Pretrattamento dei rifiuti urbani indifferenziati: il Mase ha fornito chiarimenti in risposta a un interpello ambientale di Confindustria.
Al centro del quesito:
- la procedura di biostabilizzazione della frazione di sottovaglio;
- l'attribuzione di un diverso codice Eer alla frazione secca di sopravaglio;
- il principio di prossimità.
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Di seguito i testi dell'interpello e del parere del Mase.
Interpello ambientale di Confindustria 4 settembre 2024, n. 160173
Oggetto: Interpello in materia ambientale ai sensi dell’art. 3 septies D.Lgs. n. 152/2006
La scrivente Confindustria, principale associazione di categoria delle imprese manifatturiere e dei servizi italiane, rappresentata al CNEL, sottopone il presente interpello in materia ambientale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3-septies del D.lgs. 152/2006, relativo all’applicazione della disciplina sul pretrattamento dei rifiuti urbani indifferenziati.
Nel dettaglio, il presente interpello è riferito a impianti in possesso di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che effettuano il pretrattamento di rifiuti urbani indifferenziati (Codice EER 200301) finalizzato a:
- produzione di combustibile da rifiuti (Codice EER 191210) oppure;
- produzione di una frazione secca di sopravaglio (Codice EER 191212) con ridotto contenuto in materiale organico putrescibile, da conferire a impianti che producono combustibile da rifiuti (Codice EER 191210) e/o CSS Combustibile in qualità di End fo Waste;
- produzione di una frazione di sottovaglio in cui si concentra il materiale organico putrescibile (Codice EER 191212).
Ciò premesso, di seguito si forniscono alcune considerazioni di carattere tecnico e normativo pertinenti il caso di specie:
a) Trattamento: l’articolo 2, comma 1, lett. h), D.lgs. 36/2003 (Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti) definisce il "trattamento" come “i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza”. Tale definizione, quindi, sottolinea l’obiettivo di “favorire lo smaltimento in condizioni di sicurezza” piuttosto che imporre la coesistenza (non prevista) in un unico impianto dei processi a tal fine predisposti. In questo senso, è importante notare che il legislatore non ha specificato che le “condizioni di sicurezza”, date dalla necessità di conferire in discarica la frazione di sottovaglio previamente stabilizzata, debbano essere raggiunte in una o più fasi presso uno o più impianti. Inoltre, in ordine ai criteri di ammissibilità in discarica, nell’articolo 7 del D.lgs. 36/2003 non vi è menzione della necessità di coesistenza tra il trattamento meccanico e quello biologico.
Anche la Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 15 ottobre 2014 (C-323/13), ha sottolineato che gli Stati membri hanno “l’obbligo di ricercare e di mettere in atto il trattamento più adatto, compresa la stabilizzazione della frazione organica di tali rifiuti, al fine di ridurre il più possibile le ripercussioni negative dei rifiuti sull’ambiente e, pertanto, sulla salute umana”.
La Corte, quindi, non ha specificato che la stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti (intesa come sottovaglio dove si concentra il materiale organico putrescibile) debba avvenire all’interno di un unico impianto ben potendo, in difetto di espressa previsione contraria, essere implementata in impianti terzi rispetto all’impianto di trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati, a fini di recupero energetico (R1) o, in via subordinata, di biostabilizzazione aerobica.
Inoltre, non avrebbe tecnicamente senso obbligare gli impianti in parola a dotarsi della linea di stabilizzazione, poiché l’articolo 179, D.lgs. 152/2006 (Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti), che recepisce la gerarchia per la gestione dei rifiuti introdotta dalla direttiva 2008/98/CE, stabilisce che il recupero energetico è prioritario (se non propedeutico) rispetto al conferimento in discarica. Tale conferimento deve essere minimizzato al massimo, dato che gli Stati membri sono obbligati a ridurre la quantità di rifiuti urbani smaltiti in discarica al 10%, o a una percentuale inferiore, del totale dei rifiuti urbani generati entro il 2035 (articolo 5, D.lgs. 36/2003).
La gerarchia dei rifiuti è vincolante, come confermato dalla Decisione di esecuzione (UE) 2018/1147 recante le conclusioni sulle BAT per il trattamento dei rifiuti, che stabilisce che “Le presenti conclusioni sulle BAT si applicano ferme restando le disposizioni pertinenti della legislazione dell'UE, ad esempio la gerarchia dei rifiuti” (pag. 40 Gazzetta ufficiale Unione europea 17 agosto 2018, L 208).
