I principali riferimenti normativi a livello europeo
Il tema delle emissioni in atmosfera è affrontato a livello europeo sotto diversi profili; in particolare, è possibile distinguere, da un alto, la normativa relativa alle emissioni industriali e, dall’altro, la disciplina sulla qualità dell’aria ambiente. A questi due macro-ambiti si aggiungono, poi, ulteriori norme di dettaglio (ad esempio per quanto riguarda i cambiamenti climatici o particolari tipi di inquinanti).
Le emissioni provocate dagli impianti industriali sono oggetto della direttiva 2010/75/Ue (cosiddetta direttiva Ied, industrial emissions directive). Per un approfondimento circa la direttiva Ied e la relativa disciplina si rimanda al capitolo 2. Per quanto riguarda, invece, le norme in materia di qualità dell’aria ambiente, i principali riferimenti sono:
- la direttiva 2004/107/Ce, concernente l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nichel e gli idrocarburi aromatici nell’aria ambiente;
- la direttiva 2008/50/Ce, che ha accorpato in un unico testo legislativo alcune preesistenti direttive in tema di qualità dell’aria e limitazione delle emissioni[1];
- la direttiva 2016/2284/Ue, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che ha modificato la direttiva 2003/35/Ce e abrogato la direttiva 2001/81/Ce.
La direttiva 2008/50/CE stabilisce che la valutazione e la gestione della qualità dell’aria debba avvenire per zone[2] e agglomerati[3], istituiti dai singoli stati membri sul proprio territorio. Tra gli scopi fondamentali della direttiva vi è quello di «definire e stabilire obiettivi di qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso» (art. 1, comma 1, n. 1). La disciplina, dunque, identifica diverse tipologie di valori limite e livelli di soglia che, se superati, comportano l’obbligo per gli stati membri di adottare misure di miglioramento della qualità dell’aria ambiente. Per maggiore chiarezza, uno schema riassuntivo dei diversi valori/parametri di riferimento utilizzati dalla Direttiva è riportato nel grafico 1.
Grafico 1
Definizioni
La direttiva dispone che gli Stati membri debbano assicurare che non siano superati i valori limite di biossido di zolfo, biossido di azoto, PM10, PM2,5, piombo, benzene e monossido di carbonio previsti all’allegato XI[4] e provvedano affinché siano rispettati i livelli critici di cui all’allegato XIII[5]. Al superamento dei valori limite o dei valori-obiettivo, gli Stati membri sono tenuti a predisporre dei piani di intervento[6]. Quando, invece, vi sia il rischio di superamento delle soglie di allarme[7], gli Stati devono elaborare appositi piani d’azione. Importante notare come i piani possano includere provvedimenti per limitare – e, se necessario, sospendere – le attività che contribuiscono al rischio di superamento dei limiti. Inoltre, la direttiva pone l’obbligo di informare il pubblico e trasmettere alla Commissione informazioni sui dati rilevanti[8]. Infine, il capo II della direttiva – e i relativi allegati (aggiornati nel 2015[9]) – individuano specifiche modalità di valutazione della qualità dell’aria nonché i criteri di ubicazione e il numero minimo dei punti di campionamento[10]. Le norme sin qui descritte non costituiscono mere dichiarazioni di principio, bensì criteri vincolanti per gli Stati; deve essere, infatti, evidenziato che il mancato rispetto dei valori limite per la qualità dell’aria e la mancata adozione di piani idonei a garantirne il rispetto da parte di uno stato membro comportano l’avvio di procedure di infrazione[11].
La direttiva 2004/107/CE riguarda, invece, l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi aromatici nell’aria ambiente. Si tratta di agenti cangerogeni e genotossici per i quali non è identificata una soglia al di sotto della quale non esista alcun rischio per la salute umana. Pertanto, al fine di evitare, prevenire o quantomeno ridurre gli effetti nocivi di queste sostanze, la direttiva fissa dei valori obiettivo di concentrazione nell’aria nonché sistemi di valutazione delle stesse sul territorio degli Stati membri[12]. Laddove riscontrino sistematici superamenti, gli Stati membri devono garantire misure sostenibili finalizzate alla riduzione delle emissioni[13] (per gli impianti industriali in Aia, queste misure coincidono con l’applicazione delle migliori tecniche disponibili di cui già si è detto).
Ulteriori norme sono poi state dettate a livello europeo anche per quanto riguarda le emissioni di specifiche categorie di inquinanti, ritenute particolarmente dannose. Le principali norme in questo senso sono state:
- la direttiva 2004/42/Ce – recepita in Italia con il D.Lgs. n. 161/2006 – concernente le limitazioni delle emissioni di composti organici volatili dovute all’uso di solventi organici e presenti in taluni prodotti per carrozzeria;
- il regolamento 1005/2009/Ce, relativo alle sostanze che riducono lo strato di ozono, cui fa riferimento il D.Lgs. n. 108/2013, il quale ha istituito un sistema di sanzioni per la violazione delle disposizioni del regolamento.
Nonostante i molteplici interventi normativi, l’inquinamento atmosferico ancora oggi determina significativi impatti negativi per l’ambiente e la salute umana, come rilevato dalla Commissione europea nella comunicazione del 18 dicembre 2013 intitolata “Aria pulita per l’Europa”. Da ciò è nata la proposta di un nuovo pacchetto di misure in tema di qualità dell’aria con orizzonte temporale al 2030 (coerentemente con gli impegni internazionali assunti dall’Unione europea e dagli Stati membri) che ha portato all’adozione:
- della direttiva 2015/2193/Ue, recepita dall’Italia con il Lgs. n. 183/2017;
- della direttiva 2016/2284/Ue - che ha abrogato la direttiva 2001/81/Ce – recepita dall’Italia con il D.Lgs. n. 81/2018.
La direttiva 2015/2193/Ue stabilisce norme per la limitazione e il monitoraggio delle emissioni in atmosfera sia di alcuni inquinanti originati da medi impianti di combustione[14] – quali biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri – che delle emissioni di monossido di carbonio. Con riferimento, in particolare, alle emissioni provenienti da medi impianti di combustione, la direttiva distingue tra impianti esistenti e nuovi nel fissare i valori limite di emissione per ciascun inquinante. Il fine perseguito è quello di completare il quadro normativo per il settore della combustione, garantendo, così, la riduzione dei rischi potenziali per la salute umana e per l’ambiente derivanti da tali emissioni.
