della disciplina in materia di qualità dell’aria con la disciplina generale in materia di emissioni di cui alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006 si osserva, ad esempio, che l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera nel determinare i valori limite di emissione può, altresì, tener conto della normativa vigente in materia di qualità dell’aria.
6.3. D.Lgs. n. 152/2006: inquadramento, campo di applicazione, definizioni
Il testo unico ambientale (Tua) dedica la parte V alle «Norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera». L’art. 268, comma 1, lettera b), definisce “emissione in atmosfera” «qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico […]». La nozione, estremamente vasta, giustifica il carattere puntiforme[29] della normativa sulle emissioni in atmosfera. La Parte V del D.Lgs. n. 152/2006 - volta alla prevenzione e alla limitazione dell’inquinamento atmosferico - contiene tanto disposizioni e principi generali quanto la disciplina di dettaglio per specifiche tipologie di impianti (ad esempio, grandi impianti di combustione) o con riferimento a determinate sostanze (ad esempio, Cov). La parte si compone di tre titoli:
- il primo, intitolato «Prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera di impianti e attività», contiene disposizioni di carattere generale, la disciplina delle autorizzazioni, le modalità di individuazione dei limiti emissivi ed alcune disposizioni finali di carattere sanzionatorio;
- il secondo, rubricato «Impianti termici civili» disciplina gli impianti termici civili con potenza nominale inferiore ai 3MW, rinviando al titolo I la regolamentazione di impianti termici di potenza superiore;
- l’ultimo, «Combustibili», individua le caratteristiche merceologiche e le condizioni di utilizzo dei combustibili, comprese prescrizioni funzionali a ottimizzarne il rendimento.
La disciplina delle emissioni derivanti da attività industriali e produttive contenuta nel titolo i alla parte V è cedevole rispetto ad altre disposizioni del testo unico ambientale per l’autorizzazione all’esercizio di determinati impianti o attività. Infatti, come dispone l’art. 267, che individua il campo di applicazione del titolo I alla parte V:
- per gli impianti di incenerimento e coincenerimento, oltre che per gli altri impianti di trattamento termico dei rifiuti, i valori limite di emissione sono stabiliti nell’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 208 oppure nell’autorizzazione integrata ambientale (art. 267, comma 2);
- per le installazioni sottoposte ad autorizzazione integrata ambientale l’autorizzazione di cui alla parte V non è richiesta in quanto sostituita dall’Aia (art. 267, comma 3).
Non meno rilevanti sono le disposizioni di carattere tecnico-operativo e le prescrizioni relative a specifiche tipologie di impianti e attività contenute negli allegati alla parte V D.Lgs. n. 152/2006. Gli allegati, in numero di dieci, riguardano: «Valori di emissione e prescrizioni» (I); «Grandi impianti di combustione» (II); «Emissioni di composti organici volatili» (III); «Impianti ed attività in deroga» (IV); «Polveri e sostanze organiche liquide» (V); «Criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite di emissione» (VI); «Operazioni di deposito della benzina e sua distribuzione dai terminali agli impianti di distribuzione» (VII); «Impianti di distribuzione di benzina» (VIII); «Impianti termici civili» (IX); «Disciplina dei combustibili» (X). Per effetto del recepimento in Italia della direttiva Ied con il D.Lgs. n. 46/2014, alle disposizioni sopra richiamate, si aggiunge da ultimo la nuova parte V-bis, destinata a disciplinare le attività di produzione di biossido di titanio e solfati di calcio, composta di un titolo unico e che fissa nell’allegato I alla parte V-bis i valori limite di emissione per le installazioni che producono biossido di titanio. Preliminarmente al dettaglio della disciplina e per consentirne una più agevole comprensione, si richiamano le principali e pertinenti definizioni[30] contenute nel testo unico ambientale (vedere tabella 2).
Tabella 2
Definizioni - Art. 268, D.Lgs. n. 152/2006
Inquinamento atmosferico [lettera a)] | Ogni modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell'ambiente. |
Emissione in atmosfera [(lettera b)] | Qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico e, per le attività di cui all'art. 275, qualsiasi scarico, diretto o indiretto, di Cov nell'ambiente. |
Emissione convogliata [(lettera c)] | Emissione di un effluente gassoso effettuata attraverso uno o più appositi punti. |
Emissione diffusa [(lettera d)] | Emissione diversa da quella ricadente nella lettera c); per le lavorazioni di cui all'art. 275 le emissioni diffuse includono anche i Cov contenuti negli scarichi idrici, nei rifiuti e nei prodotti, fatte salve le diverse indicazioni contenute nella parte III dell'allegato III alla Parte V del presente decreto. |
Emissione tecnicamente convogliabile [(lettera e)] | Emissione diffusa che deve essere convogliata sulla base delle migliori tecniche disponibili o in presenza di situazioni o di zone che richiedono una particolare tutela. |
Stabilimento [(lettera h)] | Il complesso unitario e stabile, che si configura come un complessivo ciclo produttivo, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o sono effettuate una o più attività che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimentazioni. Si considera stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all'esercizio di una o più attività. |
Impianto [(lettera l)] | Il dispositivo o il sistema o l'insieme di dispositivi o sistemi fisso e destinato a svolgere in modo autonomo una specifica attività, anche nell'ambito di un ciclo più ampio. |
Modifica sostanziale [(lettera m-bis)] | Modifica che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse e che possa produrre effetti negativi e significativi sull'ambiente […] |
Valore limite di emissione [(lettera q)] | Il fattore di emissione, la concentrazione, la percentuale o il flusso di massa di sostanze inquinanti nelle emissioni che non devono essere superati. I valori di limite di emissione espressi come concentrazione sono stabiliti con riferimento al funzionamento dell'impianto nelle condizioni di esercizio più gravose e, salvo diversamente disposto dal presente titolo o dall'autorizzazione, si intendono stabiliti come media oraria. |
Grande impianto di combustione [(lettera gg)] | Impianto di combustione di potenza termica nominale non inferiore a 50MW. […] |
Composto organico volatile [(lettera ll)] | Qualsiasi composto organico che abbia a 293,15 K una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore, oppure che abbia una volatilità corrispondente in condizioni particolari di uso. Ai fini della parte quinta del presente decreto, è considerata come Cov la frazione di creosoto che alla temperatura di 293,15 K ha una pressione di vapore superiore a 0,01 kPa. |
6.4. Le autorizzazioni alle emissioni in atmosfera: principi e deroghe
