Carbone vegetale come sottoprodotto: quale possibile utilizzo?

Carbone vegetale come sottoprodotto

Carbone vegetale come sottoprodotto: quale possibile utilizzo? A chiederlo è la Provincia di Bolzano che sul tema ha indirizzato un interpello ambientale al Mase. In particolare, sono stati chiesti chiarimenti:

  • sulla possibilità del utilizzo del biochar in impianto di compostaggio e/o nella produzione di calcestruzzo;
  • sulla possibilità in generale di riutilizzare un sottoprodotto in sostituzione di una materia prima;
  • sull’applicazione dei limiti previsti in Austria per la qualifica come sottoprodotto.
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Di seguito il testo del parere ministeriale; il testo dell'interpello ambientale è disponibile in pdf alla fine della pagina.

Carbone vegetale come sottoprodotto

Parere del ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica 1° agosto 2024, n. 143192

Oggetto: Interpello ai sensi dell’articolo 3-septies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – Chiarimenti sulla possibilità di utilizzo del biochar in impianti di compostaggio ovvero in impianti per la produzione di calcestruzzo

 

QUESITO

Con istanza di interpello ex art. 3-septies del D.Lgs. n.152/2006 la provincia autonoma di Bolzano chiede chiarimenti sulla possibilità di utilizzo del biochar in impianti di compostaggio ovvero in impianti per la produzione di calcestruzzo. In particolare l’istante evidenzia che “Dagli impianti Heizwerk Vierschach Srl (Centrale termo-elettrica a biomassa di Versciaco) e Fernheizwerk Laas – Eyrs (Centrale termica di Lasa) per il teleriscaldamento vengono prodotti gas e calore secondo un processo di gassificazione in più fasi (CraftWERK CW 1800, tecnologia SynCraft Engineering) della materia prima (legno), che viene trasformata in gas e prodotti solidi. Il gas alimenta di seguito un motore per la produzione di corrente elettrica e calore. I residui solidi sono costituiti da biochar (carbone vegetale), che è un materiale ricco in carbonio prodotto per pirolisi da biomasse vegetali (legno)” e che il biochar potrebbe essere utilizzato in impianti di compostaggio e in impianti per la produzione di calcestruzzo. La Provincia chiede chiarimenti su

  • sulla possibilità del utilizzo del biochar in impianto di compostaggio
  • sulla possibilità di utilizzare il biochar nella produzione di calcestruzzo
  • sulla possibilità in generale di riutilizzare un sottoprodotto in sostituzione di una materia prima
  • sull’applicazione dei limiti previsti in Austria per la qualifica come sottoprodotto

 

RIFERIMENTI NORMATIVI

Con riferimento ai quesiti proposti, si riporta il quadro normativo applicabile riassunto come segue:

  • decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante “Norme in materia ambientale”;
  • decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75 recante “Riordino della disciplina in materia di fertilizzanti”;
  • Regolamento UE 1009/2019. 

 

CONSIDERAZIONI DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA SICUREZZA ENERGETICA

Al fine di fornire i richiesti chiarimenti in merito alla possibilità di utilizzo del biochar, in considerazione del quadro normativo sopraesposto e alla luce dell’istruttoria tecnica condotta e, in particolare, del parere di ISPRA richiesto con nota prot. n. 106952 del 10/06/2024 e fornito con nota prot. n. 131620 del 16/7/2024 è emerso quanto segue.

Nel primo quesito, lettera a) la Provincia chiede se “nel caso fosse impiegato come sottoprodotto in miscela di compostaggio (punto 1), il biochar debba avere le caratteristiche stabilite dal D.Lgs. 75/2010 e dal Reg. UE

1009/2019 (in particolare limiti IPA, si veda di seguito tabella con i limiti previsti dalla normativa e dai tre schemi di certificazione volontaria IBI (USA e Canada), EBC (EU), BQM (UK))”.
A riguardo appare utile evidenziare che la Provincia di Bolzano dichiara che, a seguito del processo di gassificazione in più fasi, che interessa gli impianti Heizwerk Vierschach Srl (Centrale termo-elettrica a biomassa di Versciaco) e Fernheizwerk Laas – Eyrs (Centrale termica di Lasa), si ottengono, tra gli altri, “i residui solidi costituiti da biochar (carbone vegetale), che è un materiale ricco in carbonio prodotto per pirolisi da biomasse vegetali (legno)”.