La direttiva 2016/2284/UE, detta anche direttiva Nec (national emission ceiling) stabilisce, invece, nuovi impegni nazionali di riduzione delle emissioni atmosferiche antropogeniche[15] di biossido di zolfo, ossidi di azoto, ammoniaca, composti organici volatili e del particolato fine. A questo fine, gli Stati membri sono tenuti ad adottare e attuare programmi nazionali di controllo dell'inquinamento atmosferico; inoltre, sono previste misure di monitoraggio degli inquinanti e degli impatti negativi dell'inquinamento atmosferico sugli ecosistemi nonché obblighi di comunicazione dei dati raccolti. Lo scopo è quello di conseguire gli obiettivi a lungo termine di qualità dell’aria auspicati tanto dall’organizzazione mondiale della sanità (Oms) quanto dall’Unione europea in materia di biodiversità, protezione degli ecosistemi, clima ed energia.
Così sinteticamente descritto il quadro delle principali fonti normative europee in materia di emissioni in atmosfera e prima di procedere all’analisi della legislazione nazionale, oggetto dei successivi paragrafi, vale la pena evidenziare come il tema dell’inquinamento atmosferico sia, in realtà, di più ampio respiro e coinvolga anche temi ulteriori. Sono molte, infatti, le misure che - direttamente o indirettamente - impattano il settore; tra queste sicuramente si possono menzionare le previsioni in tema di lotta ai cambiamenti climatici (tra cui in particolare il cosiddetto emission trading system), la cui analisi, tuttavia, esula dallo scopo del presente contributo.
La disciplina nazionale in materia di qualità dell’aria
In tema di qualità dell’aria, primo ed essenziale riferimento è il D.Lgs. n. 155/2010[16], il quale stabilisce:
- valori limite per le concentrazioni nell’aria ambiente di biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo e PM10;
- livelli critici per le concentrazioni nell’aria ambiente di biossido di zolfo e ossidi di azoto;
- soglie di allarme per le concentrazioni nell’aria ambiente di biossido di zolfo e biossido di azoto;
- valori limite, valori obiettivo, livelli di concentrazione ed esposizione, oltre che obiettivi nazionali di riduzione di PM 2,5;
- valori obiettivo per le concentrazioni nell’aria ambiente di arsenico, cadmio, nichel, e benzo(a)pirene;
- valori obiettivo, obiettivi a lungo termine, soglie di allarme e di informazione per l’ozono.
Il presupposto su cui si organizza l’attività di valutazione della qualità dell’aria ambiente è la zonizzazione, la quale prevede la suddivisione del territorio prima in agglomerati[17] e poi in zone[18]. La zonizzazione è affidata alle Regioni e alle Province autonome ed è effettuata tramite una specifica classificazione che valuta i singoli inquinanti e le relative caratteristiche, oltre alle caratteristiche del territorio. La zonizzazione è riesaminata in caso di variazione dei relativi presupposti, mentre la classificazione è riesaminata ogni cinque anni, nonché in caso di significative modifiche delle attività che incidono sulle concentrazioni di inquinanti nell’aria.
Le modalità di misurazione variano nelle diverse zone sulla base della classificazione e delle diverse tipologie di inquinanti e possono essere integrate con tecniche di modellizzazione o misure indicative. Le stazioni di misurazione sono gestite dalle Regioni e dalle Province autonome o, su delega, dalle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. L’installazione di una o più stazioni di misurazione può essere prescritta anche nell’ambito di procedimenti autorizzativi (ad esempio Via, Aia, Aua) in relazione ad impianti che producano emissioni, laddove, nel corso dell’istruttoria, ne emerga la necessità per monitorare le emissioni dell’impianto e la qualità dell’aria nel sito in cui lo stesso è collocato (non sarebbe, invece, legittima la previsione, a livello regionale, di un obbligo generalizzato di installare impianti di monitoraggio della qualità dell’aria, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale[19]).
Qualora siano riscontrati dei superamenti dei livelli di inquinanti – e in ogni caso per preservare la qualità dell’aria anche qualora i valori limite e i valori obiettivo siano rispettati – le Regioni (anche congiuntamente sulla base di accordi interregionali) e le Province autonome sono chiamate ad adottare appositi piani e misure, in collaborazione con gli enti locali interessati, per garantire il rispetto dei valori limite e il raggiungimento degli obiettivi nonché per garantire, complessivamente, il livello di qualità dell’aria.
Si sottolinea, inoltre, che i piani d’azione possono anche prevedere, se necessario, interventi finalizzati a limitare oppure a sospendere le attività che contribuiscono all’insorgenza del rischio di superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme. Tra le misure che possono essere individuate nei piani di qualità dell’aria e nei piani di azione, indicate all’art. 11, D.Lgs. n. 155/2010 si possono citare:
- limitazione della circolazione dei veicoli a motore;
- valori limite di emissione, prescrizioni, criteri di localizzazione e altre condizioni di autorizzazione per gli impianti di cui alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006, nonché per gli impianti di trattamento dei rifiuti e per gli impianti che presentino emissioni autorizzate;
- limiti e condizioni per l’utilizzo di combustibili;
- misure specifiche per la tutela della popolazione infantile e delle altre fasce sensibili.
Speciali deroghe alla disciplina fin qui illustrata possono essere accordate per quelle aree che presentino, per ragioni naturali[20] o endemiche, valori di contaminanti già particolarmente elevati. Inoltre, la normativa detta diversi oneri di informazione, sia nei confronti del pubblico sia per quanto riguarda lo scambio di informazioni tra enti, in ottica di massima trasparenza e pubblicità dei dati.
Il D.Lgs. n. 155/2010 non prevede un apparato sanzionatorio autonomo per la violazione dei valori limite di qualità dell’aria previsti; tuttavia, l’art. 29-quattuordecies, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006, prevede sanzioni penali per colui che non osservi le prescrizioni autorizzative (o imposte delle autorità) laddove il relativo superamento dei limiti emissivi comporti superamento dei valori limite di qualità dell’aria (vedere il capitolo 7). Ancora, nella disciplina generale in tema di emissioni in atmosfera degli impianti industriali (parte V del D.Lgs. n. 152/2006) è previsto che l’autorizzazione alle emissioni possa determinare i valori limite di emissione tenendo conto degli obiettivi di qualità dell’aria nella zona in cui si colloca l’impianto.
