(E se cambia il contravventore?)
Se, dopo l’accertamento di una contravvenzione e l’avvio della procedura prevista dal D.Lgs. n. 758/1994 muta la persona del contravventore, con quali modalità procedurali si può pervenire all’estinzione della violazione, e come si pone la posizione del soggetto subentrante nella carica o nella qualifica funzionale?
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Il capo II del D.Lgs. n. 758/1994 (artt. da 19 a 25) contiene la disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, tutta imperniata su un meccanismo che ruota attorno a due elementi fondamentali: la “contravvenzione” da un lato e, dall’altro lato, la “prescrizione”. Quest’ultima è un istituto di incentivazione all’adempimento tardivo, con effetti di estinzione delle contravvenzioni, e di conseguente esclusione della responsabilità penale.
Il meccanismo sanzionatorio ha una fisionomia di tipo “sequenziale”:
- accertamento della contravvenzione;
- prescrizione a fini di regolarizzazione;
- verifica;
- pagamento (cosiddetta oblazione amministrativa);
- estinzione del reato.
La procedura
Nel termine fissato, e secondo le modalità indicati nella prescrizione, la violazione accertata deve essere eliminata. Se la verifica da parte dell’organo di vigilanza è negativa, di ciò occorre dare comunicazione al pubblico ministero, affinché il procedimento penale - nel frattempo sospeso - possa riprendere il suo corso; se la verifica è positiva, il contravventore è ammesso a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo della ammenda stabilita per ciascuna contravvenzione. In questa seconda ipotesi, dell'avvenuto pagamento deve essere data comunicazione al pubblico ministero, il quale dovrà richiedere l'archiviazione del procedimento al Gip (il giudice per le indagini preliminari), in quanto l'adempimento alla prescrizione nei termini fissati, e il pagamento della somma dovuta, determinano l’estinzione del reato. Se il contravventore - ove ammesso - non provveda al pagamento, la contravvenzione non si estingue, e anche in questo caso deve essere fatta comunicazione al pubblico ministero per la ripresa del procedimento penale.
Ora, dal momento che le contravvenzioni alla normativa prevenzionistica assumono di regola la natura di reati permanenti (nei quali cioè l’antigiuridicità si protrae fino all’eliminazione della stessa con il ripristino della legalità violata: in sintesi, la “regolarizzazione” mediante adempimento delle prescrizioni fissate dall’organo di vigilanza, prevista dall’art. 20 del D.Lgs. n. 758/1994 – sul tema tra le altre Cass. pen. sez. IV, 17 gennaio 2023 n. 1406 e Cass. pen. sez. III, 27 ottobre 2022 n. 40606), si può ben verificare, nel corso della procedura sanzionatoria, l’ipotesi del mutamento della persona autrice del reato, segnatamente della persona che, a valle dell’accertamento del reato contravvenzionale, possegga la qualifica (datore di lavoro, dirigente, preposto eccetera) che espone alla responsabilità penale. In tal caso si pone la problematica, di rilievo anche giuridico, di quale sia la sorte della contestazione penale contravvenzionale.
L’atto di indirizzo
La questione inerente al mutamento della persona del contravventore nel corso della procedura sanzionatoria è stata affrontata ex professo dall’autorità giudiziaria. Più specificamente, la procura della Repubblica di Milano ebbe a emanare, il 29 maggio 1999, le “Nuove direttive in tema di diritto penale del lavoro”, e al titolo III, paragrafo 5 così si esprimeva: nel caso di cessazione del legale rappresentante dalla qualifica, prima del decorso del termine per la rimozione delle violazioni (e queste non siano state rimosse), «lo stesso andrà ammesso – precisa il documento della procura- al pagamento della somma dovuta, indipendentemente dalla successiva rimozione della violazione. Il nuovo rappresentante legale dovrà ricevere nuova prescrizione – e quindi nuovo termine – con integrale riattivazione della procedura amministrativa”; nel caso di cessazione del legale rappresentante dalla qualifica, dopo il decorso del termine per la rimozione delle violazioni (e queste non siano state rimosse), l’indicazione contenuta nelle direttive è che «non potrà farsi luogo - nei suoi confronti - alla procedura amministrativa, permanendo la responsabilità penale in capo allo stesso. Se le violazioni comunque permangono, il nuovo legale rappresentante dovrà essere destinatario di nuove prescrizioni con attivazione ab origine della procedura amministrativa».