Inoltre, al par. 2, della indicata Decisione 2018/1147 (pag. 68 della GU UE cit.), “Conclusioni sulle BAT per il trattamento meccanico dei rifiuti”, si legge espressamente che “Salvo diversa indicazione, le conclusioni sulle BAT illustrate nella sezione 2 si applicano al trattamento meccanico dei rifiuti quando non combinato al trattamento biologico, e in aggiunta alle conclusioni generali sulle BAT della sezione 1[1]La sezione 1 delle BAT Conclusions è dedicata alla disciplina generale che si applica a tutti gli impianti oggetto del loro campo di applicazione. La specifica di cui alla sez. 2, invece, è dedicata al trattamento meccanico dei rifiuti condotto in via esclusiva ”.
Il che restituisce “per tabulas” la dignità previsionale e, quindi, di esistenza di un trattamento meccanico indipendente e disgiunto da quello biologico e capaci ciascuno di vita autonoma.
Pertanto, affermare che i due trattamenti debbano necessariamente coesistere appare destituito di fondamento tecnico e normativo. Gli articoli da 14 a 16 della Direttiva sulle emissioni industriali (cd. IED) stabiliscono che le conclusioni sulle BAT costituiscono il riferimento per la fissazione delle condizioni di autorizzazione e garantiscono che i valori limite di emissione non superino i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili. Le conclusioni sulle BAT rappresentano, quindi, “una misura giuridicamente vincolante” (www.era-comm.eu/Introduction_EU_Environmental_Law/IT/module_10/module_1/bat.html)[2]L'articolo 5, lett. l-ter), Dlgs 152/2006 definisce "documento di riferimento sulle Bat" o "Bref" come il "documento pubblicato dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 13, par. 6, della direttiva 2010/75/Ue". i Bref sono elaborati, riesaminati e, se necessario, aggiornati dalla Commissione europea a seguito di uno scambio di informazioni organizzato dalla medesima Commissione con gli Stati membri, le industrie interessate e le organizzazioni non governative che promuovono la protezione ambientale. Le "conclusioni sulle BAT" sono state introdotte dalla direttiva IED (2010/75/Ue) e, una volta, adottate rappresentano una misura giuridicamente vincolante, posta a base delle autorizzazioni integrate ambientali (AIA). Tali "conclusioni" contengono le parti di un BRef (BAT REFerence document) sulle migliori tecniche disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l'applicabilità, i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e, se del caso, le pertinenti misure di bonifica del sito. Le conclusioni sulle BAT sono adottate mediante decisioni di esecuzione della Commissione secondo la procedura di comitato di cui all'articolo 75 Direttiva IED e stabiliscono anche i cosiddetti BAT-AEL, ossia i livelli di emissione associati all'uso delle migliori tecniche disponibili. .
Si ritiene pertanto che tale assetto normativo consenta di affermare che gli impianti autorizzati con AIA possano non procedere in sito alla biostabilizzazione della frazione di sottovaglio potendo, invece, conferirla a impianti terzi di recupero energetico (R1) o, in via subordinata, di biostabilizzazione aerobica.
In linea teorica, l’Autorità competente, nell'esercizio del suo potere discrezionale, potrebbe prescrivere l’indicata coesistenza in un unico impianto tramite AIA, affermando l’applicazione dei principi di precauzione e azione preventiva alla fonte. Tuttavia, tali principi devono conciliarsi con quello di proporzionalità, il quale impone all’Amministrazione Pubblica di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Tale principio va inteso “nella sua accezione etimologica e dunque da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale” (Consiglio di Stato, sezione V, 21 gennaio 2015, n. 284 – conf., da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 26 settembre 2022, n. 8237).
b) Classificazione dei rifiuti: va considerato che l’articolo 184, comma 1, D.lgs. 152/2006 stabilisce che “1. Ai fini dell'attuazione della parte quarta del Dlgs n. 152/2006 i rifiuti sono classificati, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali...” e che il successivo comma 3, lett. g) classifica come speciali “i rifiuti derivanti dall'attività di recupero e smaltimento di rifiuti”.