In conclusione, si evidenzia come il D.Lgs. n. 81/2018, che ha recepito la direttiva 2016/2284/Ue, preveda specifici interventi finalizzati a ridurre le emissioni nazionali e migliorare gli standard di qualità dell’aria, prevedendo in particolare:
- l’assunzione di impegni nazionali di riduzione delle emissioni di origine antropica di biossido di zolfo, ossidi di azoto, composti organici volatili non metanici, ammoniaca e particolato fine (art. 3). Come richiesto dall’Unione europea, questa riduzione è stata scandita in due step, rispettivamente decorrenti dal 2020 e dal 2030; pertanto, a partire da gennaio 2020, trovano applicazione i nuovi obiettivi. I limiti nazionali di emissione per i due archi temporali sono indicati sotto forma di riduzione percentuale delle emissioni rispetto a quelle prodotte dall’Italia nel 2005 (vedere la tabella 1);
- in forza di questi impegni, l’elaborazione e l’adozione di programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico da parte del ministero dell’Ambiente, con il supporto tecnico di Ispra ed Enea, e la loro successiva attuazione attraverso l’istituzione di un tavolo di coordinamento istituzionale (artt. 4 e 5). A oggi, l’Italia non ha ancora formalmente adottato il proprio programma nazionale, nonostante il termine scaduto già nel corso del 2019, ragion per cui la Commissione europea ha avviato (2 luglio 2020) una procedura di infrazione;
- obblighi di monitoraggio delle emissioni delle sostanze inquinanti – individuate nell’allegato I – attraverso l’elaborazione, con scadenza predefinita, di inventari e di proiezioni nazionali da parte di Ispra ed Enea (art.6);
- obblighi di monitoraggio degli impatti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi[21];
- obblighi di comunicazione nei confronti della Commissione europea (art. 8);
- una più efficace informazione del pubblico assicurata dal ministero dell’Ambiente e dal Sistema nazionale di protezione ambientale (Snpa).
Tabella 1
Impegni italiani di riduzione delle emissioni rispetto al 2005 disposti dall’allegato II al D.Lgs. n. 81/2018
Biossido di zolfo | Ossidi di azoto | Composti organici volatili | Ammoniaca | Particolato fine | |||||
2020- 2029 | dal 2030 | 2020- 2029 | dal 2030 | 2020- 2029 | dal 2030 | 2020- 2029 | dal 2030 | 2020- 2029 | dal 2030 |
35% | 71% | 40% | 65% | 35% | 46% | 5% | 16% | 10% | 40% |
Le emissioni in atmosfera nel D.Lgs. n. 152/2006: inquadramento e campo di applicazione
Il testo unico ambientale definisce “emissione in atmosfera” «qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico […]» [art. 268, comma 1, lettera b)]. La nozione, estremamente vasta, permette di comprendere il carattere articolato della disciplina delle emissioni in atmosfera, contenuta nella parte V del D.lgs. 152/2006 «Norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera». La parte V è strutturata in tre titoli, con oggetto e ambito di applicazione differenziati (vedere la grafico 2); ruolo fondamentale ricoprono poi gli allegati alla parte V, oggetto di numerose e diversificate modifiche negli anni (vedere la grafico 3).
Grafico 2
Struttura della parte V, D.Lgs. n. 152/2006
Grafico 3
Allegati alla parte V, D.Lgs. n. 152/2006
Per effetto del recepimento in Italia della direttiva Ied con il D.Lgs. n. 46/2014, alle disposizioni sopra richiamate si è aggiunta la parte V-bis, disciplinante le attività di produzione di biossido di titanio e solfati di calcio. Essa è composta di un titolo unico e fissa nell’allegato I i valori limite di emissione per le installazioni che producono biossido di titanio.
La parte V del D.Lgs. n. 152/2006 ha subito alcune significative modifiche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 102/2020; in particolare, il decreto, rubricato «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 15 novembre 2017, n. 183, di attuazione della direttiva (UE) 2015/2193 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa alla limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, nonché per il riordino del quadro normativo degli stabilimenti che producono emissioni nell'atmosfera, ai sensi dell'articolo 17 della legge 12 agosto 2016, n. 170», apporta alcune modifiche puntuali al testo della parte V e relativi allegati intervenendo sia su aspetti sostanziali sia con semplici adeguamenti e aggiornamenti formali. Considerata la natura delle modifiche apportate, si darà, dunque, conto delle stesse nel corso della trattazione, evidenziando le principali novità introdotte nell’illustrare la disciplina.
Le diverse tipologie di emissioni e le principali definizioni di settore
L’ampia definizione di “emissione in atmosfera” trova dettaglio e specificazione nella normativa e nella prassi operativa, le quali distinguono diverse tipologie di emissione (vedere la tabella 2), ciascuna oggetto di una disciplina specifica.
L’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui all’art. 269, D.Lgs. n. 152/2006 – così come modificato dal D.Lgs. n. 183/2018 – stabilisce specifiche prescrizioni con riferimento alle emissioni convogliate, tecnicamente convogliabili[22] (o di cui è stato ordinato il convogliamento) e diffuse. Se per le prime vengono definite in dettaglio le sostanze chimiche, i relativi valori limite, le prescrizioni operative e di controllo, le metodiche di campionamento e le analisi nonché i relativi sistemi di monitoraggio, per le emissioni convogliabili e – soprattutto – per quelle diffuse, l’autorità deve effettuare, caso per caso, una valutazione tecnica per comprendere il grado di dettaglio delle prescrizioni da impartire e i relativi vincoli (l’art. 269, comma 4, dispone che per le emissioni convogliate debbano, comunque, essere definiti le modalità di captazione e convogliamento, mentre per le emissioni diffuse le prescrizioni per garantirne il contenimento). Meritano poi separata citazione le cosiddette emissioni scarsamente rilevanti dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico, per le quali il D.Lgs. n. 152/2006 detta all’art. 272 una disciplina in deroga a quella generale (di cui si dirà).
In relazione al parametro temporale, le emissioni si possono poi distinguere in continue o discontinue e, in relazione al parametro spaziale, si possono avere sorgenti fisse o mobili. Anche per questi aspetti, l’autorizzazione contiene discipline di dettaglio (con criteri specifici dettati nella normativa di riferimento dei quali si darà conto più avanti).
Per quanto riguarda, invece, i valori limite di emissione, secondo quanto disposto dall’art. 268, lettera q) e seguenti, essi possono presentarsi in forma di:
- fattori di emissione (rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e unità di misura specifica di prodotto o di servizio);
- concentrazioni (rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e volume dell’effluente gassoso);
- percentuali (rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e massa della stessa sostanza utilizzata nel processo produttivo, moltiplicato per cento);
- flusso di massa (massa di sostanza inquinante emessa per unità di tempo)[23].
Tra le novità introdotte dal D.Lgs. n. 102/2020, si segnalano, in particolare, l’introduzione della definizione di emissioni odorigene.