L’impianto normativo sinteticamente sopra tratteggiato si prefigge di prevenire e limitare l’inquinamento atmosferico stabilendo per attività e impianti che producono emissioni in atmosfera valori limite di emissione, prescrizioni, metodi di campionamento e analisi, criteri per il raffronto dei valori misurati ai valori limite. Per gli impianti ricadenti nell’ambito di applicazione del titolo I[31], l’art. 269 introduce il principio - salvo le deroghe di cui si dirà - per cui tutti gli stabilimenti che producono emissioni devono essere preventivamente autorizzati[32]. L’autorizzazione viene rilasciata per lo stabilimento nel suo complesso e non per i singoli impianti o le singole attività nello stesso presenti[33]. Il procedimento ordinario per il rilascio dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera dettagliato dall’art. 269 è ormai desueto per effetto della semplificazione amministrativa operata dalle norme in materia di Aua. Con l’entrata in vigore del D.P.R. 13 marzo 2013 n. 59, le imprese non soggette ad Aia e Via che abbiano necessità di ottenere l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi dell’art. 269, D.Lgs. n. 152/2006 fanno ricorso a una procedura amministrativa semplificata presentando domanda di Aua. La normativa è destinata a trovare vasta applicazione. Come precisato dal ministero dell’Ambiente nella «Circolare recante chiarimenti interpretativi relativi alla disciplina dell’autorizzazione unica ambientale nella fase di prima applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2013 n. 59»[34], la riforma non riguarda le sole piccole medie imprese, ma anche le grandi imprese purché non soggette ad Aia e Via[35]. Inoltre, ogniqualvolta l’impianto debba ottenere il rilascio, la formazione, l’aggiornamento o il rinnovo di uno tra i titoli abilitativi di cui all’art. 3, D.P.R. n. 59/2013 (tra cui l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui all’art. 269, D.Lgs. n. 152/2006), la presentazione della domanda di Aua è obbligatoria[36]. Come chiarito dall’art. 3, comma 5, D.P.R. n. 59/2013 «l'autorizzazione unica ambientale contiene tutti gli elementi previsti dalle normative di settore per le autorizzazioni e gli altri atti che sostituisce […]» con ciò confermando che le norme sull’Aua non contengono disposizioni di natura sostanziale, ma unicamente definiscono una procedura uniforme per l’ottenimento del titolo abilitativo. La circolare ministeriale sopra citata, ulteriormente conferma questo assunto, precisando che per beneficiare della possibilità di continuare l’attività dopo la scadenza del titolo abilitativo in caso di mancato tempestivo riscontro alla domanda di rinnovo, devono essere rispettati i termini per la presentazione dell’istanza di rinnovo previsti dalla disciplina di settore del titolo in scadenza (paragrafo 6). Per ulteriori approfondimenti circa il procedimento per l’ottenimento dell’Aua, si rinvia al capitolo 2. Chiariti alcuni aspetti relativi alle modalità di presentazione della domanda di autorizzazione alle emissioni, si analizzano a seguire i contenuti del titolo abilitativo. L’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui all’art. 269, D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce specifiche prescrizioni con riferimento alle emissioni tecnicamente convogliabili[37], convogliate (o di cui è stato ordinato il convogliamento) e diffuse (vedere la tabella 3).
Tabella 3
Prescrizioni – Art. 269, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006
Emissioni tecnicamente convogliabili | Emissioni convogliate | Emissioni diffuse |
Le modalità di captazione e convogliamento. | · le sostanze a cui si applicano i valori limite di emissione;
· i valori limite di emissione; · le prescrizioni ed i relativi controlli; · i metodi di campionamento e analisi; · i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite; · la periodicità dei controlli di competenza del gestore; · la quota dei punti di emissione; · le portate di progetto tali da consentire che le emissioni siano diluite solo nella misura inevitabile. |
Le prescrizioni finalizzate ad assicurarne il contenimento. |
L’autorizzazione alle emissioni concessa ai sensi dell’art. 269, D.Lgs. n. 152/2006 ha una durata di quindici anni[38]. Il rinnovo deve essere richiesto almeno un anno prima della scadenza. Come accade in altri ambiti disciplinati dal testo unico ambientale (ad esempio, autorizzazioni allo scarico di acque reflue, art. 124, comma 8) nelle more dell’adozione dell’atto espresso di rinnovo l’attività dell’impianto può continuare oltre la scadenza dell’autorizzazione qualora sia stato richiesto l’intervento sostitutivo del ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi dell’art. 269, comma 3 e i termini a quest’ultimo assegnati per provvedere siano inutilmente spirati. In modo non dissimile da quanto previsto per gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale[39], qualora il gestore intenda apportare delle modifiche all’impianto ne deve dare comunicazione all’autorità competente. Le modifiche impiantistiche possono avere natura sostanziale o non sostanziale. Le prime possono aversi qualora la modifica comporti un aumento o variazione qualitativa delle emissioni o alteri le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse (art. 269, comma 8)[40]. Per le modifiche sostanziali dell’impianto è necessaria la presentazione di una nuova domanda di autorizzazione e l’autorità procedente provvede:
- all’aggiornamento dell’autorizzazione qualora l’istruttoria sia limitata alle sole attività o impianti oggetto di modifica, oppure
- al rinnovo dell’autorizzazione qualora per l’evoluzione della situazione ambientale o delle migliori tecniche disponibili si manifesti più appropriato estendere l’istruttoria all’intero stabilimento. Solo in quest’ultimo caso comincerà a decorrere un nuovo periodo di durata dell’atto autorizzativo pari a 15 anni.
Diversamente, qualora il gestore comunichi una modifica non sostanziale dell’impianto, potrà provvedere alla sua realizzazione qualora l’autorità competente non si esprima nel termine di 60 giorni. È fatto salvo il potere della pubblica amministrazione di aggiornare l’autorizzazione anteriormente alla scadenza, anche in assenza di istanza di parte, qualora risultino mutate le condizioni di fatto e diritto e ricorrano i presupposti per modificare, nel senso dell’aggiornamento, l’autorizzazione già rilasciata mediante l’adozione di nuove prescrizioni necessarie per garantire la salubrità ambientale[41]. In caso di inottemperanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, l’autorità competente, secondo la gravità dell’infrazione, procede, secondo il disposto dell’art. 278, alla:
- diffida, assegnando contestualmente un termine per sanare le irregolarità riscontrate;
- diffida e contestuale sospensione dell’autorizzazione, qualora si manifesti un pericolo per la salute o per l’ambiente;
- revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni contenute nella diffida oppure in caso di reiterata violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione che comporti un pericolo o un danno alla salute o all’ambiente.
Accanto ai poteri ordinatori, l’autorità competente (regione o diversa autorità individuata con legge regionale) dispone di poteri sanzionatori. Le sanzioni consistono in contravvenzioni (di natura penale) oppure in sanzioni pecuniarie amministrative. L’art. 279 fa espressamente salve le diverse disposizioni sanzionatorie previste dall’art. 29-quaterdecies in materia di autorizzazione integrata ambientale. L’art. 272, D.Lgs. n. 152/2006 prevede una modalità semplificata per l’ottenimento dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera. Ricorrendone i presupposti, il gestore dell’impianto può richiedere di aderire ad apposite autorizzazioni di carattere generale adottate dall’autorità competente (la provincia) con riferimento a specifiche categorie di impianti. La domanda di adesione può generalmente essere presentata su appositi modelli semplificati predisposti dall’autorità competente, nei quali la qualità e quantità delle emissioni è deducibile dai quantitativi di materie prime ed ausiliarie utilizzate. Nel caso in cui il gestore intenda aderire a un’autorizzazione generale può presentare ai sensi dell’art. 3, comma 1, D.P.R. n. 59/2013 domanda di Aua. Si tratta però, come precisa il successivo art. 7, comma 1, di una mera facoltà[42]. Ben potrà trovare applicazione il procedimento amministrativo descritto all’art. 272, comma 3, fermo restando l’obbligo per il gestore di presentare l’istanza di adesione per il tramite del suap (vedere grafico 1).