Le pronunce
Le indicazioni contenute nell’atto di indirizzo dell’ufficio giudiziario milanese appaiono corrette sotto il profilo procedurale: l’ammissione del contravventore cessato dalla carica (per qualsiasi causa, anche a lui riconducibile sul piano della volontà e/o della responsabilità) direttamente all’oblazione amministrativa del pagamento di una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa, è in linea sia con i principi generali che segnano il limite di esigibilità della condotta sia con le indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale formatasi sul D.Lgs. n. 758/1994. Infatti, la Corte costituzionale, con la sentenza 18 febbraio 1998, n. 19, nel rigettare – ritenendole non fondate - alcune questioni di costituzionalità dell’art. 24 del D.Lgs. n. 758/1994, ha ritenuto che ogni situazione non prevista dal decreto legislativo – come è anche quella del mutamento della persona fisica del contravventore - debba essere ricondotta, in base a un’interpretazione sistematica e teleologica del decreto - «nell'alveo della procedura volta a ammettere il contravventore, sostanzialmente adempiente, alla definizione in via amministrativa e alla conseguente estinzione del reato». Aderente a questa posizione interpretativa è ormai anche la prevalente giurisprudenza di legittimità (ex aliis, Cass. civ. Su, Ord. 13 novembre 2012, n. 19707; Cass. civ. Su, Ord. 9 marzo 2012, n. 3695 e n. 3694; Cass. pen. sez. III, 17 febbraio 2011, n. 5864; Cass. pen. sez. III, 25 gennaio 2018, n. 3671).
Ciò che peraltro merita ulteriore approfondimento è la questione relativa al cosiddetto “subingresso”: occorre cioè riflettere circa la sorte del soggetto subentrante nell’area funzionale prima occupata dal contravventore cessato dalla carica o dalla qualifica: quid iuris per il nuovo legale rappresentante, per il nuovo amministratore, per il nuovo funzionario?
Un’eredità?
L’indicazione, sul punto, delle direttive emanate dalla procura di Milano è univoca: in entrambi i casi prospettati, al soggetto subentrante – beninteso, se le violazioni originariamente accertate permangono - deve essere impartita una nuova prescrizione, con integrale riattivazione della procedura amministrativa, composta dalla triade “accertamento-prescrizione-verifica”, non potendosi fare applicazione, in subiecta materia, caratterizzata da profili di responsabilità penale individuale e personale, del principio di cosiddetta “ultrattività” della condotta (Cass. pen. sez. IV, 13 luglio 2016, n. 29627).
In verità, questa soluzione, per la quale il soggetto subentrante erediterebbe “automaticamente” la situazione lasciata dal predecessore, e quindi scatterebbe per lui immediatamente l’obbligo di provvedere a sanare le inadempienze riscontrate, non soddisfa completamente, giacché l’automatismo procedurale proposto non tiene in debito conto il principio (di generale applicabilità nel diritto penale), in base al quale la punibilità della condotta richiede, oltre agli elementi cosiddetti oggettivi o materiali del reato (il che, nei reati omissivi propri – qual è la maggior parte delle contravvenzioni infortunistiche e di igiene – si riduce alla mera condotta), anche il concorso della volontà del reo.
Sotto questo profilo, è un’evidente forzatura il ritenere che il soggetto subentrante all’originario contravventore, sia in automatica personale “contravvenzionabilità” sin dal momento dell’assunzione della carica o della qualifica. Questa prospettazione, offerta dalla procura milanese, conduce infatti a sanzionare in concreto, mediante l’attivazione della procedura ex D.Lgs. n. 758/1994, la materiale assunzione della carica di per se stessa, senza procedere invece – come è sempre necessario in materia penale - alla contestuale valutazione dell’atteggiamento della volontà del reo.