Tabella 2
Definizioni
Inquinamento atmosferico [art. 268, lettera a)] | Ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta all’introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente |
Emissione in atmosfera [art. 268, lettera b)] | Qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico e, per le attività di cui all’art. 275, qualsiasi scarico, diretto o indiretto, di Cov nell’ambiente |
Emissione convogliata [art. 268, lettera c)] | Emissione di un effluente gassoso effettuata attraverso uno o più appositi punti |
Emissione diffusa [art. 268, lettera d)] | Emissione diversa da quella ricadente nella lettera c); per le lavorazioni di cui all'articolo 275 le emissioni diffuse includono anche i Cov contenuti negli scarichi idrici, nei rifiuti e nei prodotti, fatte salve le diverse indicazioni contenute nella Parte III dell'allegato III alla Parte quinta del presente decreto |
Emissione tecnicamente convogliabile [art. 268, lettera e)] | Emissione diffusa che deve essere convogliata sulla base delle migliori tecniche disponibili o in presenza di situazioni o di zone che richiedono una particolare tutela |
Stabilimento [art. 268, lettera h)] | Il complesso unitario e stabile, che si configura come un complessivo ciclo produttivo, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o sono effettuate una o più attività che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimentazioni. Si considera stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all’esercizio di una o più attività |
Emissioni odorigene [art. 268, lettera f-bis)] | emissioni convogliate o diffuse aventi effetti di natura odorigena |
Impianto [art. 268, lettera l)] | Il dispositivo o il sistema o l’insieme di dispositivi o sistemi fisso e destinato a svolgere in modo autonomo una specifica attività, anche nell’ambito di un ciclo più ampio |
Modifica sostanziale [art. 268, lettera m-bis)] | Modifica che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse e che possa produrre effetti negativi e significativi sull’ambiente […] * |
Grande impianto di combustione [art. 268, lettera gg)] | Impianto di combustione di potenza termica nominale pari o superiore a 50MW […] ** |
Medio impianto di combustione [art. 268, lettera gg- bis)] | Impianto di combustione di potenza termica nominale pari o superiore a 1MW e inferiore a 50MW […] *** |
Emissione fuggitiva | le emissioni gassose di sostanze organiche volatili, dovute alle perdite fisiologiche e cioè non accidentali, dagli organi di tenuta degli impianti chimici e petrolchimici **** |
* Con il D.Lgs. n. 183/2017 si è aggiunto che, nel rispetto della definizione di modifica sostanziale, le Regioni e le Province autonome possono definire ulteriori criteri applicativi e interpretativi per la qualificazione delle modifiche sostanziali, oltre che indicare quelle modifiche non sostanziali per le quali non vi è l’obbligo di comunicazione all’autorità competente ai sensi dell’art. 269, comma 8, D.Lgs. n. 152/2006. Tuttavia, come sostenuto da L. Butti in Emissioni: tutte le novità a riforma della legislazione in Ambiente&Sicurezza, n. 2/2018, un intervento volto a escludere qualsiasi procedura tanto di autorizzazione preventiva quanto di comunicazione, potrebbe sollevare dubbi sulla sua conformità al diritto europeo.
** Prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 183/2017, per «grande impianto di combustione» si intendeva «un impianto di potenza termica nominale non inferiore a 50 MW». Chiaramente il recente intervento ha mantenuto inalterata nella sostanza la portata applicativa della disposizione. *** Definizione introdotta ex novo dal D.Lgs. n. 183/2017. ****La definizione di emissioni fuggitive non si rinviene nel D.Lgs. n. 152/2006 – dove tale tipologia di emissione viene solo menzionata all’art. 29-sexies in materia di Aia– ma risulta essere contenuta nel glossario ambientale di Arpa Veneto, disponibile all’indirizzo: http://www.arpa.veneto.it/servizi-online/glossari-ambientali/glossario-ambientale/emissioni-fuggitive |
Autorizzazione alle emissioni in atmosfera
L’art. 269, D.Lgs. 152/2006 introduce il principio per cui tutti gli stabilimenti che producono emissioni devono essere previamente autorizzati[24]. Questo principio si applica a tutti gli impianti ricadenti nell’ambito di applicazione del titolo I[25], salve le deroghe di cui si dirà.
Di norma, l’autorizzazione viene rilasciata per lo stabilimento nel suo complesso e non per i singoli impianti o le singole attività nello stesso presenti, salvo casi specifici[26].
La disciplina di dettaglio dettata dagli art. 269 e seguenti del D.Lgs. n. 152/2006 in tema di autorizzazione alle emissioni in atmosfera risulta residuale e integrativa rispetto ad altre discipline specifiche. Infatti, sul piano formale, l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera è oggi ricompresa:
- nell’autorizzazione integrata ambientale (Aia) – disciplinata dagli art. 29-bis e seguenti, D.Lgs. n. 152/2006 – con conseguente applicazione delle Bat e della disciplina di settore, se ne sussistono i presupposti (sul punto, si rinvia al capitolo 2);
- in autorizzazioni settoriali (ad esempio l’autorizzazione disciplinata dall’art. 208, D.Lgs. n. 152/2006);
- nell’autorizzazione unica ambientale (Aua) – disciplinata dal D.P.R. n. 59/2013;
- in autorizzazioni di carattere generale – disciplinate dall’art. 272, D.Lgs. n. 152/2006.
Quanto ai contenuti del titolo abilitativo, lo stesso individua i valori limite[27], i metodi di campionamento e analisi, le attività di monitoraggio di competenza del gestore, gli oneri di comunicazione e ogni altro dettaglio operativo rilevante. La parte quinta del D.Lgs. n. 152/2006 contiene numerose disposizioni specifiche in merito, cui si rimanda per ogni dettaglio. L’autorizzazione alle emissioni concessa ai sensi dell’art. 269, D.Lgs. n. 152/2006, e oggi formalmente rientrante in ambito Aua, ha una durata di quindici anni. Il rinnovo deve essere richiesto almeno un anno prima della scadenza al fine di garantire la continuità di esercizio. Qualora il gestore intenda apportare delle modifiche all’impianto ne deve dare comunicazione all’autorità competente[28]. Le modifiche impiantistiche possono avere natura sostanziale o non sostanziale. Le prime possono aversi qualora la modifica comporti un aumento o variazione qualitativa delle emissioni o alteri le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse (art. 269, comma 8)[29]. Per le modifiche sostanziali dell’impianto è necessaria la presentazione di una nuova domanda di autorizzazione, mentre, in caso di modifica non sostanziale dell’impianto, si potrà provvedere alla sua realizzazione qualora l’autorità competente non si esprima nel termine di 60 giorni. È fatto salvo il potere della pubblica amministrazione di aggiornare l’autorizzazione anteriormente alla scadenza, anche in assenza di istanza di parte, qualora risultino mutate le condizioni di fatto e diritto e ricorrano i presupposti per modificare le condizioni autorizzative[30].