In merito si fa presente che al punto 16 dell’allegato 2 del D.Lgs. n.75/2010 “Riordino della disciplina in materia di fertilizzanti”, (così come modificato dal DM 22/06/2015), il biochar è stato individuato come prodotto ammendante. Tale ammendante è ottenuto dal “Processo di carbonizzazione di prodotti e residui di origine vegetale provenienti dall’agricoltura e dalla silvicoltura, oltre che da sanse di oliva, vinacce, cruscami, noccioli e gusci di frutta, cascami non trattati della lavorazione del legno, in quanto sottoprodotti delle attività connesse. Il processo di carbonizzazione è la perdita di idrogeno, ossigeno e azoto da parte della materia organica a seguito di applicazione di calore in assenza, o ridotta presenza, dell’agente ossidante, tipicamente l’ossigeno. A tale decomposizione termochimica è dato il nome di pirolisi i piroscissione. La gassificazione prevede un ulteriore processo ossidoriduttivo a carico del carbone prodotto da pirolisi.”

Pertanto, qualora il carbone vegetale che residua dal processo di gassificazione in più fasi per il teleriscaldamento sia prodotto in conformità a quanto stabilito dal D.Lgs. n.75/2010, in merito alla tipologia dei rifiuti ammissibili, al processo di trattamento e alla qualità del prodotto ottenuto, esso può essere qualificato come biochar.

Nel medesimo quesito, inoltre, si fa riferimento all’impiego del carbone vegetale in qualità di sottoprodotto “in miscela di compostaggio”.
In merito appare utile rammentare che la disciplina del sottoprodotto di cui all’art. 184-bis del D.Lgs. n.152/2006 stabilisce quanto segue: “È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.”

In materia, il principio di carattere generale, espresso anche da consolidata giurisprudenza, è quello secondo cui, “quando il materiale non rientra nel novero dei rifiuti, perché, ad esempio, è compreso tra quelli esclusi dalla disciplina di settore dall'art. 185 D.lgs. 152/06, oppure rientra tra i sottoprodotti o, comunque, nell'ambito di applicazione di disposizioni aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, occorre dimostrare che sussistono i presupposti per tale diversa qualificazione e l'onere della prova, grava su chi ne invoca l'applicazione. Tale prova deve riguardare la sussistenza di «tutti» i presupposti previsti dalla legge” (Cass. Pen. Sez. III n.42237 del 17 ottobre 2023).

Pertanto, nel caso di specie, qualora il produttore voglia qualificare come sottoprodotti i residui solidi (carbone vegetale) che esitano dalla gassificazione in più fasi delle biomasse vegetali, dovrà dimostrare la sussistenza di tutte le condizioni disciplinate dall’art. 184-bis. In tale ambito il ricorso ai parametri chimico- fisici definiti dal D.Lgs. n.75/2010 può rappresentare un utile riferimento, ad esempio, per la dimostrazione dei requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente.

La provincia di Bolzano, in alternativa all’ipotesi di cui alla lettera a), rappresenta il caso in cui il carbone vegetale sia conferito all’impianto di compostaggio come rifiuto (EER 100101), secondo quanto fissato al punto 16 - Rifiuti Compostabili del DM 5 febbraio 1998, e chiede se debbano essere rispettati i limiti fissati dal D.Lgs. n.75/2010 e dal DM 22/06/15 o se il biochar debba rispettare questi limiti anche prima del suo conferimento all’impianto di compostaggio (quesito 1 lettera b).

In merito a tale quesito appare necessario evidenziare che il D.Lgs. n.75/2010 individua la tipologia dei rifiuti ammissibili, il processo di trattamento e la qualità dei prodotti. Nell’istanza si fa riferimento all’utilizzo in impianti di compostaggio dei rifiuti identificati con il codice EER 10 01 01 costituiti da ceneri pesanti, scorie e polveri di caldaia (tranne le polveri di caldaia di cui alla voce 10 01 04). La Provincia richiama i suddetti rifiuti con riferimento alla disciplina del recupero di rifiuti non pericolosi in procedura semplificata di cui al DM 5/2/1998. Tale decreto, al punto 16 - “Rifiuti compostabili” del sub allegato 1 dell’allegato 1, individua tra i rifiuti recuperabili anche quelli con codice EER 10 01 01 e il compost ottenuto dal trattamento deve avere le caratteristiche indicate negli allegati alla legge 19 ottobre 1984, n. 748. Al riguardo, si segnala che la legge 748/1984 è stata abrogata dal D.Lgs. n. 217/2006, a sua volta abrogato dal D.Lgs. n. 75/2010. L’attuale formulazione della normativa in materia di fertilizzanti non prevede l’utilizzo di rifiuti costituiti da ceneri pesanti, scorie e polveri di caldaia per la produzione di ammendante compostato.