Grafico 1
Adesione autorizzazione generale (art. 272, comma 3)
L’autorizzazione generale ha durata decennale, e con la stessa cadenza l’autorità competente procede al suo rinnovo. Almeno 45 giorni prima di questo termine il gestore è tenuto a presentare domanda di adesione all’autorizzazione generale allegando la documentazione prevista; in mancanza lo stabilimento si considera in esercizio in assenza di autorizzazione. La possibilità di aderire a un’autorizzazione di carattere generale è esclusa: a) in caso di emissione di sostanze cancerogene, tossiche per la riproduzione o mutagene o di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate; b) oppure qualora siano utilizzate nell’impianto le sostanze o i preparati classificati come cancerogeni, mutageni o tossici per la riproduzione e ai quali siano assegnate le frasi di rischio R45, R46, R49, R60, R61 (art. 272, comma 4). Diverse disposizioni derogatorie contenute nel titolo I della parte V escludono l’obbligo di ottenere l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera per l’esercizio di specifiche tipologie di impianti. Si riportano nella tabella 4 le principali disposizioni in uno schema riassuntivo.
Tabella 4
Esclusioni
Art. 269, comma 10 | Gli impianti di deposito di oli minerali, compresi i gas liquefatti. I gestori sono comunque tenuti ad adottare apposite misure per contenere le emissioni diffuse ed a rispettare le ulteriori prescrizioni eventualmente disposte, per le medesime finalità, con apposito provvedimento dall'autorità competente. |
Art. 272, comma 1 | Gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente impianti e attività che producono emissioni scarsamente rilevanti per l’inquinamento. Tali impianti trovano elencazione nella parte I dell’Allegato IV alla Parte V del D.Lgs. n. 152/2006. |
Art. 272, comma 1 | Dispositivi mobili utilizzati all’interno di uno stabilimento da un gestore diverso da quello dello stabilimento o non utilizzati all’interno di uno stabilimento. (Nel caso di impianti e attività che producono emissioni scarsamente rilevanti per l’inquinamento – parte I Allegato IV alla Parte V). |
Art. 272, comma 5 | Gli stabilimenti destinati alla difesa nazionale. |
Art. 272, comma 5 | Le emissioni provenienti dagli sfiati e ricambi d’aria esclusivamente adibiti alla protezione e alla sicurezza dei luoghi di lavoro. |
Art. 272, comma 5 | Agli impianti di distribuzione dei carburanti si applicano esclusivamente le pertinenti disposizioni degli articoli 276 e 277. |
Per gli impianti e le attività che producono emissioni scarsamente rilevanti – sebbene esclusi dall’obbligo di ottenere l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera- l’autorità può prevedere che i gestori comunichino in via preventiva la data di messa in esercizio dell’impianto o di avvio dell’attività, oppure in caso di dispositivi mobili, la data di ciascuna campagna di utilizzo. Il mancato adempimento dell’obbligo suddetto, qualora previsto con provvedimento generale da parte della pubblica amministrazione, è sanzionabile ai sensi dell’art. 279, comma 3[43].
6.5. Valori limite di emissione
La disciplina essenziale per l’individuazione dei valori limite di emissione e le relative prescrizioni è contenuta all’art. 271, D.Lgs. n. 152/2006 e negli allegati alla parte V richiamati dallo stesso. Come già in altre parti del testo unico ambientale, il legislatore prevede che i valori limite di emissione si riferiscano alle emissioni non diluite, salva la diluizione che risulta inevitabile dal punto di vista tecnologico (art. 271, comma 13). Per gli impianti e le attività disciplinate dal titolo I della parte V D.Lgs. n. 152/2006 i valori limite di emissione sono stabiliti nell’autorizzazione. L’istruttoria per il rilascio dell’autorizzazione deve considerare:
- le migliori tecniche disponibili;
- i valori e le prescrizioni fissati nelle normative di regioni e province autonome in materia di emissioni in atmosfera e nei piani e programmi regionali di qualità dell’aria;
- il complesso di tutte le emissioni degli impianti e delle attività presenti;
- le emissioni provenienti da altre fonti;
- lo stato complessivo della qualità dell’aria nella zona interessata.
A esito dell’istruttoria sopra descritta, «I valori limite di emissione e le prescrizioni fissati sulla base di tale istruttoria devono essere non meno restrittivi di quelli previsti dagli Allegati I, II, III e V alla parte quinta del presente decreto e di quelli applicati per effetto delle autorizzazioni soggette al rinnovo» (art. 271, comma 5). I valori limite di emissione indicati nel testo unico ambientale costituiscono uno standard minimo di tutela ed è possibile prevedere in autorizzazione l’applicazione di valori limite più restrittivi. Ad esempio, per il tramite del richiamo alle prescrizioni e ai limiti emissivi indicati nei piani e programmi per la qualità dell’aria. Questi ultimi, infatti, possono prevedere valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione ed esercizio degli impianti, più restrittivi di quelli contenuti negli allegati I, II, III, e V alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006, qualora ciò sia necessario al perseguimento e raggiungimento dei valori e degli obbiettivi di qualità dell’aria (art. 271, comma 4). È ugualmente prevista la possibilità di prevedere in autorizzazione valori limite di emissione più severi di quelli contenuti negli allegati I, II, III e V anche in caso di approvazione del decreto[44] di cui all’art. 271, comma 2, che sulla base delle migliori tecniche disponibili detterà valori limite di emissione e prescrizioni per il tramite della modifica/integrazione degli allegati I e V. L’autorizzazione dispone limiti emissivi anche per le sostanze per cui non sono fissati valori limite, prendendo come parametro di riferimento i valori limite previsti per sostanze simili sotto il profilo chimico e aventi effetti analoghi sulla salute e sull’ambiente (art. 271, comma 6). I valori limite di emissione, così fissati nell’atto autorizzativo, «si applicano ai periodi di normale funzionamento dell'impianto, intesi come i periodi in cui l'impianto è in funzione con esclusione dei periodi di avviamento e di arresto e dei periodi in cui si verificano anomalie o guasti tali da non permettere il rispetto dei valori stessi» (art. 271, comma 14). Agli impianti soggetti ad Aia, salvo il diverso procedimento per l’ottenimento dell’autorizzazione, si applicano i valori limite e le prescrizioni richiamate dall’art. 271 citato, ferma la possibilità per l’autorità procedente di applicare valori limite di emissione e prescrizioni più severi (art. 271, comma 16). L’art. 271 si applica anche ai grandi impianti di combustione e alle attività che emettono composti organici volatili. La disciplina dei valori limite di emissione, come detto, trova ulteriore dettaglio negli allegati alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006. L’allegato I intitolato «Valori di emissione e prescrizioni» indica:
- nella parte I, disposizioni di carattere generale;
- nella parte II, i valori di emissione minimi e massimi per le sostanze inquinanti;
- nella parte III, i valori di emissione minimi e massimi per le sostanze inquinanti di alcune tipologie di impianti[45];
- nella parte IV, i valori di emissione e le prescrizioni relativi alle raffinerie e agli impianti per la coltivazione di idrocarburi e dei flussi geotermici, con la precisazione che per i grandi impianti di combustione facenti parte di una raffineria rimangono ferme le disposizioni agli stessi relative contenute all’art. 273, D.Lgs. n. 152/2006.