Il D.Lgs. n. 102/2020 introduce una disciplina specifica per disciplinare alcune particolari ipotesi di modifica, in particolare, la variazione del gestore dello stabilimento e il trasferimento di una porzione di stabilimento. Nel caso di variazione del gestore, la novella normativa prevede che il nuovo gestore debba comunicare all’autorità competente la data in cui la variazione diventa efficace entro 10 giorni dalla stessa e che l’aggiornamento dell’autorizzazione abbia effetto dalla data di efficacia della variazione (in mancanza di indicazioni normative, non sembrerebbe necessario che la variazione sia recepita in un provvedimento espresso). Nel caso, invece, di trasferimento di una porzione di stabilimento, sono stabiliti due percorsi separati per la parte di stabilimento che viene trasferita (gestore cessionario) e il gestore cedente. Il gestore cessionario dovrà chiedere il rilascio di una nuova autorizzazione per la parte di stabilimento trasferita, mentre il gestore cedente dovrà presentare all’autorità competente una comunicazione di modifica non sostanziale, a esito della quale l’autorità procederà ad aggiornare l’autorizzazione.
In caso di inottemperanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, l’autorità competente, secondo la gravità dell’infrazione, procede, secondo il disposto dell’art. 278 comma 1, alla:
- diffida, assegnando contestualmente un termine per sanare le irregolarità riscontrate;
- diffida e contestuale sospensione dell’autorizzazione, qualora si manifesti un pericolo per la salute o per l’ambiente;
- revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni contenute nella diffida oppure in caso di reiterata violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione che comporti un pericolo o un danno alla salute o all’ambiente.
Accanto ai poteri ordinatori, l’autorità competente dispone di poteri sanzionatori (sanzioni penali o sanzioni amministrative, di cui si dirà più approfonditamente nel capitolo 7). L’art. 279 fa in ogni caso espressamente salve le diverse disposizioni sanzionatorie previste dall’art. 29-quattuordecies in materia di autorizzazione integrata ambientale.
L’art. 272, D.Lgs. n. 152/2006 – come modificato dal D.Lgs. n. 183/2017 – prevede una modalità semplificata per l’ottenimento dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera: laddove ricorrano i presupposti[31], il gestore dell’impianto può richiedere di aderire ad apposite autorizzazioni di carattere generale adottate dall’autorità competente con riferimento a specifiche categorie di impianti. L'autorizzazione generale per contiene prescrizioni relative a:
- valori limite di emissione;
- condizioni di costruzione o esercizio; ;
- combustibili utilizzati;
- tempi di adeguamento;
- metodi di campionamento e analisi;
- periodicità dei controlli.
La domanda di adesione può generalmente essere presentata su appositi modelli semplificati predisposti dall’autorità competente, nei quali la qualità e quantità delle emissioni è deducibile dai quantitativi di materie prime e ausiliarie utilizzate. Nel caso in cui il gestore intenda aderire a un’autorizzazione generale, può seguire l’ordinario procedimento, descritto nel grafico 4, oppure presentare ai sensi dell’art. 3, comma 1, D.P.R. n. 59/2013, domanda di Aua (si tratta, in questo caso, di una mera facoltà[32]).
Grafico 4
Autorizzazione generale alle emissioni
Diverse disposizioni derogatorie contenute nel titolo I della parte V escludono l’obbligo di ottenere l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, eventualmente rinviando a peculiari discipline, per l’esercizio di specifiche tipologie di impianti. Si riportano nella tabella 3 le principali disposizioni in uno schema riassuntivo.
Tabella 3
Esclusioni
Art. 269, comma 10 | Impianti di deposito di oli minerali, compresi i gas liquefatti. I gestori sono comunque tenuti ad adottare apposite misure per contenere le emissioni diffuse e a rispettare le ulteriori prescrizioni eventualmente disposte, per le medesime finalità, con apposito provvedimento dall’autorità competente |
Art. 272, comma 1 | Stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente impianti e attività che producono emissioni scarsamente rilevanti per l’inquinamento. Questi impianti trovano elencazione nella parte I dell’allegato IV alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006 |
Art. 272, comma 1 | Dispositivi mobili utilizzati all’interno di uno stabilimento da un gestore diverso da quello dello stabilimento o non utilizzati all’interno di uno stabilimento (nel caso di impianti e attività che producono emissioni scarsamente rilevanti per l’inquinamento – parte I allegato IV alla parte V) |
Art. 272, comma 5 | Stabilimenti destinati alla difesa nazionale, fatti salvi quelli in cui sono ubicati medi impianti di combustione (art. 272, comma 5-bis, introdotto dal D.Lgs. n. 183/2017) |
Art. 272, comma
5 |
Emissioni provenienti dagli sfiati e ricambi d’aria esclusivamente adibiti alla protezione e alla sicurezza dei luoghi di lavoro in relazione alla temperatura, all’umidità e ad altre condizioni attinenti al microclima di tali ambienti. Tuttavia, sono soggette ad autorizzazione le emissioni provenienti da punti di emissione specificamente destinati all’evacuazione di sostanze inquinanti dagli ambienti di lavoro |
Art. 272, comma
5
|
Valvole di sicurezza, dischi di rottura e altri dispositivi destinati a situazioni critiche o di emergenza, salvo quelli che l’Autorità competente stabilisca di disciplinare nell’autorizzazione e quegli impianti che, anche se messi in funzione in caso di situazioni critiche o di emergenza, operano come parte integrante del ciclo produttivo dello stabilimento (art. 272, comma 5-bis, introdotto dal D.Lgs. n. 183/2017) |
Art. 272, comma 5 | Impianti di distribuzione dei carburanti, ai quali si applicano esclusivamente le pertinenti disposizioni degli articoli 276 e 277 |
Per gli impianti e le attività che producono emissioni scarsamente rilevanti – sebbene esclusi dall’obbligo di ottenere l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera – l’autorità può invece prevedere che i gestori comunichino in via preventiva la data di messa in esercizio dell’impianto o di avvio dell’attività oppure, in caso di dispositivi mobili, la data di ciascuna campagna di utilizzo. Il mancato adempimento dell’obbligo suddetto, qualora previsto con provvedimento generale da parte della pubblica amministrazione, è sanzionabile ai sensi dell’art. 279, comma 3[33].
Valori limite di emissione
La disciplina essenziale per l’individuazione dei valori limite di emissione e le relative prescrizioni è contenuta all’art. 271, D.Lgs. n. 152/2006 e negli allegati alla parte V richiamati dallo stesso. Come già in altre parti del testo unico ambientale, il legislatore prevede che i valori limite di emissione si riferiscano alle emissioni non diluite, salva la diluizione che risulta inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell’esercizio (art. 271, comma 13). Il riferimento essenziale, come già chiarito, resta comunque l’autorizzazione. L’istruttoria per il rilascio dell’autorizzazione deve infatti considerare e definire:
- le migliori tecniche disponibili;
- i valori e le prescrizioni fissati nelle normative di regioni e province autonome in materia di emissioni in atmosfera e nei piani e programmi regionali di qualità dell’aria previsti dal D.Lgs. n. 155/2010[34];
- i Bat-Ael e le tecniche previste nelle conclusioni sulle Bat pertinenti per tipologia di impianti e attività[35];
- il complesso di tutte le emissioni degli impianti e delle attività presenti;
- le emissioni provenienti da altre fonti;
- lo stato della qualità dell’aria nella zona interessata.
