Linee vita.
Numerose Regioni hanno ormai emanato provvedimenti che rendono obbligatoria l’installazione di linee vita sugli edifici (nuovi e/o anche esistenti, in caso di ristrutturazioni significative), al fine di dotarli strutturalmente di sistemi di protezione contro le cadute dall’alto.
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La Regione Toscana è stata la prima a introdurre l’obbligo dell’installazione di linee vita, seguita da Liguria, Lombardia, Piemonte Emilia Romagna e Marche.
La definizione
La linea vita (secondo la norma Uni En 795) è un insieme di ancoraggi posti in quota sulle coperture degli edifici, alla quale si agganciano gli operatori tramite imbracature e relativi cordini. La linea vita può essere un’installazione stabile o temporanea. Nel primo caso viene installata sulle coperture dei nuovi edifici in modo stabile, ai fini della loro manutenzione, mentre nel secondo caso viene utilizzata per il montaggio di edifici prefabbricati e successivamente smontata.
A questo riguardo, deve essere precisato che la linea vita rientra tra le “misure di protezione”, ma non è una misura di protezione necessariamente collettiva. Infatti, l’art. 115 del D.Lgs. n. 81/2008 ne prevede a carico del datore di lavoro l’obbligo di utilizzo anche nell’ipotesi in cui «non siano state attuate misure di protezione collettiva». Per altro, la linea vita neppure può essere inquadrata stricto iure tra i dispositivi di protezione individuale (Dpi).
La classificazione
La linea vita rientra piuttosto tra i “sistemi di protezione” previsti dall’art. 13, par. 2, lett. d) della direttiva-quadro 89/391/Cee, anche se il legislatore italiano, nel recepire il dettato comunitario, ha preferito utilizzare l’espressione «dispositivi di protezione» (quest’ultima da riferirsi tendenzialmente ai Dpi, ma non sempre).
Ad esempio, nell’art. 80, comma 3 del D.Lgs. n. 81/2008 si legge che il datore di lavoro, a seguito della valutazione del rischio elettrico, deve tra l’altro «individuare i dispositivi di protezione collettivi ed individuali necessari alla conduzione in sicurezza del lavoro»; anche al successivo art. 111, comma 5 si parla esplicitamente di «dispositivi di protezione collettiva contro le cadute»; nel «Manuale illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati» adottato dall’Inail ai sensi dell’art. 3 comma 3 del D.P.R. 177/2011 (edizione 2013) è scritto poi esplicitamente (par. 1.1 - «Misure e precauzioni preliminari») che «Prima dell’inizio dei lavori è necessario (definire le) modalità di verifica dei requisiti e dell’idoneità dei Dpc (dispositivi di protezione collettiva) e dei Dpi».
Un prodotto da costruzione
Chiarito che l’espressione “sistema di protezione” è cosa diversa da un Dpi, va detto che le linee vita vengono fatte rientrare, in quanto tali, nei “prodotti da costruzione”, soggetti alle norme del regolamento Ue n. 305/2011, le quali - come è per la “direttiva macchine”- sono destinate a favorire il principio della libera concorrenza e della libera circolazione dei prodotti, rispetto al quale l’obiettivo “sicurezza” ha valenza secondaria (condicio sine qua non). [1]Vedere 1° e 3° “considerando” del Regolamento UE n. 305/2011: 1°: Secondo le norme vigenti negli Stati membri, le opere di costruzione sono concepite e realizzate in modo da non mettere a repentaglio la sicurezza delle persone, degli animali domestici o dei beni e da non danneggiare l'ambiente. Secondo le norme vigenti negli Stati membri, le opere di costruzione sono concepite e realizzate in modo da non mettere a repentaglio la sicurezza delle persone, degli animali domestici o dei beni e da non danneggiare l'ambiente. – 3°: Il presente regolamento non dovrebbe pregiudicare il diritto degli Stati membri di prescrivere i requisiti che essi reputino necessari per assicurare la protezione della salute, dell'ambiente e dei lavoratori nell'utilizzazione dei prodotti da costruzione). Non essendo Dpi, le linee vita non devono riportare la marcatura Ce come i Dpi, salvo che per i cosiddetti che siano «portati in loco e messi in opera dal lavoratore», e da questi «rimossi al termine del lavoro» (circolare del ministero del Lavoro n. 38 del 13 febbraio 2015).