Il secondo quesito riguarda la possibilità di utilizzare il biochar nella produzione di calcestruzzo.
In particolare, nell’istanza si fa riferimento all’impiego del biochar come sottoprodotto in sostituzione del carbon black in un impianto in Germania. Secondo quanto riportato dalla Provincia, tale impianto adotta la certificazione EBC (2012-2023) “European Biochar Certificate”. Si tratta di uno standard di certificazione industriale volontario promosso al fine di valorizzare il prodotto biochar ma che non ha carattere normativo al pari di altre certificazioni volontarie in uso in alcuni Paesi, anch’esse richiamate nell’istanza (IBI in USA e Canada, BQM nel Regno Unito, MVVB in Italia).
Pertanto, in merito all’utilizzo dei residui solidi di lavorazione, in qualità di sottoprodotti in processi produttivi del calcestruzzo in sostituzione del carbon black, si richiama quanto già evidenziato in materia di sottoprodotti in risposta al quesito 1 a); tale disciplina, dettata dall’art. 5 della direttiva 2008/98/CE, si applica anche nell’ipotesi in cui il sottoprodotto sia destinato all’utilizzo in paesi esteri.
L’adozione degli standard previsti dalla certificazione volontaria EBC, così come eventuali accordi commerciali sottoscritti con gli impianti che utilizzeranno il sottoprodotto, potrebbero rappresentare un riferimento utile al fine di dimostrare la sussistenza delle condizioni per la qualifica di sottoprodotto. Tali considerazioni si ritengono utili anche in risposta a quanto richiesto nel quarto quesito.
La Provincia chiede, inoltre, se il biochar certificato con una certificazione EBC soddisfi i requisiti per l’uso nel compostaggio in Italia. Al riguardo si rimanda alle considerazioni espresse in relazione al quesito 1 lettera a) per la produzione del biochar ai sensi del D.Lgs. n.75/2010.

Con riferimento al terzo quesito, relativo all’interpretazione normativa del punto 3 dell’art. 184-bis sulla normale pratica industriale si ribadisce che la qualifica di sottoprodotto dipende dalla sussistenza dei suddetti requisiti, tra i quali si configura quello relativo all’ “utilizzo diretto senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale”.

Il requisito in parola risponde alla duplice esigenza, da un lato, di tener conto che il bisogno di un trattamento preliminare prima della utilizzazione di un residuo può segnalare il fatto di trovarsi dinanzi ad un rifiuto e, dall’altro, di considerare che anche le materie prime talvolta necessitano di essere lavorate prima del loro impiego nel processo produttivo (Guidance on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste, cit., par. 1.2.4). Ne consegue, come riportato anche nella Circolare del 30 maggio

2017, prot. n. 7619 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che “le operazioni svolte sul residuo non devono essere necessarie a conferire allo stesso particolari caratteristiche sanitarie o ambientali che il residuo medesimo non possiede al momento della produzione. Scopo della disposizione è quello di evitare che, inquadrando come “normale pratica industriale” un’attività, ad esempio, finalizzata a ridurre la concentrazione di sostanze inquinanti o pericolose, possano essere sostanzialmente eluse le disposizioni in materia di gestione dei rifiuti e le relative necessarie cautele ed autorizzazioni”. In tale prospettiva, quindi, è riconosciuta la possibilità di qualificare come “normale pratica industriale” “eventuali operazioni necessarie per rendere il residuo idoneo all’utilizzo, anche sotto il profilo ambientale e sanitario, ma alla condizione che siano svolte all’interno del medesimo ciclo produttivo.

Al fine della prova della riconducibilità dell’operazione alla “normale pratica industriale” l’operatore potrebbe dimostrare, a mero titolo di esempio che:
- il trattamento non incide o non fa perdere al materiale la sua identità, le caratteristiche merceologiche, o la qualità ambientale, non determina un mutamento strutturale delle componenti chimico-fisiche della sostanza o una sua trasformazione radicale;

- il trattamento corrisponde a quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale il materiale viene utilizzato ed in particolare a quelli ordinariamente effettuati sulla materia prima che il sottoprodotto va a sostituire”.

Le considerazioni sopra riportate, rese nel rispetto delle condizioni e dei termini di cui all’articolo 3- septies del D.Lgs. n.152/2006, sono da ritenersi pertinenti e valide in relazione al quesito formulato, con esclusione di qualsiasi riferimento a specifiche procedure o procedimenti, anche a carattere giurisdizionale, eventualmente in corso o in fase di evoluzione, per i quali occorrerà considerare tutti gli elementi pertinenti al caso di specie, allo stato, non a conoscenza e non rientranti nella sfera di competenza di questa Amministrazione.

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