A esito dell’istruttoria sopra descritta, «I valori limite di emissione e le prescrizioni fissati sulla base di tale istruttoria devono essere non meno restrittivi di quelli previsti dagli allegati I, II, III e V alla parte quinta del presente decreto e di quelli applicati per effetto delle autorizzazioni soggette al rinnovo» (art. 271, comma 5). Pertanto, se i valori limite di emissione indicati nel D.Lgs. n. 152/2006 costituiscono uno standard minimo di tutela, è, tuttavia, possibile prevedere in autorizzazione l’applicazione di valori limite più restrittivi. È, peraltro, lo stesso art. 271, comma 4, a disporre che i piani e programmi per la qualità dell’aria previsti dal D.Lgs. n. 155/2010 possano prevedere valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti alle condizioni di costruzione ed esercizio degli impianti, più restrittivi di quelli contenuti negli allegati I, II, III, e V alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006, qualora ciò sia necessario al perseguimento e rispetto dei valori e degli obbiettivi di qualità dell’aria. Ben più rara, vincolata a tempistiche limitate e motivata su casi e situazioni specifiche è, invece, la previsione di margini di tolleranza rispetto ai limiti emissivi, aspetto che – ove necessario – deve emergere nel corso dell’istruttoria e del provvedimento autorizzativo. L’autorizzazione può disporre limiti emissivi anche per le sostanze per cui non sono fissati valori limite, prendendo come parametro di riferimento i valori limite previsti per sostanze simili sotto il profilo chimico e aventi effetti analoghi sulla salute e sull’ambiente (art. 271, comma 6). I valori limite di emissione, così fissati nell’atto autorizzativo, «si applicano ai periodi di normale funzionamento dell’impianto, intesi come i periodi in cui l’impianto è in funzione con esclusione dei periodi di avviamento e di arresto e dei periodi in cui si verificano anomalie o guasti tali da non permettere il rispetto dei valori stessi» (art. 271, comma 14). L’art. 271 si applica anche ai grandi e medi impianti di combustione, oltre che agli impianti e alle attività che emettono composti organici volatili.
In materia di limiti emissivi una rilevante modifica è introdotta dal D.Lgs. n. 102/2020. La novella introduce, infatti, il principio generale per cui:
- le emissioni di sostanze pericolose per la salute (il riferimento è alle già citate sostanze cancerogene o tossiche per la riproduzione o mutagene - H340, H350, H360 - e sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevata) devono essere limitate il più possibile;
- le sostanze pericolose per la salute sopra citate e le sostanze classificate come preoccupanti dal regolamento Reach devono essere sostituite non appena tecnicamente ed economicamente possibile nei cicli produttivi da cui originano emissioni delle sostanze stesse.
Al fine di garantire la tempestiva sostituzione delle sostanze nei cicli produttivi la norma prevede uno strutturato meccanismo, il quale prevede l’invio, con cadenza quinquennale, di una relazione in cui si analizza la possibilità e sostenibilità della sostituzione di queste sostanze sulla base della quale l’autorità competente potrà valutare la necessità di aggiornamento o rinnovo dell’autorizzazione[36]. Si segnala che, in sede di prima applicazione, la disciplina transitoria prevede che:
- i gestori di stabilimenti o installazioni in esercizio alla data di entrata in vigore del decreto in commento in cui siano utilizzate nel ciclo produttivo da cui originano le emissioni le sostanze di cui al neo-introdotto comma 7-bis dovranno presentare, entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto, una relazione in cui si analizza la possibilità e sostenibilità della sostituzione di tali sostanze;
- i gestori di questi stabilimenti dovranno poi presentare, entro il 1° gennaio 2025 (o entro una data precedente individuata dall’autorità competente sulla base della relazione trasmessa) una domanda di autorizzazione ai fini dell’adeguamento alla prescrizione di cui all’art. 271 , comma 7-bis.
La disciplina dei valori limite di emissione trova poi ulteriore dettaglio negli allegati alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006. In particolare, l’allegato I intitolato «Valori di emissione e prescrizioni» indica:
- nella parte I, disposizioni di carattere generale;
- nella parte II, i valori di emissione per le sostanze inquinanti;
- nella parte III, i valori di emissione per le sostanze inquinanti di alcune tipologie di impianti e le relative prescrizioni[37];
- nella parte IV, i valori di emissione e le prescrizioni relativi e agli impianti per la coltivazione di idrocarburi e dei flussi geotermici[38];
- nella parte IV-bis, introdotta dal D.Lgs. n. 183/2017, gli elementi minimi dell’autorizzazione e della registrazione dei medi impianti di combustione e dei medi impianti termici civili.
Sul tema del rispetto dei valori limite si segnala, in particolare, l’art. 278, comma 1-bis, il quale prevede che, in caso di non conformità dei valori misurati ai valori limite prescritti accertata nel corso dei controlli effettuati dall’autorità competente, quest’ultima possa impartire al gestore, con ordinanza, prescrizioni dirette al ripristino della conformità nel più breve tempo possibile e che, qualora questa non conformità possa costituire un pericolo per la salute umana o un significativo peggioramento della qualità dell’aria a livello locale, debba essere disposta la cessazione dell’esercizio dell’impianto.
Grandi impianti di combustione
Per grandi impianti di combustione si intendono gli impianti con potenza termica nominale pari o superiore a 50MW. Inoltre, ai sensi dell’art. 273 comma 9, possono essere considerati come un unico grande impianto di combustione più impianti di combustione di potenza termica pari o superiore a 15 MW la somma delle cui potenze è pari o superiore a 50 MW laddove:
- gli impianti siano localizzati nello stesso stabilimento;
- le emissioni degli stessi risultino convogliate o convogliabili, sulla base di una valutazione delle condizioni tecniche svolta dalle autorità competenti, ad un solo punto di emissione.