In alcuni casi le parti II e III fissano soglie di rilevanza[46] per le emissioni; pertanto, il gestore sarà tenuto al rispetto dei valori limite solo qualora queste soglie siano raggiunte o superate. Inoltre, qualora per le sostanze indicate nella parte II sia previsto un unico dato numerico esso rappresenterà il valore minimo, mentre il valore massimo sarà pari al doppio (salvo sia diversamente disposto); diversamente qualora nella parti III e IV il valore limite sia espresso con un unico valore numerico minimi e massimi coincideranno. La parte I precisa, altresì, che i valori di emissione stabiliti nella parte III per specifiche tipologie di impianti si applicano in luogo di quelli fissati dalla parte II in via generale per le stesse sostanze. Qualora, però, per alcune sostanze, la parte III non contenga prescrizioni, troveranno applicazione i valori limite di emissione stabiliti in via generale dalla parte II per le sostanze in questione. Invece, agli impianti di cui alla parte IV dell’allegato si applicheranno unicamente i valori di emissione e le prescrizioni ad essi relative.
6.6. Grandi impianti di combustione
Per quanto concerne specifiche tipologie di impianti, ovvero i grandi impianti di combustione di cui all’art. 273, D.Lgs. n. 152/2006, l’allegato II alla parte V stabilisce i valori limite di emissione, le modalità di monitoraggio e controllo delle emissioni, i criteri per la verifica della conformità ai valori limite e le ipotesi di anomalo funzionamento o guasto degli stessi (art. 273, comma 1). Più in dettaglio, ai grandi impianti di combustione nuovi si applicano i valori limite di emissione individuati nell’allegato II alla parte V, parte II, sezioni da 1 a 6. Questi prescrizioni si applicano anche ai grandi impianti di combustione anteriori al 2013 a partire dal 1° gennaio 2016[47]. In ogni caso, tutti i grandi impianti di combustione devono prevedere valori limite di emissione non meno severi dei pertinenti valori di cui alla parte II, sezioni da 1 a 7, dell’allegato II e dei valori di cui all’allegato I alla parte V. Questa disposizione ancora una volta conferma come l’allegato I alla parte V contenga disposizioni di carattere generale in materia di valori limite di emissione in atmosfera, valori di volta in volta dettagliati e modificati in ragione delle peculiarità dell’impianto e dell’attività svolta. In ogni caso, sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 273 e conseguentemente non sono soggetti alle previsioni nello stesso contenute in materia di valori limite di emissione gli impianti di combustione che «utilizzano direttamente i prodotti di combustione in procedimenti di fabbricazione» (vedere tabella 5).
Tabella 5
Deroghe - Art. 273, comma 15
a) Gli impianti in cui i prodotti della combustione sono utilizzati per il riscaldamento diretto, l'essiccazione o qualsiasi altro trattamento degli oggetti o dei materiali, come i forni di riscaldo o i forni di trattamento termico; |
b) gli impianti di postcombustione, cioè qualsiasi dispositivo tecnico per la depurazione dell'effluente gassoso mediante combustione, che non sia gestito come impianto indipendente di combustione; |
c) i dispositivi di rigenerazione dei catalizzatori di craking catalitico; |
d) i dispositivi di conversione del solfuro di idrogeno in zolfo; |
e) i reattori utilizzati nell'industria chimica; |
f) le batterie di forni per il coke; |
g) i cowpers degli altiforni; |
h) qualsiasi dispositivo tecnico usato per la propulsione di un veicolo, una nave, o un aeromobile; |
i) le turbine a gas e motori a gas usati su piattaforme off-shore e sugli impianti di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore; |
m-bis) gli impianti che utilizzano come combustibile qualsiasi rifiuto solido o liquido non ricadente nella definizione di biomassa di cui all'Allegato II alla Parte V. |
Entro il 31 maggio di ogni anno i gestori dei grandi impianti di combustione comunicano all'Ispra, pena la sanzione prevista dall’art. 650 del codice penale, la data di messa in esercizio dell'impianto e, con riferimento all'anno precedente, le emissioni totali di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri, la quantità annua totale di energia prodotta, le ore operative, nonché la caratterizzazione dei sistemi di abbattimento delle emissioni (art. 274, comma 4). Sulla base delle informazioni raccolte, ogni 3 anni il ministero dell’Ambiente trasmette alla Commissione europea una relazione inerente le emissioni di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri di tutti i grandi impianti di combustione di cui alla parte V, indicando separatamente le emissioni delle raffinerie (art. 274, comma 1).
6.7. Impianti termici civili
Un breve cenno merita anche la disciplina dei valori limite di emissione degli impianti termici civili con potenza nominale inferiore a 3 MW contenuta all’art. 286, D.Lgs. n. 152/2006 e nel richiamato allegato IX. In particolare, l’art. 286 dispone che gli impianti termici civili con potenza termica nominale superiore a 0.035 MW (valore di soglia) rispettino i valori limite previsti dalla parte III dell’allegato IX alla parte V e i valori limite eventualmente più restrittivi previsti dai piani e programmi di qualità dell’aria, qualora ciò risulti necessario al conseguimento e al rispetto dei valori e degli obbiettivi di qualità dell’aria. Questi valori devono essere soggetti a controllo almeno annuale, eccezion fatta per i casi[48] previsti dalla parte III, sezione 1 dell’allegato IX alla parte V. Per il campionamento, l’analisi e la valutazione delle emissioni degli impianti termici civili di potenza termica superiore al valore di soglia si applicano i metodi previsti nella parte III dell’allegato IX alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006.