L’attivazione della procedura sanzionatoria prevista dal D.Lgs. n. 758/1994 dovrebbe non solo e non tanto registrare una situazione antigiuridica, di natura contravvenzionale, oggettivamente riconducibile al soggetto qualificato subentrante, quanto accertarne (anche) la (di lui) condotta colpevole. Il fatto che l’art. 19, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 758/1994 definisca come contravvenzioni i “reati (non: le ”violazioni”) in materia di sicurezza e di igiene del lavoro”, impone di indagare in capo al reo anche la sussistenza dell’elemento psicologico, e presuppone che, all’accertamento della violazione prevenzionistica o di igiene, si accompagni un addebito di colpa in capo all’autore di essa.
L’esito di questa riflessione è dunque che la procedura sanzionatoria di cui al capo II del D.Lgs. n. 758/1994 non è attivabile sic et simpliciter nei confronti del soggetto subentrato all’originario contravventore. Sebbene la contravvenzione, nella sua illiceità materiale, sussista fin dal momento del subingresso del nuovo soggetto qualificato, dal momento che nei reati contravvenzionali omissivi (i più frequenti in materia di igiene e sicurezza del lavoro) l’inerzia colpevole è misurata con il criterio del consenso, la conclusione corretta, perché si possa ritenere la sussistenza della colpa, è richiedere l’accertamento di una situazione di inerzia colpevole del soggetto qualificato subentrante, rispetto al dovere di attivazione imposto dalla legge.
Alcuni casi concreti
Caso per caso, occorrerà dunque valutare e quantificare il lasso di tempo necessario a che maturi questa situazione, prima di che non si potrà attivare il meccanismo sanzionatorio impartendo (un nuovo) atto di prescrizione al soggetto subentrato nella carica o nella qualifica lasciata dal primo contravventore. Sarà poi condizione assolutamente necessaria quella di verificare l’effettiva consapevolezza del subentrante (quand’anche sotto il profilo della mera conoscibilità) circa la sussistenza delle pregresse situazioni di illiceità penale contravvenzionale non ancora esaurite.
Peraltro, con riguardo a un caso di violazioni alle norme sull'igiene del lavoro rilevate in un ospedale lombardo, l’orientamento della Cassazione è stato particolarmente rigoroso, giacché, di fronte alle doglianze dei ricorrenti (il commissario regionale e il direttore sanitario dell'unità sanitaria locale) di non essere a conoscenza delle segnalazioni pervenute prima del loro insediamento, la suprema Corte (Cass. pen. sez. III, 30 dicembre 1996, Antonacci e altro) ha ritenuto il loro profilo di responsabilità, osservando che «per il retto funzionamento di ogni ufficio è doveroso per ogni funzionario rendersi conto degli atti pervenuti prima del suo insediamento».
Quanto alla successione nella carica di sindaco in un Comune, la suprema Corte ha ritenuto che il sindaco subentrante poteva rispondere della situazione antigiuridica (nella specie: esistenza di linea elettrica intensione sopra una zona di pesca) in quanto consapevole della sua sussistenza (Cass. pen. sez. IV, 18 febbraio 2014, n. 7614).
Più recentemente, in tema di successione nella posizione di garanzia, la Cassazione ha ritenuto che il soggetto subentrante nella gestione del rischio risponde delle deficienze delle attrezzature di lavoro, pericolose per la tutela della sicurezza dei dipendenti, «sin dall’inizio del (loro) impiego», e ciò in quanto il dovere di attivazione positiva per organizzare le attività lavorative in modo sicuro opera “incondizionatamente” (Cass. pen. sez. IV, 31 ottobre 2017, n. 50019).