I valori limite di emissione, le modalità di monitoraggio e controllo delle emissioni, i criteri per la verifica della conformità ai valori limite e le ipotesi di anomalo funzionamento o guasto degli stessi per i grandi impianti di combustione sono stabiliti all’allegato II alla parte V (art. 273, comma 1). In ogni caso, tutti i grandi impianti di combustione devono prevedere valori limite di emissione non meno severi dei pertinenti valori di cui alla parte II, sezioni da 1 a 7, dell’allegato II e dei valori di cui all’allegato I alla parte V. Questa disposizione, ancora una volta, conferma come l’allegato I alla parte V contenga disposizioni di carattere generale in materia di valori limite di emissione in atmosfera, valori, di volta in volta, dettagliati e modificati in ragione delle peculiarità dell’impianto e dell’attività svolta. Entro il 31 maggio di ogni anno i gestori dei grandi impianti di combustione comunicano all’Ispra la data di messa in esercizio dell’impianto e, con riferimento all’anno precedente, le emissioni totali di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri, la quantità annua totale di energia prodotta, le ore operative, nonché la caratterizzazione dei sistemi di abbattimento delle emissioni (art. 274, comma 4). Sulla base delle informazioni raccolte, ogni tre anni il ministero dell’Ambiente trasmette alla Commissione europea una relazione inerente alle emissioni di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri di tutti i grandi impianti di combustione di cui alla parte V, indicando separatamente le emissioni delle raffinerie (art. 274, comma 1).
L’art. 273, comma 15, prevede invece alcune esclusioni dall’ambito di applicazione della disciplina sui grandi impianti di combustione elencate di seguito:
- gli impianti in cui i prodotti della combustione sono utilizzati per il riscaldamento diretto, l’essiccazione o qualsiasi altro trattamento degli oggetti o dei materiali, come i forni di riscaldo o i forni di trattamento termico;
- gli impianti di postcombustione, cioè qualsiasi dispositivo tecnico per la depurazione dell’effluente gassoso mediante combustione, che non sia gestito come impianto indipendente di combustione;
- i dispositivi di rigenerazione dei catalizzatori di craking catalitico;
- i dispositivi di conversione del solfuro di idrogeno in zolfo;
- i reattori utilizzati nell’industria chimica;
- le batterie di forni per il coke;
- i cowpers degli altiforni;
- qualsiasi dispositivo tecnico usato per la propulsione di un veicolo, una nave, o un aeromobile;
- le turbine a gas e motori a gas usati su piattaforme off-shore e sugli impianti di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore;
- gli impianti che utilizzano come combustibile qualsiasi rifiuto solido o liquido non ricadente nella definizione di biomassa di cui all’allegato II alla parte V.
Medi impianti di combustione
Per medio impianto di combustione si intende un «impianto di combustione di potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50MW, inclusi i motori e le turbine a gas alimentato con i combustibili previsti all’allegato X alla Parte Quinta o con le biomasse rifiuto previste all’allegato II alla Parte Quinta» (art. 268).
Al fine di stabilire la potenza termica nominale si considerano come un unico impianto i medi impianti di combustione che sono localizzati nello stesso stabilimento e le cui emissioni risultano convogliate o convogliabili, sulla base di una valutazione delle condizioni tecniche svolta dalle autorità competenti, a un solo punto di emissione (art. 273-bis, comma 8).
La disciplina dei medi impianti di combustione è stata introdotta dal D.Lgs. 183/2017, in attuazione della direttiva 2015/2193/Ue, che prevede diverse tempistiche di adeguamento per impianti “nuovi” e “esistenti”. In particolare, si intende per impianto esistente: «il medio impianto di combustione messo in esercizio prima del 20 dicembre 2018 nel rispetto della normativa all’epoca vigente o previsto in una autorizzazione alle emissioni o in una autorizzazione unica ambientale o in una autorizzazione integrata ambientale che il gestore ha ottenuto o alla quale ha aderito prima del 19 dicembre 2017 a condizione che sia messo in esercizio entro il 20 dicembre 2018» mentre, gli impianti nuovi sono definiti, a contrario, come quegli impianti che non rientrano nella definizione sopra riportata.
I limiti emissivi previsti per i medi impianti di combustione e le relative prescrizioni, dunque, sono applicabili:
- a decorrere dal 20 dicembre 2018 per gli impianti “nuovi” (già, dunque, applicabili);
- a decorrere dal 1° gennaio 2030, per impianti esistenti di potenza termica nominale pari o inferiore a 5MW;
- a decorrere dal 1° gennaio 2025, per impianti impianti di potenza termica nominale superiore a 5MW.
Fino a queste date gli impianti dovranno rispettare i valori limite previsti dalle autorizzazioni vigenti.
Al fine di adeguarsi alla nuova disciplina, i gestori degli stabilimenti all’interno dei quali sono situati impianti medi di combustione “esistenti” dotati di autorizzazione ordinaria dovranno presentare una domanda di autorizzazione specifica entro il:
- 1° gennaio 2028, in caso di impianti di potenza termica nominale pari o inferiore a 5MW;
- 1° gennaio 2023, in caso di impianti di potenza termica nominale superiore a 5MW.
In merito alle tempistiche e modalità di aggiornamento delle autorizzazioni dei medi impianti, è intervenuto il D.Lgs. n. 102/2020, precisando che:
- l’adeguamento delle autorizzazioni potrà avvenire anche nel corso degli ordinari procedimenti di rinnovo delle autorizzazioni anche su richiesta dell’autorità competente;
- le autorità competenti potranno stabilire appositi calendari e criteri temporali per la presentazione delle domande di adeguamento.
Per quanto riguarda nel concreto i limiti di emissione e le prescrizioni di esercizio, determinati in sede di istruttoria autorizzativa, si dispone che essi non possano essere meno restrittivi rispetto ai pertinenti valori e prescrizioni previsti agli allegati I e V alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006, dalle normative regionali e locali, dai piani regionali di qualità dell’aria e dalle autorizzazioni soggette al rinnovo. Per quanto attiene al rispetto dei limiti di emissione e alla disciplina dei controlli, trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 271; mentre relativamente alla raccolta e trasmissione dei dati sulle emissioni, deve applicarsi la disciplina dettata dall’art. 274 per i grandi impianti di combustione.
Impianti termici civili
Il titolo II della parte V del D.Lgs. n. 152/2006 disciplina gli impianti termici civili con potenza nominale inferiore a 3 MW, disponendo che quelli aventi potenza termica nominale uguale o superiore a 3 MW siano, invece, sottoposti alla disciplina dettata dal titolo I. Ciascun impianto termico civile messo in commercio deve essere accompagnato – oltre che dalle istruzioni relative all’installazione – dall’attestazione del produttore di conformità alle caratteristiche tecniche di cui all’art. 285 e di idoneità a rispettare i valori limite di emissione di cui all’art. 286[39] (art. 282, comma 2-bis).
Il D.Lgs. n. 183/2017, inoltre, ha introdotto la nozione di medio impianto termico civile, ovvero un impianto di potenza pari o superiore a 1 MW [art. 283, comma 1, lettera d-bis)], prevedendo altresì la tenuta di un registro autorizzativo dei medi impianti termici civili da parte delle autorità competenti [art. 284, comma 2-quater][40].