6.8. I composti organici volatili (Cov)
I composti organici volatili sono stati oggetto di specifica disciplina tanto a livello europeo che nazionale, in quanto si tratta di sostanze che contribuiscono all’acidificazione e alla riduzione dell’ozono troposferico. Nella nozione Cov rientrano sostanze anche diverse tra loro, accomunate dalla capacità di evaporare facilmente a temperatura ambiente. Tra queste, a titolo di esempio, si segnalano il benzene e derivati, il toluene, lo stirene, gli idrocarburi alifatici come i metilesani, gli idrocarburi alogenati (cloroformio, clorobenzeni eccetera), gli alcoli nel cui novero rientrano l’etanolo, il propanolo, il butanolo e derivati, gli esteri, i chetoni e tanti altri. Queste sostanze si rinvengono in prodotti di uso quotidiano quali deodoranti, spray, prodotti per la pulizia, pitture, pesticidi, colle, cosmetici, stampanti, fotocopiatrici, oltre che nelle emissioni industriali e di veicoli a motore. La parte V del D.Lgs. n. 152/2006 e in particolare gli artt. 275, 276, 277 e gli allegati III, VII e VIII dagli stessi richiamati definiscono i valori limite di emissione per i composti organici volatili prodotti da determinate attività produttive. Per composti organici volatili, ai sensi dell’art. 268, comma 1, lettera ll), si intende «qualsiasi composto organico che abbia a 293,15 K una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore, oppure che abbia una volatilità corrispondente in condizioni particolari di uso. Ai fini della parte quinta del presente decreto, è considerata come Cov la frazione di creosoto che alla temperatura di 293,15 K ha una pressione di vapore superiore a 0,01 kPa». Gli articoli 275, 276 e 277, D.Lgs. n. 152/2006 si occupano delle emissioni di composti organici volatili e in particolare:
- l’art. 275 disciplina le emissioni di composti organici volatili provenienti da attività (una o più esercitate nel medesimo stabilimento) elencate nella parte II dell’allegato III alla parte V, che singolarmente superino le soglie di consumo di solvente[49] ivi stabilite. Tra queste si annoverano, ad esempio, le attività di rivestimento, verniciatura, pulitura a secco, stampa, fabbricazione di calzature, finitura di autoveicoli, impregnazione del legno, eccetera. Qualora il gestore intenda svolgere una o più delle attività elencate alla parte II sopra menzionata dovrà presentare all’autorità competente domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 269, ovvero domanda di adesione ai sensi dell’art. 272, comma 3 oppure domanda di autorizzazione integrata ambientale (art. 275, comma 4). All’attività, una o più esercitate nel medesimo stabilimento, si applicano i valori limite per le emissioni convogliate e per le emissioni diffuse di cui al medesimo allegato III, parte III e IV. Questa norma si applica anche alle attività, che nel medesimo stabilimento siano tecnicamente connesse e possano incidere sulle emissioni di Cov. Il rispetto dei valori limite di emissione è assicurato ricorrendo alle migliori tecniche disponibili che consentono di ottimizzare l’esercizio e la gestione delle attività e conseguentemente di minimizzare le emissioni di composti organici volatili (art. 275, comma 2). Specifiche deroghe ed esenzioni dal rispetto dei valori limite possono essere accordate dall’autorità competente qualora, pur utilizzando le migliori tecniche disponibili, il gestore di uno stabilimento non possa garantire il rispetto dei valori limite di emissione per le emissioni diffuse (art. 275, comma 12) oppure nei casi previsti nella parte III all’allegato III qualora le emissioni non possano essere convogliate (art. 275, comma 13). Il medesimo art. 275 specifica i casi in cui una variazione del consumo massimo teorico di solventi costituisce modifica sostanziale (art. 275, comma 21). Da ultimo si segnala che la parte I all’Allegato III stabilisce appositi valori limite di emissione per sostanze caratterizzate da particolari rischi per la salute e l’ambiente (art. 275, comma 17);
- l’art. 276 disciplina le emissioni di composti organici volatili derivanti dal deposito e dal caricamento della benzina nei terminali e presso gli impianti di distribuzione dei carburanti;
- per impianti di deposito si intendono ai fini del succitato articolo «i serbatoi fissi adibiti allo stoccaggio di benzina» (art. 276, comma 2), mentre gli impianti di distribuzione sono «impianti in cui la benzina viene erogata ai serbatoi di tutti i veicoli a motore da impianti di deposito» (art. 276, comma 3). L’art. 276 e il richiamato allegato VII stabiliscono prescrizioni per il controllo delle emissioni di composti organici volatili relativamente a: a) impianti di deposito presso i terminali; b) impianti di caricamento della benzina presso i terminali; c) impianti adibiti al deposito temporaneo di vapori presso i terminali; d) cisterne mobili e veicoli cisterna; e) impianti di deposito presso gli impianti di distribuzione dei carburanti; f) attrezzature per le operazioni di trasferimento della benzina presso gli impianti di distribuzione e presso terminali in cui è consentito il deposito temporaneo di vapori (art. 276, comma 1). Come precisato dall’art. 269, gli impianti di deposito di oli minerali, compresi i gas liquefatti, non sono sottoposti ad autorizzazione, ma i gestori sono tenuti al rispetto delle prescrizioni eventualmente disposte dall’autorità con apposito provvedimento[50]. L’art. 272, comma 5 prevede, inoltre, che agli impianti di distribuzione del carburante si applichino unicamente le pertinenti prescrizioni contenute agli articoli 276 e 277;
- infine, l’art. 277 attiene al recupero di solventi organici volatili prodotti nelle operazioni di rifornimento dei veicoli presso gli impianti di distribuzione dei carburanti. I distributori negli impianti di distribuzione di benzina devono essere attrezzati con sistemi di recupero dei vapori di benzina conformi ai requisiti indicati all’allegato VIII (differenti a seconda che si tratti di impianti esistenti o nuovi). I sistemi di recupero dei vapori devono essere mantenuti in funzione nel corso delle operazioni di rifornimento (art. 277, comma 10). I gestori sono inoltre soggetti agli obblighi documentali previsti dall’allegato VIII (art. 277, comma 12).
6.9. Disposizioni relative alle emissioni di polveri
Come indicato in premessa le emissioni in atmosfera possono presentarsi allo stato solido, liquido e gassoso. L’allegato V alla parte V contiene specifiche disposizioni applicabili alla produzione, manipolazione, trasporto, carico e scarico e stoccaggio di materiali polverulenti (vedere la tabella 6).
Tabella 6
Prescrizioni per il contenimento delle emissioni di polveri
Produzione | Trasporto | Carico/scarico | Stoccaggio |
I macchinari per la produzione di materiali polverulenti devono essere incapsulati.
|
Utilizzo di dispositivi chiusi.
|
Installazione di impianti di aspirazione e abbattimento nei seguenti punti:
· punti fissi, nei quali avviene il prelievo, il trasferimento, lo sgancio con benne, pale caricatrici, attrezzature di trasporto; · sbocchi di tubazione di caduta delle attrezzature di caricamento; · attrezzature di ventilazione, operanti come parte integrante di impianti di scarico pneumatici o meccanici; · canali di scarico per veicoli su strada o rotaie; · convogliatori aspiranti. |
L'autorità competente stabilisce le prescrizioni per lo stoccaggio dei materiali polverulenti tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
· possibilità di stoccaggio in silos; · possibilità di realizzare una copertura della sommità e di tutti i lati del cumulo di materiali sfusi, incluse tutte le attrezzature ausiliarie; · possibilità di realizzare una copertura della superficie, per esempio utilizzando stuoie; · possibilità di stoccaggio su manti erbosi; · possibilità di costruire terrapieni coperti di verde, piantagioni e barriere frangivento; · umidificazione costante e sufficiente della superficie del suolo. |
In mancanza le emissioni devono essere convogliate a idoneo sistema di abbattimento. | In mancanza le emissioni devono essere convogliate a idoneo sistema di abbattimento. | Nel caricamento di materiali polverulenti in contenitori da trasporto chiusi l’aria di spostamento deve essere raccolta e convogliata a un impianto di abbattimento. |
6.10. Criteri e modalità di campionamento emissioni industriali
L’art. 271, in via di principio, e l’allegato VI, in dettaglio, contengono disposizioni in merito al campionamento e controllo dei valori limite di emissione. Il primo dispone che in sede di autorizzazione o controllo non devono essere utilizzati metodi diversi o sistemi non conformi a quelli elencati nell’allegato VI alla parte V, pena l’invalidità dei dati raccolti (art. 271, comma 18). Parimenti invalidi sono i dati raccolti dal gestore facendo ricorso a metodi e sistemi di monitoraggio non conformi alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione ed è applicabile la pena prevista dall’art. 279, comma 2. Il superamento dei limiti emissivi rileva ai fini dell’applicabilità del reato di cui all’art. 279, comma 2, soltanto se i controlli effettuati dall’autorità accertino una difformità tra i valori misurati e i limiti prescritti. Pacifico che il gestore dell’impianto debba comunicare all’autorità competente entro 24 ore dall’accertamento eventuali difformità nei controlli di propria competenza, è discusso se questa difformità rilevi ai fini dell’applicazione della sanzione penale (art. 271, comma 20). L’allegato VI alla parte V, D.Lgs. n. 152/2006, poi contiene «criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite di emissione». L’allegato costituisce normativa tecnica di riferimento per quanto concerne la misurazione delle emissioni industriali, invece, per il campionamento, l’analisi e la valutazione delle emissioni degli impianti termici civili di potenza termica superiore al valore di soglia si applicano i metodi previsti nella parte III dell’Allegato IX alla parte V, D.Lgs. n. 152/2006. L’allegato è di estremo rilievo, in particolare avuto riguardo alle conseguenze sanzionatorie, di natura amministrativa o penale, per il mancato rispetto dei valori limite di emissione in atmosfera e delle disposizioni connesse alle attività di misura delle emissioni.