Alla luce di ciò, è ragionevole ritenere che la natura del rifiuto ai fini dell’attribuzione dei Codici EER del Capitolo 19, piuttosto che il Codice del rifiuto urbano indifferenziato (200301), dipenda unicamente dall’efficacia del trattamento cui è sottoposto.
Come già chiarito da codesto Spettabile Ministero nella risposta all’interpello del 15 marzo 2022, n. 32592, “la qualifica giuridica di rifiuto urbano, è da intendersi limitatamente all’applicazione dei principi di autosufficienza e prossimità, e non rileva ai fini della corretta attribuzione del codice EER, cui occorre sempre fare riferimento per gli atti autorizzativi necessari al trasporto e allo smaltimento, nonché per l’applicazione delle opportune tariffe.”
Le Linee Guida SNPA sulla classificazione dei rifiuti, di cui al D.D. 47/2021 al paragrafo 3.5.9. stabiliscono che, per i rifiuti derivanti dal trattamento meramente meccanico dei rifiuti urbani, “una condizione essenziale affinché i rifiuti derivanti dal trattamento siano classificabili con codici dell’elenco europeo differenti rispetto a quello del rifiuto d’origine è che il processo abbia portato alla formazione di un rifiuto differente dal punto di vista chimico-fisico (tra cui, composizione, natura, potere calorifico, caratteristiche merceologiche, ecc.)” con un’elencazione non esaustiva di tutte le tipologie di rifiuti prodotti anche dagli impianti di trattamento meccanico.
Infatti, anche le operazioni di mero trattamento meccanico possono apportare modifiche al rifiuto. Il D.D. 47/2021 comunque precisa che diversi sono i fattori da considerare per poter parlare di un cambiamento della natura del rifiuto e della sua eventuale pericolosità. Con riferimento a impianti che ricevono solo rifiuti urbani, vanno valutate molteplici variabili che incidono direttamente sulla natura del rifiuto in uscita dal trattamento: si pensi alla percentuale di raccolta differenziata raggiunta nello specifico contesto territoriale che influisce in maniera determinante sulla natura del rifiuto residuo, la stagionalità, le modalità di raccolta (monomateriale, multimateriale); il tipo di servizio offerto (raccolta porta a porta o stradale), la presenza e il numero di centri di raccolta, di cui al DM 8 aprile 2008, che accolgono, tra l’altro, frazioni pericolose dei rifiuti urbani (pile, RAEE, tipologie di plastiche, imballaggi etichettati, stracci e materiali assorbenti impregnati, farmaci ecc.). Tutte queste variabili determinano una modifica della natura del rifiuto più o meno spinta. Pertanto, è ragionevole ritenere che, per verificare in modo oggettivo l’efficacia del pretrattamento, l’Autorità competente fissi, in contraddittorio con l’azienda interessata in sede di autorizzazione, precisi limiti quali/quantitativi che devono essere rispettati nel corso dell’attività, anche in relazione alla peculiarità degli impianti in esame (in questa prospettiva, Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2022, n. 9738).
In dipendenza e a esito delle indicate valutazioni che precedono, è ragionevole ritenere che il rifiuto così ottenuto (frazione di sopravaglio con un contenuto massimo di materiale organico putrescibile - ad esempio, non superiore al 15%- ) possa anche accedere alla discarica con Codice EER 191212 nel rispetto delle condizioni di cui al D.lgs. 36/2003 e del test di cessione di cui alla Tabella 5 All.4 avvalendosi di quanto previsto dalla nota f), trattandosi di: “rifiuti derivanti dal trattamento meccanico (ad esempio selezione) individuati dal codice 191212”.
c) Principio di autosufficienza e prossimità: l’articolo 182-bis, D.lgs. 152/2006 lo afferma con riguardo sia allo smaltimento che al recupero dei rifiuti urbani indifferenziati e, a tal fine, impone “il ricorso a una rete integrata ed adeguata di impianti”. Il che lascia evidentemente comprendere come gli impianti non debbano realizzare tutte le fasi del trattamento, poiché parti di una rete impiantistica “integrata ed adeguata”.
Diversamente opinando, verrebbe meno il rispetto dell’altra condizione recata dall’articolo 182-bis del D.lgs. 152/2006 per la realizzazione del principio di autosufficienza e prossimità: la considerazione delle BAT e il rapporto costi/benefici.