Secondo quanto dispone espressamente l’art. 115 del D.Lgs. n. 81/2008, le linee vita (rigide e/o flessibili) devono risultare «conformi alle norme tecniche» e altresì idonee «per l’uso specifico» (si tratta di modifiche operate con il D.Lgs. n. 106/2009).
La filosofia generale
Quanto agli obblighi prevenzionistici riferiti alle linee vita, la filosofia generale di tutela muove dall’affermazione di principio, contenuta nel decimo “considerando” della direttiva 2001/45/Ce, per il quale «In genere le misure di protezione collettiva contro le cadute offrono una protezione migliore delle misure di protezione individuale».
È così che l’art. 111, comma 1 del D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce in via principale l’obbligo, per il datore di lavoro, di scegliere le attrezzature di lavoro «più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure», irrobustito dal criterio della “priorità” delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (comma 1, lett. a), con richiamo concettuale all’art. 15, comma 1, lett. i) del testo unico, a sua volta derivante dall’art. 6, par. 2, lett. d) della direttiva-quadro 89/391/Cee).
D’altro canto, l’art. 15 del D.Lgs. n. 81/2008 è richiamato anche dall’allegato XV al testo unico («Contenuti minimi dei piani di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili»), ove al punto 2.1.1. viene indicato a chiare lettere che i contenuti generali del piano di sicurezza e di coordinamento «sono il risultato di scelte progettuali ed organizzative conformi alle prescrizioni dell'articolo 15 del presente decreto».
La scelta
Nell’ambito di un sistema normativo improntato al principio della sicurezza cosiddetta “gradata” nella scelta delle attrezzature di lavoro utilizzabili per i lavori temporanei in quota (compresi i sistemi di accesso ai posti di lavoro, anche a fini di evacuazione in caso di pericolo “imminente”), il criterio generale di scelta è quello della minimizzazione dei rischi specifici insiti nell’uso delle attrezzature di lavoro (art. 111, comma 5), con l’ulteriore prescrizione relativa ai dispositivi anticaduta, che per quanto possibile devono prevenire lesioni ai lavoratori, in ogni caso di caduta da luoghi di lavoro in quota (sia a terra, sia in sospensione). Anche questa previsione è un’applicazione specifica della misura generale dell’obbligo di riduzione al minimo dei rischi, inserita dall’art. 15, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 81/2008 tra le misure generali di tutela.
La valutazione
Le disposizioni di legislazione regionale inerenti all’obbligo di installazione delle linee vita fin dalla fase di progettazione tecnica dell’opera, non esonerano in ogni caso né il committente (tramite i coordinatori) né il datore di lavoro dall’attività di valutazione del rischio di caduta dall’alto, valutazione che deve essere effettuata avendo quale criterio prioritario la priorità nell’utilizzo delle misure di protezione collettive rispetto a quelle individuali, così come dispone l’art. 15 del D.Lgs. n. 81/2008.
Così ad esempio per le scale a pioli il criterio normativo è quello della sussistenza di condizioni di «limitato livello di rischio» e di «breve durata di impiego», oppure delle caratteristiche esistenti dei siti, che il datore di lavoro non può modificare (art. 111, comma 3); mentre per i sistemi a funi il criterio normativo è quello del conseguimento di un livello di sicurezza accettabile (implicante facoltà di non impiego di un’attrezzatura di lavoro considerata più sicura), risultante dall’attività di valutazione dei rischi, sempre che si versi in situazioni di «breve durata di impiego», e di caratteristiche esistenti dei siti, che il datore di lavoro non può modificare (art. 111, comma 4).