Premesso che i limiti alle emissioni si intendono riferiti alle concentrazioni mediate sui periodi temporali (medie mobili di 7 giorni, mensili, giornaliere eccetera), l’allegato contiene disposizioni specifiche in merito ai metodi di misura discontinui e continui. Quanto ai primi è previsto che:
- le emissioni convogliate si considerano conformi ai valori limite se, nel corso di una misurazione, la concentrazione, calcolata come media di almeno tre letture consecutive e riferita ad un’ora di funzionamento dell’impianto nelle condizioni di esercizio più gravose, non supera il valore limite di emissione (punto 2.3);
- i dati relativi ai controlli analitici discontinui previsti nell’autorizzazione devono essere riportati dal gestore su appositi registri ai quali devono essere allegati i certificati analitici. I registri devono essere tenuti a disposizione dell’autorità competente per il controllo (punto 2.7);
Quanto ai secondi è disposto che:
- le emissioni convogliate si considerano conformi ai valori limite se nessuna delle medie di 24 ore supera i valori limite di emissione e se nessuna delle medie orarie supera i valori limite di emissione di un fattore superiore a 1,25 (punto 2.2);
- il sistema di misura in continuo deve assicurare un indice mensile di disponibilità delle medie orarie non inferiore all’80%; in caso questo valore non sia raggiunto, ne deve essere data comunicazione all’autorità competente per il controllo (punto 2.4);
- qualora, poi, il gestore preveda che le misure in continuo di uno o più inquinanti non potranno essere registrate per periodi superiori alle 48 ore, deve informare tempestivamente l’autorità e, ove tecnicamente ed economicamente possibile, attuare forme di controllo sulle emissioni alternative basate su misure discontinue (punto 2.5).
In ogni caso, qualsiasi interruzione del normale funzionamento degli impianti di abbattimento deve essere annotata su di un apposito registro, tenuto a disposizione dell’autorità competente per il controllo (punto 2.8). Requisiti e prescrizioni funzionali specifici sono previsti per i sistemi di monitoraggio in continuo delle emissioni e dettagliati al par. 3 dell’allegato in esame. Tra le indicazioni fornite dal legislatore si segnalano per la rilevanza e portata applicativa le seguenti:
- il sistema di rilevamento deve essere realizzato con una configurazione idonea a garantirne il funzionamento continuo non presidiato in tutte le condizioni ambientali e di processo (punto 3.1);
- il gestore per garantire la qualità dei dati raccolti deve adottare procedure che documentino le modalità e l’avvenuta esecuzione degli interventi manutentivi programmati e straordinari nonché delle operazioni di calibrazione e taratura della strumentazione (punto 3.1);
- le operazioni di manutenzione periodica e straordinaria devono essere registrate mediante la redazione di una tabella riepilogativa degli interventi (punto 3.2);
- gli analizzatori in continuo devono essere certificati (punto 3.3) e dotati di un sistema di calibrazione in campo (punto 3.6);
- il sistema di misura in continuo deve espletare almeno le seguenti funzioni: campionamento e analisi; calibrazione; acquisizione, validazione, elaborazione automatica dei dati (punto 3.4);
- il posizionamento della sezione di campionamento secondo la norma Uni 10169 (edizione giugno 1993) od, ove ciò non sia tecnicamente possibile, secondo le disposizioni date dalle autorità competenti per il controllo (punto 3.5);
- le procedure di validazione dei dati per tipo di processo sono stabilite dall’autorità competente per il controllo, sentito il gestore (punto 3.7.2).
[1] «Direttiva 2008/50/Ce relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa» (modificata da ultimo con direttiva della Commissione n. 2015/1480).
[2] In particolare sono state sostituite: la direttiva n. 96/62/Ce in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente, la direttiva 1999/30/CE concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo, la direttiva 2000/69/Ce concernente i valori limite per il benzene e il monossido di carbonio nell’aria ambiente, la direttiva 2002/3/Ce relativa all’ozono nell’aria, e la decisione 97/101/Ce del Consiglio, che instaura uno scambio reciproco di informazioni e di dati provenienti dalle reti e dalle singole stazioni di misurazione dell’inquinamento atmosferico negli Stati membri.
[3] Art. 2, comma 1, n. 16, direttiva 2008/50/Ce.
[4] Direttiva 2008/50/Ce, art. 2, comma 1, n. 17. Si noti che lo Stato italiano ha fissato quale soglia una densità di popolazione per km2 superiore a 3.000 abitanti [D.Lgs. n. 155/2010, art. 2, comma 1, lettera f)].
[5] Art. 13, direttiva 2008/50/Ce.
[6] Art. 14, direttiva 2008/50/Ce.
[7] I valori limite e i valori obiettivo sono specificati rispettivamente agli allegati XI e XIV alla direttiva.
[8] I valori soglia di allarme sono individuati all’allegato XII alla direttiva.
[9] Art. 24, comma 2, direttiva 2008/50/Ce.
[10]Art. 19, direttiva 2008/50/Ce. Si osserva che gli stati membri devono anche fornire, periodicamente, informazioni sulla qualità dell’aria ambiente alla Commissione (art. 27). Le modalità di attuazione degli obblighi di comunicazione, nonché per lo scambio di informazioni tra stati membri, sono stabilite nella decisione della Commissione n. 2011/850/Ue.
[11] Si ricorda che la direttiva 2015/1480/Ue del 28 agosto 2015 ha modificato alcune norme tecniche degli Allegati alla direttiva 2008/50/Ce relative al numero minimo di punti di campionamento, ai metodi di riferimento da adottare per la valutazione dei valori di concentrazione e alla convalida dei dati di valutazione della qualità dell’aria ambiente. La medesima direttiva ha modificato anche alcune norme tecniche contenute negli allegati alla direttiva 2004/107/Ce – direttiva concernente l'arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente. Queste modifiche devono essere recepite dagli stati membri entro il 31 dicembre 2016.
[12] In questo senso, ad esempio, sentenza del 19 dicembre 2012, Commissione c. Italia, C- 68/11, ECLI:EU:C:2012:815.
[13] Arsenico, cadmio, nickel e benzo(a)apirene - quest’ultimo in quanto marker per il rischio cancerogeno degli idrocarburi policiclici.