In senso contrario, per la tesi che, «in caso di violazioni alle norme di prevenzione infortuni in locali di un comune, non è penalmente responsabile il sindaco insediato nell'incarico sei giorni prima dell'accertamento delle violazioni», si è invece espressa Cass. pen. 1° agosto 1992, Capucci. Del pari, secondo Cass. pen. sez. IV, 13 luglio 2016, n. 29627, il soggetto subentrante assume su di sé l’obbligo gravante sul proprio predecessore “non immediatamente, ma dopo un tempo congruo dall’assunzione della carica” (In termini Cass. pen. sez. III, 2 ottobre 2014, n. 3206 e Cass. pen. sez. III, 20 febbraio 2008, n. 12436).
Anche per Cass. pen. sez. IV, 12 gennaio 2017, l’assunzione della carica meno di un anno prima della vendita di una macchina con difetti di progettazione, è stato ritenuto elemento non sufficiente per l’affermazione di responsabilità di uno dei componenti del consiglio di amministrazione di una società.
Da ultimo, per Cass. pen. sez. IV, 16 maggio 2016, n. 20129, l’assunzione della qualifica di direttore di stabilimento cinque mesi prima dell’evento infortunistico ha comportato l’affermazione di responsabilità del subentrante, sebbene alla condizione decisiva che l’imputato «era pienamente consapevole dei pericoli insiti nelle lavorazioni, per essere stato preavvertito dai rappresentanti sindacali dei lavoratori»; mentre, all’opposto, la condanna di un membro del consiglio di amministrazione di un’impresa costruttrice, in relazione a vizi di progetto, è stata annullata in base alla circostanza che l’imputato aveva assunto la carica in epoca successiva alla messa in produzione dell’attrezzatura di lavoro, e dunque era carente la consapevolezza, da parte sua, del deficit di progettazione (Cass. pen. sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 1322); ancora, è stata confermata la condanna di un amministratore subentrato nella carica quattro mesi prima di un grave infortunio sul lavoro, avendo la suprema Corte ritenuto che, indipendentemente dalla conoscenza della modifica al macchinario operata dal suo predecessore, aveva assunto la posizione di garanzia in modo “automatico”, per il solo fatto del subentro (Cass. pen. sez. IV, 31 ottobre 2017, n. 50019); del pari è stata confermata la condanna di un amministratore subentrato nella carica da appena 15 giorni, in relazione ad una prassi scorretta di lavoro largamente diffusa (Cass. pen. sez. IV, 2 dicembre 2019, n. 48779). Da ultimo, la Cassazione ha annullato la condanna all’amministratore delegato di un’impresa, in relazione alla modifica di una macchina, in relazione ai pochi mesi intercorsi tra l'assunzione della carica di amministratore delegato e l'infortunio sul lavoro, ritenendo la carenza dell'elemento soggettivo del reato (la colpa), nonché l'inesigibilità del rispetto della regola cautelare violata (Cass. pen. sez. IV, 13 settembre 2022, n. 33548).
Quando la carica è vacante
Nel caso poi in cui, cessata una carica, per lungo tempo questa rimanga vacante, l’attribuzione soggettiva della responsabilità per le contravvenzioni ancora in essere, potrà farsi risalire al rappresentante legale dell’ente nell’ambito o al servizio del quale opera il contravventore. Invero l’art. 20, comma 2 del D.Lgs. n. 758/1994 prevede che al rappresentante legale dell’ente deve sempre essere notificata o comunicata copia della prescrizione. La posizione di “garanzia” e di “controllo” che il rappresentante legale viene ad assumere all’interno della procedura sanzionatoria già attivata, fa sì che lo stesso venga “messo in mora“, proprio affinché si attivi tempestivamente –sebbene non personalmente- per porre rimedio alla violazione commessa; cosicché, qualora, in una situazione di “vuoto di organico” determinata dalla cessazione dalla carica o dalla qualifica dell’originario contravventore, egli non intervenga a porre rimedio alla persistente situazione antigiuridica (ad esempio, verificando se, allo scadere del termine fissato dall’organo di vigilanza, l’adempimento della prescrizione sia avvenuto, non potrà non rispondere egli stesso, iure proprio, del protrarsi della suddetta situazione antigiuridica, e anche delle eventuali conseguenze lesive che, in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, si possano verificare.