Pertanto, è ragionevole ritenere che:
- se le indicate conclusioni sulle BAT prevedono la possibilità di indipendenza del trattamento meccanico rispetto a quello biologico;
- se il rapporto costi/benefici è soddisfacente per l’impresa;
- se l’impianto che realizza il solo trattamento meccanico fa parte della
rete impiantistica;
la PA non potrebbe vietare la realizzazione e/o la gestione di un impianto siffatto che, inoltre, rispetta il principio di prossimità.
Questo perché il trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati deve avvenire in uno degli impianti più vicini al centro di raccolta, quindi, all'interno dell’ATO cui appartiene il Comune che ha conferito i rifiuti.
Secondo TAR Lazio, sez. V, 20 giugno 2023 n. 10455, il principio di autosufficienza opera a livello regionale, mentre quello di prossimità, al fine di ridurre movimenti e trasporti dei rifiuti, opera a livello di ATO.
Il TAR afferma che “i due principi si intersecano”: quello di autosufficienza impone alla Regione di individuare una rete di impianti che consentano il trattamento dei rifiuti urbani in Regione, quello di prossimità fa sì che tali rifiuti siano trattati all'interno dell'ATO che li ha prodotti.
Ne deriva che nulla vieta all’impianto che opera il solo trattamento meccanico dei rifiuti urbani indifferenziati di soddisfare il criterio di prossimità, purché il trattamento avvenga all'interno dell’ATO del Comune conferente.
La prossimità, peraltro, rimane un concetto subordinato a quello vincolante della gerarchia dei rifiuti di cui all’articolo 179 del D.lgs. 152/2006.
Alla luce di tutto quanto precede, si chiede cortesemente di fornire i seguenti chiarimenti:
a) se tali impianti, pur dotati di tutti i presidi ambientali previsti dalla BAT- Conclusions di cui alla Decisione Commissione UE 2018/1147, possono non procedere in sito alla biostabilizzazione della frazione di sottovaglio, poiché in grado di conferirla a impianti terzi di recupero energetico (R1) o, in via subordinata, di biostabilizzazione aerobica;
b) in quali casi alla frazione secca di sopravaglio, con un contenuto massimo di materiale organico putrescibile non superiore al 15% e derivante dal trattamento di un rifiuto urbano indifferenziato e conferita ad altro impianto di recupero, è possibile attribuire un diverso Codice EER. Inoltre, se sia in ogni caso necessario ripetere presso l’impianto di destino la separazione del materiale organico putrescibile, già condotta presso l’impianto di trattamento per la produzione del sopravaglio;
c) se è corretto affermare che un impianto di bacino che opera con le modalità “extra sito” di cui sub a), soddisfa il principio di prossimità.
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Parere del ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica 3 marzo 2025, n. 39761
Oggetto: Interpello ai sensi dell’articolo 3-septies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – chiarimenti in materia di pretrattamento dei rifiuti urbani indifferenziati.
Quesito
Con istanza di interpello ex art. 3-septies del D.Lgs. n.152/2006 Confindustria chiede chiarimenti circa la disciplina applicabile alle operazioni di pretrattamento dei rifiuti urbani indifferenziati.
Con riferimento a impianti in possesso di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che effettuano il pretrattamento di rifiuti urbani indifferenziati (codice EER 20 03 01) finalizzato a:
- produzione di combustibile da rifiuti (codice EER 19 12 10) oppure;
- produzione di una frazione secca di sopravaglio (codice EER 19 12 12) con ridotto contenuto in
materiale organico putrescibile da conferire a impianti che producono combustibile da rifiuti
(codice EER 19 12 10) e/o CSS Combustibile in qualità di End fo Waste;
- produzione di una frazione di sottovaglio in cui si concentra il materiale organico putrescibile
- (codice EER 19 12 12),
l’istante chiede che vengano forniti chiarimenti ai seguenti quesiti:
- a) se tali impianti, pur dotati di tutti i presidi ambientali previsti dalla BAT- Conclusioni di cui alla Decisione
Commissione UE 2018/1147, possono non procedere in sito alla biostabilizzazione della frazione di sottovaglio, poiché in grado di conferirla a impianti terzi di recupero energetico (R1) o, in via subordinata, di biostabilizzazione aerobica;
- b) in quali casi alla frazione secca di sopravaglio, con un contenuto massimo di materiale organico putrescibile non superiore al 15% e derivante dal trattamento di un rifiuto urbano indifferenziato e conferita ad altro impianto di recupero, è possibile attribuire un diverso Codice EER. Inoltre, se sia in ogni caso necessario ripetere presso l’impianto di destino la separazione del materiale organico putrescibile, già condotta presso l’impianto di trattamento per la produzione del sopravaglio;
- c)se è corretto affermare che un impianto di bacino che opera con le modalità “extrasito” di cui sub a),soddisfa il principio di prossimità.