[14] Le specifiche modalità di valutazione sono stabilite all’art. 4 della direttiva e comprendono misurazioni in punti fissi, tecniche di modellizzazione, utilizzo di misure indicative e di stime.
[15] Inoltre (art. 5 della direttiva), gli stati membri devono fornire periodicamente alla Commissione informazioni dettagliate circa le zone e agglomerati dove si riscontri un superamento (aree di superamento, valori riscontrati, motivi e fonti del superamento, popolazione esposta).
[16] Direttiva 96/61/Ce del Consiglio del 24 settembre 1996 (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento).
[17] Commissione, Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni, Un programma "Aria pulita" per l'Europa, Com/2013/0918 (final).
[18] La soglia di valutazione superiore è il «livello al di sotto del quale le misurazioni in siti fissi possono essere combinate con misurazioni indicative o tecniche di modellizzazione e, per l’arsenico il cadmio in nichel e il benzo(a)pirenere, livello al di sotto del quale le misurazioni in siti fissi possono essere combinate con tecniche di modellizzazione»; la soglia di valutazione inferiore è «il livello al di sotto del quale è previsto, anche in via esclusiva, l’utilizzo di tecniche di modellizzazione o di stima obiettiva» (i rispettivi valori sono stabiliti all’Allegato II, sezione I).
[19] Corte costituzionale, sentenza n. 41/2014.
[20] È prevista anche l’adozione di tutte le misure necessarie a raggiungere i valori limite nei termini prescritti. Si noti, tuttavia, che il termine ultimo per il raggiungimento era il 1° gennaio 2010. In caso di proroga ai sensi dell’art. 22 della direttiva 2008/50/CE per il biossido di azoto e il benzene si applicano a partire dalla data individuata nella decisione della Commissione e i valori limite previsti dall'allegato XI per il PM10 si applicano a partire dall'11 giugno 2011. L’Italia ha richiesto proroghe sia con riferimento al biossido di azoto sia in relazione al PM10, che sono state accolte solo con riferimento ad alcune zone. In ogni caso, anche i periodi di proroga concessi sono a oggi terminati. Le notifiche e le decisioni relative sono disponibili al seguente link: http://ec.europa.eu/environment/air/quality/legislation/time_extensions.htm.
[21] Valori limite per cadmio nichel e benzo(a)pirene. Sui piani da adottare in caso di superamenti dei valori obiettivo per l’ozono, vedere di seguito, riferimenti all’art. 13, e alla possibilità di adottare piani d’azione. Si ricorda che la norma richiede il raggiungimento dei valori obiettivo entro il 31 dicembre 2012.
[22] Il termine previsto per il raggiungimento dei valori obiettivo per l’ozono era il 1° gennaio 2010 (allegato VII).
[23] Se il rischio di superamento riguarda i limiti di cui all’allegato XII, paragrafo 2 i piani sono adottati solo qualora, alla luce delle condizioni geografiche, metereologiche ed economiche, la durata o la gravità del rischio o la possibilità di ridurlo risultano significative sulla base di un’apposita istruttoria.
[24] Valori obiettivo e valori a lungo termine per l’ozono.
[25] In questa ipotesi i piani d’intervento nel breve termine: «hanno ad oggetto specifiche circostanze contingenti, non aventi carattere strutturale o ricorrente, che possono causare un superamento o che possono pregiudicare il processo di raggiungimento dei valori limite o di perseguimento dei valori obiettivo e, che, per effetto di tale natura non sono prevedibili e contrastabili attraverso gli altri piani e misure» (art. 10).
[26] Le emissioni da fonti naturali sono emissioni non causate né direttamente né indirettamente da attività umane, inclusi eventi naturali quali eruzioni vulcaniche, attività sismiche, attività geotermiche, incendi spontanei, tempeste di vento, aereosol marini o trasporto e risospensione atmosferici di particelle naturali dalle regioni secche.
[27] Si noti, inoltre, che l’art. 22 della direttiva prevedeva la possibilità di chiedere, al ricorrere di determinate condizioni, una proroga di 5 anni (quindi, fino al 1° gennaio 2015) per il rispetto dei valori limite fissati per il biossido di azoto e il benzene (comma 1) nonché una esenzione dal rispetto dei valori limite stabiliti per il PM10 fino all’11 giugno 2011 (comma 2).
[28] Dettagliate previsioni circa le comunicazioni che devono essere effettuate al ministero dell’Ambiente, all’Ispra e alle istituzioni europee sono contenute all’art. 19 del D.Lgs. n. 155/2010.
[29] Il testo unico ambientale, invece, non si occupa espressamente delle emissioni odorigene; in giurisprudenza però, aderendo a un concetto ampio di inquinamento atmosferico, si ammette che l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera possa valutare anche i profili relativi alle molestie olfattive delle attività produttive. Si è espresso in tal senso il Tar Veneto con la sentenza n. 573/2014. Sebbene il D.Lgs. n. 152/2006 non contenga alcun riferimento espresso alle emissioni odorigene, il giudice, accogliendo un concetto ampio di “inquinamento atmosferico” e di “emissioni in atmosfera” ha ritenuto che le emissioni odorigene possano essere valutate, secondo le migliori tecniche disponibili, in sede di rilascio dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
[30] Oltre alla nota distinzione tra emissioni convogliate e diffuse, la prassi ulteriormente classifica le sorgenti emissive come: continue o discontinue in relazione al parametro temporale; fisse o mobili con riferimento al parametro spaziale. Infine, non si confondano le emissioni diffuse con le emissioni fuggitive, che ne rappresentano, invero, un sottoinsieme. Con tale ultima locuzione, infatti sono descritte «le emissioni gassose di sostanze organiche volatili, dovute alle perdite fisiologiche e cioè non accidentali, dagli organi di tenuta degli impianti chimici e petrolchimici. I principali organi di tenuta che si prendono in considerazione sono quelli relativi a: flange, valvole di sicurezza, compressori, pompe e valvole di regolazione». La definizione, contenuta nel glossario ambientale di Arpa Veneto è disponibile all’indirizzo: http://www.arpa.veneto.it/servizi-online/glossari-ambientali/glossario-ambientale/emissioni-fuggitive
[31] Diversamente, per gli impianti di cui al titolo II, ovvero gli impianti termici civili di potenza termica nominale inferiore a 3MW, non è previsto il rilascio di un’autorizzazione per l’esercizio, ma l’installatore ne deve dichiarare la conformità alle caratteristiche tecniche di cui all’art. 285 D.Lgs. n. 152/2006, nonché l’idoneità a rispettare i valori limite di cui all’art. 286, D.Lgs. n. 152/2006.
[32]La giurisprudenza della Corte di cassazione penale, in casi di contestata l’assenza dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ha chiarito che l’autorizzazione è dovuta solo qualora le emissioni siano effettivamente prodotte e non anche se l’impianto sia solo potenzialmente in grado di produrle. Si veda la sentenza della Cassazione penale n. 36903/2015, che conferma le sentenze della Cassazione penale n. 34087/2014 e n. 5347/2011. Inoltre, qualora l’impianto produca emissioni in atmosfera è sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 279, D.Lgs. n. 152/2006, la mera assenza di autorizzazione, indipendentemente dal fatto che le emissioni in atmosfera superino o meno i valori limite stabiliti dalla legge, attesa la natura formale del reato in questione. Sul punto si veda Cassazione penale sentenza n. 1713/2015.