Una pre-condizione
Ciò significa che l’esistenza della linea vita non risolve di per sé la problematica inerente alla valutazione del rischio, ma ne è solo la precondizione fattuale. Occorre distinguere tra dimensione progettuale dell’obbligo e dimensione prevenzionistica di esso (rivolta alla tutela delle condizioni di lavoro): la circostanza dell’esistenza della linea vita non indica di per sé che il rischio di caduta sia per ciò solo “minimizzato”, conformemente al combinato disposto degli artt. 15, 111 e 115 del D.Lgs. n. 81/2008. Tra l’altro la linea vita, quale dispositivo di ancoraggio installato permanentemente alla struttura dell’edificio, è solo unemento del sistema di protezione anticaduta, il quale prevede sempre l’utilizzo associato, da parte del lavoratore, di un Dpi (“cordino”). Ed essendo questi Dpi, ai sensi dell’art. 4, comma 6, lett. h) del D.Lgs. n.475/1992, ascrivibili alla “terza” categoria (art. 77 commi 4, lett. h) e 5 lett. a) del D.Lgs. n. 81/2008), il datore di lavoro ha l’obbligo di informare, formare e addestrare i lavoratori che ne fanno uso.
Le responsabilità
Quanto alle responsabilità soggettive, va detto che nei cantieri edili e di ingegneria civile la ripartizione dei compiti e delle responsabilità tra committente, coordinatori e datori di lavoro delle imprese esecutrici può essere delineata come segue: in primo luogo va ribadito che i coordinatori - fermo restando l’obbligo preliminare della valutazione di tutti i rischi professionali e gli obblighi inerenti alla segnalazione delle inosservanze al committente e alla sospensione obbligatoria delle singole lavorazioni in caso di pericolo grave e imminente: lett. e) e f) dell’art. 92 del D.Lgs. n. 81/2008 - devono limitarsi a gestire direttamente i rischi professionali derivanti dall’effettuazione di lavori temporanei in quota, solo qualora questi determinino “interferenze” tra le lavorazioni (ad esempio esclusivamente a carico alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi.
I casi
Nel caso di infortunio occorso a un lavoratore precipitato a terra durante l’esecuzione di lavori in quota sul coperto di un edificio - causa la lunghezza limitata del cordino di trattenuta, che lo costringeva a rimanere senza protezione per alcuni tratti - la Cassazione (sez. IV pen., 23 ottobre 2014, n. 44111) ha affermato la responsabilità del datore di lavoro per non avere installato un adeguato sistema di ancoraggio (linea vita), che permettesse al lavoratore di rimanere costantemente assicurato durante gli spostamenti lungo il ponteggio. Di fronte all’argomentazione difensiva che il dipendente era munito di cintura di sicurezza e di cordino, che volontariamente non si era agganciato alle opere fisse presenti sul ponteggio, e che l’art. 115 del D.Lgs. n. 81/2008 non obbliga necessariamente all’installazione di una linea vita (atteso che i sistemi di protezione indicati dalla norma devono essere forniti in alternativa tra loro), i giudici di legittimità hanno obiettato che il lavoratore aveva scelto di non ancorarsi alle opere fisse presenti, in quanto «non aveva la possibilità di agganciarsi stabilmente lungo l'intero sviluppo in orizzontale del ponteggio proprio per l'assenza di un adeguato sistema di ancoraggio, nella fattispecie individuato nella cosiddetta linea vita». La valutazione della suprema Corte è stata che l'elencazione dei diversi sistemi di protezione contro le cadute dall'alto fatta nell’art. 115 del D.Lgs. n. 81/2008 «è, sì, rappresentativa di sistemi la cui adozione non è obbligatoriamente contestuale (la norma precisa che essi devono essere non necessariamente presenti contemporaneamente) ma anche chiaramente indicativa del fatto che la scelta dell'adozione di uno o di più di uno di essi dipende dalle necessità del caso concreto. Pertanto, la constatazione dell'adozione di uno o più sistemi non esaurisce il tema della verifica della ottemperanza al disposto di cui al menzionato articolo 115».