Riferimenti normativi
Con riferimento ai quesiti proposti, si riporta il quadro normativo applicabile riassunto come segue:
- decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante “Norme in materia ambientale”.
Considerazioni del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica
Al fine di fornire i richiesti chiarimenti sull’applicazione della disciplina sul pretrattamento dei rifiuti urbani indifferenziati in considerazione del quadro normativo sopraesposto e alla luce dell’istruttoria tecnica condotta e, in particolare, del parere di ISPRA richiesto con nota prot. n. 0160173 del 4/09/2024 e fornito con nota prot. n. 0226874 del 10/12/2024, è emerso quanto segue.
Preliminarmente appare il caso di rilevare che la ricostruzione tecnico-normativa riportata nell’interpello non contribuisce a fornire elementi che consentano di rendere più chiari i quesiti posti. Ciononostante si riportano le seguenti considerazioni sui quesiti oggetto di interpello formulate esclusivamente sulla base delle informazioni fornite.
In merito al quesito a) appare opportuno evidenziare quanto segue.
In generale l’elemento che distingue il trattamento meccanico dal trattamento meccanico biologico è l’effettuazione, nel secondo caso, di un processo di stabilizzazione dei rifiuti da destinare ai successivi trattamenti di recupero o smaltimento.
Gli impianti di gestione dei rifiuti operano in forza di una specifica autorizzazione. Tale atto autorizzativo individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 del D.Lgs. n.152/2006 e contiene, tra gli altri, almeno gli elementi necessari a definire i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati e, per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici da attuare.
In linea generale, un impianto autorizzato a svolgere attività di trattamento meccanico e biologico deve prevedere necessariamente la stabilizzazione mediante trattamento biologico della frazione umida dei rifiuti separati con il trattamento meccanico.
I dati contenuti nel Rapporto Rifiuti Urbani edizione 2024 pubblicato da ISPRA evidenziano che il parco impiantistico nazionale relativamente alla gestione dei rifiuti urbani è composto, tra gli altri, da 34 impianti di trattamento meccanico e 100 impianti di trattamento meccanico e biologico che hanno trattato nel 2023 oltre 8,9 milioni di tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati. Tra i flussi in uscita da tali impianti il 12,3%, pari a quasi 1 milione di tonnellate, è rappresentato da rifiuti destinati a ulteriore trattamento ovvero a processi di biostabilizzazione e di produzione/raffinazione di CSS.
Sul punto appare utile rilevare che ai sensi dell’articolo 196 del D.Lgs. n.152/2006 è di competenza delle regioni, sentite le province, i comuni e le autorità d'ambito, la predisposizione, l'adozione e l'aggiornamento dei piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all'articolo 199.
I piani di gestione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 199 dello stesso decreto devono contenere, tra l’altro, l'analisi del sistema esistente di gestione dei rifiuti nell'ambito geografico interessato e le misure da adottare per migliorare l'efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti. Inoltre i piani devono effettuare la ricognizione dell’impiantistica esistente oltre a valutare la necessità di prevedere la realizzazione di ulteriori infrastrutture o la realizzazione di misure di adeguamento e modifica degli impianti esistenti di trattamento dei rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182-bis. Pertanto è l’atto di pianificazione regionale che individua l’assetto impiantistico necessario a garantire una corretta gestione dei rifiuti in coerenza dei principi di pianificazione previsti dalla parte IV del D.Lgs. n.152/2006 e individua il sistema integrato di trattamento dei rifiuti urbani, in coerenza anche con le previsioni del Capitolo 9 del Programma Nazionale per la gestione dei rifiuti.