[33] Ciò non esclude, però, la necessità di autorizzazione per l’impianto singolo, non inserito in una più vasta attività produttiva. La Corte di cassazione penale, sentenza n. 191/2013, precisa che il concetto di stabilimento «può essere integrato anche dal singolo impianto che sia dotato di autonomia operativa, con la conseguenza che la natura “mobile” dell’impianto non costituisce caratteristica che di per sé lo sottragga alla disciplina sulle immissioni». Il principio deve, peraltro, trovare coordinamento con le disposizioni contenute nell’art. 272, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, che escludono l’obbligo di autorizzazione anche per gli impianti mobili che non operano all’interno di uno stabilimento, qualora si tratti di attività che producono emissioni scarsamente rilevanti per l’inquinamento.
[34] La circolare del 7 novembre 2013, di cui si discute, è disponibile per consultazione e download all’indirizzo: http://www.minambiente.it/notizie/circolare-del-ministro-orlando-sullautorizzazione-unica-ambientale.
[35] In un primo momento si riteneva che l’operatività della riforma forse circoscritta alle sole pmi non soggette ad Aia e Via e ciò in quanto sia l’art. 1, comma 1, D.P.R. n. 59/2013 sia l’art. 23, comma 1, D.L. n. 5/2012 nel definire la platea dei destinatari del nuovo procedimento autorizzatorio legavano «gli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale» alle «piccole medie imprese» con la congiunzione «nonché». Il legislatore ha chiarito ogni ambiguità sul punto precisando che «un impianto produttivo non soggetto all’Aia è soggetto all’Aua anche quando il gestore sia una grande impresa».
[36] La circolare individua due casi in cui il ricorso al procedimento di Aua non è obbligatorio, ma rappresenta una mera facoltà per il gestore dell’impianto. Precisamente, è previsto che il gestore possa non avvalersi dell’Aua qualora l’impianto sia soggetto esclusivamente a comunicazione o ad autorizzazione di carattere generale (art. 3, comma 3, D.P.R. n. 59/2013), nonché qualora il gestore voglia aderire alle autorizzazioni generali alle emissioni (art. 7, comma 1, D.P.R. n. 59/2013).
[37] Preliminarmente al rilascio dell’autorizzazione, l’autorità competente verifica se le emissioni diffuse di ciascun impianto siano tecnicamente convogliabili sulla base delle migliori tecniche disponibili e, in questo caso, ne dispone la captazione e il convogliamento (art. 270, comma 1). Il convogliamento è ordinato anche qualora la tecnica individuata non soddisfi il requisito della “disponibilità” (ovvero qualora la tecnica di cui si chiede l’applicazione non risulti sviluppata a condizioni tecnicamente ed economicamente valide nel pertinente comparto industriale) in caso di particolari situazioni di rischio sanitario oppure qualora l’impianto sia sito in zone che richiedono una particolare tutela ambientale (art. 270, comma 2). Di norma ciascun impianto (o macchinario fisso dotato di autonomia funzionale) deve avere un solo punto di emissione (art. 270, comma 5). Ove non sia tecnicamente possibile, l’autorità può autorizzare un impianto con più punti di emissione oppure, ove opportuno, l’autorità competente può consentire il convogliamento delle emissioni prodotte da più impianti in uno o più punti di emissione comuni purché le emissioni di tutti gli impianti presentino caratteristiche omogene dal punto di vista chimico-fisico (art. 270, commi 6 e 7). Con specifico riferimento ai grandi impianti di combustione è altresì precisato che, ciascun camino, contenente una o più canne di scarico, corrisponde a un punto di emissione anche ai fini dell’applicazione dell’art. 270 del D.Lgs.n. 152/2006 (art. 273, comma 7).
[38] Anche il D.P.R. n. 59/2013 dispone una durata dell’Aua – l’autorizzazione che andrà a sostituire l’autorizzazione ordinaria ai sensi dell’art. 269, D.Lgs. n. 152/2006 –pari a 15 anni.
[39] Per un approfondimento del tema, si rinvia al capitolo 2.
[40] Il Tar Bologna (sentenza n. 49/2011) sul punto ha precisato che «affinché la modifica sia sostanziale è sufficiente che vi sia un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o un’alterazione delle condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse. Quindi, sono sufficienti modifiche minime concernenti le emissioni per giustificare un procedimento più completo con la partecipazione di tutti gli enti coinvolti e titolari istituzionalmente di un interesse alla tutela dell’ambiente».
[41] In questo senso si veda la sentenza del consiglio di Stato n. 1633/2016.
[42] La presentazione di autonoma istanza di adesione all’autorizzazione generale per il tramite del suap è ammessa non solo nel caso di attività soggetta unicamente ad autorizzazione generale, ma anche nel caso in cui l’attività sia soggetta ad altri titoli abilitativi tra quelli sostituiti dall’Aua. Sul punto, si veda la circolare ministeriale 7 novembre 2013 più volte citata, par. 4.
[43] Si veda la sentenza della Cassazione penale n. 19330/2014, che ha ritenuto sussistente la contravvenzione di cui all’art. 279, comma 3 nei confronti del titolare di una autocarrozzeria che aveva omesso di comunicare all’autorità competente l'avvio dell'esercizio dell'attività come previsto dall'art. 272, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006.
[44] In data 19 maggio 2016 è stato approvato il decreto n. 118 che modifica l’Allegato I, parte III, paragrafo 1, punto 1.3 alla parte V per quel che riguarda le emissioni in atmosfera di carbonio organico totale degli impianti alimentati a biogas.
[45] A titolo meramente esemplificativo, sono disciplinate nella parte III, allegato I: gli impianti di combustione con potenza termica nominale inferiore a 50 MW; impianti di essiccazione; motori fissi a combustione interna; turbine a gas fisse; cementifici; forni eccetera.
[46] L’art. 268, comma 1, lettera v), definisce soglia di rilevanza dell’emissione il «flusso di massa, per singolo inquinante o per singola classe di inquinanti, calcolato a monte di eventuali sistemi di abbattimento, e nelle condizioni di esercizio più gravose dell'impianto, al di sotto del quale non si applicano i valori limite di emissione».
[47] A questo fine, era previsto l’adeguamento delle autorizzazioni in essere entro tale data. Peraltro, tale termine è stato prorogato al 1°gennaio 2017 per i grandi impianti di combustione anteriori al 2013 che abbiano presentato istanze di deroga ai sensi dei commi 4 e 5 del medesimo art. 273.
[48] L’esclusione si riferisce agli impianti termici civili che utilizzano i combustibili previsti dall'allegato X diversi da biomasse e biogas.
[49] L’art. 268, lettera rr) definisce “soglie di consumo” «il consumo di solvente espresso in tonnellate/anno stabilito dalla parte II dell'Allegato III alla Parte quinta del presente decreto, per le attività ivi previste».
[50] L’art. 276, comma 6 prevede la necessità di ottenere l’autorizzazione ai sensi dell’art. 269 per gli impianti di caricamento della benzina presso i terminali che producono emissioni in atmosfera e non risultano adeguati alle prescrizioni di cui all’allegato VII alla parte V.
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APPA Trento- alessandro.pierini@provincia.tn.it
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