In un altro caso di infortunio sul lavoro mortale, occorso al dipendente di un’impresa installatrice nel corso dei lavori di costruzione di una centrale termoelettrica, precipitato dall'altezza di 30 metri causa la rottura di un pannello in fase di montaggio, la Cassazione (sez. IV pen., 22 giugno 2015, n. 26292) ha confermato la condanna del datore di lavoro e del preposto, ai quali era stato tra l’altro addebitato di non aver predisposto una fune salvavita fissata a parti stabili delle opere provvisionali, cui agganciare la cintura di sicurezza. Nel caso di specie, l’accidentale rottura del pannello aveva determinato il collasso anche del parapetto (instabile, in quanto paradossalmente installato alle estremità del pannello da montare) al quale era vincolata la fune di guardia in acciaio, di trattenuta della cintura di sicurezza indossata dal lavoratore. La valutazione dei giudici è stata che il pesantissimo pannello, «lungi dal costituire esso stesso presidio di sicurezza per i lavori da compiersi a 30 metri di altezza, ne era l'oggetto; assumerlo pertanto al tempo stesso anche quale utile ancoraggio in funzione di prevenzione dei rischi di caduta dall'alto, costituisce un evidente corto circuito logico».
Più di recente (Cass. pen. sez. IV, 9 marzo 2018, n. 10740) ha confermato la condanna del datore di lavoro in relazione all’infortunio di un dipendente impegnato su un traliccio dell’alta tensione, in condizioni ambientali particolarmente critiche, senza la possibilità di rimanere agganciato a una linea vita durante lo svolgimento del lavoro, in quanto non prevista (sul tema, vedere anche Cass. pen. sez. IV, 7 giugno 2016, n. 23521 e Cass. pen. sez. IV, 15 dicembre 2016, n. 53287).
Conclusioni
Si deve ritenere che l’obbligo di predisposizione/installazione di linee vita vale tanto quale requisito di ambito progettuale, quanto quale condizione di valenza prevenzionistica. Questo obbligo, temperato ovvero condizionato (secondo i casi) dalla logica di “minimizzazione” del rischio professionale di caduta dall’alto dei lavoratori, assume peraltro funzione “residuale” rispetto all’utilizzo prioritario di misure di protezione collettiva, e opera per tutti i lavori in quota, indipendentemente dal fatto che essi richiedano, in regime di applicazione del titolo IV, capo I del D.Lgs. n. 81/2008, l’allestimento di un vero e proprio “cantiere edile”. In ogni caso, ai sensi del combinato disposto degli artt. 111 e 115 del D.Lgs. n. 81/2008, in caso di effettuazione di lavori in quota non sussiste l’obbligo generale ed incondizionato di predisporre dispositivi di sicurezza collettivi in aggiunta a quelli individuali, stante il carattere prioritario ma non imprescindibile delle misure di protezione collettive, le quali devono necessariamente essere previste ed adottate solo laddove quelle individuali, in considerazione delle loro caratteristiche o in relazione alla tipologia dei lavori, risultino inadeguate (Cass. pen. sez. IV, 6 febbraio 2018, n. 5477).
Note
1. | ↑ | Vedere 1° e 3° “considerando” del Regolamento UE n. 305/2011: 1°: Secondo le norme vigenti negli Stati membri, le opere di costruzione sono concepite e realizzate in modo da non mettere a repentaglio la sicurezza delle persone, degli animali domestici o dei beni e da non danneggiare l'ambiente. Secondo le norme vigenti negli Stati membri, le opere di costruzione sono concepite e realizzate in modo da non mettere a repentaglio la sicurezza delle persone, degli animali domestici o dei beni e da non danneggiare l'ambiente. – 3°: Il presente regolamento non dovrebbe pregiudicare il diritto degli Stati membri di prescrivere i requisiti che essi reputino necessari per assicurare la protezione della salute, dell'ambiente e dei lavoratori nell'utilizzazione dei prodotti da costruzione). |