L’articolo 200 del citato decreto prevede che la gestione dei rifiuti urbani sia organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali (ATO) delimitati dal piano regionale di cui all'articolo 199, ovvero sulla base di modelli alternativi o in deroga al modello degli ATO, laddove il piano regionale dei rifiuti dimostri la propria adeguatezza rispetto agli obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente. Inoltre lo stesso articolo 200, al comma 4, prevede che “Le regioni disciplinano il controllo, anche in forma sostitutiva, delle operazioni di gestione dei rifiuti, della funzionalità dei relativi impianti e del rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni”.
Per quanto sopra spetta all’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione e gestione degli impianti di trattamento dei rifiuti valutare la coerenza della proposta impiantistica oggetto dell’istanza con le previsioni e con le linee strategiche delineate dagli atti di pianificazione, nonché la coerenza della proposta impiantistica con l’organizzazione del sistema integrato di gestione dei rifiuti regionale.
Con riferimento al quesito b) si rammenta che la classificazione è un onere che ricade in capo al produttore dei rifiuti il quale è tenuto ad assegnare il pertinente codice dell’elenco europeo dei rifiuti di cui alla decisione della Commissione 2000/532/CE nonché ad applicare le disposizioni contenute in tale decisione, nella direttiva 2008/98/CE e nella parte IV del D.Lgs. n. 152/2006.
Per l’attribuzione del pertinente codice dell’elenco europeo dei rifiuti è opportuno fare riferimento alle Linee Guida SNPA sulla classificazione dei rifiuti approvate con D.D. n.47/2021 integrate dal paragrafo denominato “3.5.9 - Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati”. In merito all’ultima parte del quesito relativo alla necessità di ripetere presso l’impianto di destino la separazione del materiale organico putrescibile, già condotta presso l’impianto di trattamento per la produzione del sopravaglio, si ricorda che gli impianti di gestione dei rifiuti devono effettuare le operazioni di trattamento previste nelle autorizzazioni rilasciate dalle autorità competenti. Relativamente al terzo quesito, non risulta possibile fornire elementi tecnici di riscontro non essendo chiaro cosa si intenda per “impianto di bacino” e per “impianto che opera in modalità extra sito”.
Le considerazioni sopra riportate, rese nel rispetto delle condizioni e dei termini di cui all’articolo 3- septies del D.Lgs. n.152/2006, sono da ritenersi pertinenti e valide in relazione al quesito formulato, con esclusione di qualsiasi riferimento a specifiche procedure o procedimenti, anche a carattere giurisdizionale, eventualmente in corso o in fase di evoluzione, per i quali occorrerà considerare tutti gli elementi pertinenti al caso di specie, allo stato, non a conoscenza e non rientranti nella sfera di competenza di questa Amministrazione.
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Note
1. | ↑ | La sezione 1 delle BAT Conclusions è dedicata alla disciplina generale che si applica a tutti gli impianti oggetto del loro campo di applicazione. La specifica di cui alla sez. 2, invece, è dedicata al trattamento meccanico dei rifiuti condotto in via esclusiva |
2. | ↑ | L'articolo 5, lett. l-ter), Dlgs 152/2006 definisce "documento di riferimento sulle Bat" o "Bref" come il "documento pubblicato dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 13, par. 6, della direttiva 2010/75/Ue". i Bref sono elaborati, riesaminati e, se necessario, aggiornati dalla Commissione europea a seguito di uno scambio di informazioni organizzato dalla medesima Commissione con gli Stati membri, le industrie interessate e le organizzazioni non governative che promuovono la protezione ambientale. Le "conclusioni sulle BAT" sono state introdotte dalla direttiva IED (2010/75/Ue) e, una volta, adottate rappresentano una misura giuridicamente vincolante, posta a base delle autorizzazioni integrate ambientali (AIA). Tali "conclusioni" contengono le parti di un BRef (BAT REFerence document) sulle migliori tecniche disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l'applicabilità, i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e, se del caso, le pertinenti misure di bonifica del sito. Le conclusioni sulle BAT sono adottate mediante decisioni di esecuzione della Commissione secondo la procedura di comitato di cui all'articolo 75 Direttiva IED e stabiliscono anche i cosiddetti BAT-AEL, ossia i livelli di emissione associati all'uso delle migliori tecniche disponibili. |