Con riferimento ai valori limite di emissione che questi impianti sono chiamati a rispettare, l’art. 286 dispone che gli impianti termici civili con potenza termica nominale superiore a 0,035 MW (valore di soglia) rispettino i pertinenti valori limite previsti dalla parte III dell’allegato IX alla parte V e i valori limite eventualmente più restrittivi previsti dai piani e programmi di qualità dell’aria disposti dal D.Lgs. n. 155/2010, qualora ciò risulti necessario al conseguimento e al rispetto dei valori e degli obbiettivi di qualità dell’aria. Anche per i medi impianti termici civili sono oggi previsti specifici valori limite di emissione (per gli impianti messi in esercizio prima del 20 dicembre 2018 è prevista l’applicazione dei valori previsti a fini di adeguamento dall’allegato IX alla parte V solo a partire dal 1° gennaio 2029). Questi valori devono essere soggetti a controllo almeno annuale, salve le eccezioni previste dalla parte III, sezione 1 dell’allegato IX[41]. Per il campionamento, l’analisi e la valutazione delle emissioni degli impianti termici civili di potenza termica superiore al valore di soglia si applicano i metodi previsti nella parte III dell’allegato IX alla parte V del D.Lgs. n. 152/2006.
I composti organici volatili (Cov)
I composti organici volatili sono sostanze che contribuiscono all’acidificazione e alla riduzione dell’ozono troposferico. Nella nozione di Cov rientrano sostanze anche diverse tra loro, accomunate dalla capacità di evaporare facilmente a temperatura ambiente. Queste sostanze si rinvengono in prodotti di uso quotidiano quali deodoranti, spray, prodotti per la pulizia, pitture, pesticidi, colle, cosmetici, stampanti, fotocopiatrici, oltre che nelle emissioni industriali e di veicoli a motore.
La parte V del D.Lgs. n. 152/2006 e in particolare gli artt. 275, 276, 277 e gli allegati III, VII e VIII dagli stessi richiamati dettano una specifica disciplina per i Cov, definendo valori limite di emissione per i composti organici volatili prodotti da determinate attività produttive ed una peculiare disciplina per quanto concerne i profili autorizzativi. La disciplina sui Cov è connotata da specificità ed elevato dettaglio; nel rimandare al testo normativo per ogni riferimento, si evidenziano di seguito alcuni degli aspetti principali:
- l’art. 275 disciplina le emissioni di composti organici volatili provenienti da attività (una o più esercitate nel medesimo stabilimento) elencate nella parte II dell’allegato III alla parte V, che singolarmente superino le soglie di consumo di solvente[42] Tra queste si annoverano, ad esempio, le attività di rivestimento, verniciatura, pulitura a secco, stampa, fabbricazione di calzature, finitura di autoveicoli, impregnazione del legno eccetera. Qualora il gestore intenda svolgere una o più delle attività elencate alla parte II sopra menzionata dovrà presentare all’autorità competente domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 269, ovvero domanda di adesione ai sensi dell’art. 272, comma 3 oppure, ancora, domanda di autorizzazione integrata ambientale (art. 275, comma 4). All’attività, una o più esercitate nel medesimo stabilimento, si applicano i valori limite per le emissioni convogliate e per le emissioni diffuse di cui al medesimo allegato III, parti III e IV. Questa norma si applica anche alle attività che siano tecnicamente connesse e possano incidere sulle emissioni di Cov. Specifiche deroghe ed esenzioni dal rispetto dei valori limite possono essere accordate dall’autorità competente qualora, pur utilizzando le migliori tecniche disponibili, il gestore di uno stabilimento non possa garantire il rispetto dei valori limite di emissione per le emissioni diffuse (art. 275, comma 12), oppure nei casi previsti nella parte III all’allegato III qualora le emissioni non possano essere convogliate (art. 275, comma 13). Si segnala poi che la parte I all’allegato III stabilisce appositi valori limite di emissione per sostanze caratterizzate da particolari rischi per la salute e l’ambiente (art. 275, comma 17). Da ultimo si rileva che il comma 5-bis dell’art. 275 pone in capo al gestore un obbligo di tempestiva comunicazione all’autorità competente di qualsiasi violazione delle prescrizioni autorizzative;
- l’art. 276 disciplina le emissioni di composti organici volatili derivanti dal deposito e dal caricamento della benzina nei terminali e presso gli impianti di distribuzione dei carburanti; per impianti di deposito si intendono «i serbatoi fissi adibiti allo stoccaggio di benzina» (art. 276, comma 2), mentre gli impianti di distribuzione sono «impianti in cui la benzina viene erogata ai serbatoi di tutti i veicoli a motore da impianti di deposito» (art. 276, comma 3);
- infine, l’art. 277 attiene al recupero di solventi organici volatili prodotti nelle operazioni di rifornimento dei veicoli presso gli impianti di distribuzione dei carburanti, prevedendo che i distributori negli impianti di distribuzione di benzina devono essere attrezzati con sistemi di recupero dei vapori di benzina conformi ai requisiti indicati all’allegato VIII (differenti a seconda che si tratti di impianti esistenti o nuovi).
Criteri per il campionamento e la misurazione delle emissioni in atmosfera (cenni)
Criteri e modalità di campionamento sono un tema centrale in materia di emissioni in atmosfera, soprattutto avuto riguardo delle conseguenze sanzionatorie per il mancato rispetto dei valori limite e delle prescrizioni tecniche connesse. L’allegato VI alla parte V, D.Lgs. n. 152/2006, rubricato «Criteri per i controlli e per il monitoraggio delle emissioni», costituisce normativa tecnica di riferimento per quanto concerne la misurazione delle emissioni industriali[43]. Premesso che i limiti alle emissioni si intendono riferiti alle concentrazioni mediate sui periodi temporali (medie mobili di 7 giorni, mensili, giornaliere eccetera), l’allegato contiene disposizioni specifiche in merito, distinguendo tra metodi di misura discontinui e continui; nel grafico 5 è riportata una breve sintesi degli aspetti principali.
Grafico 5
Criteri per il monitoraggio
Requisiti e prescrizioni funzionali specifici sono previsti per i sistemi di monitoraggio in continuo delle emissioni e dettagliati al paragrafo 3 dell’allegato in esame. Tra le indicazioni fornite dal legislatore si segnalano per rilevanza e portata applicativa le seguenti:
- il sistema di rilevamento deve essere realizzato con una configurazione idonea a garantirne il funzionamento continuo non presidiato in tutte le condizioni ambientali e di processo;
- il gestore, per garantire la qualità dei dati raccolti, deve adottare procedure che documentino le modalità e l’avvenuta esecuzione degli interventi manutentivi programmati e straordinari nonché delle operazioni di calibrazione e taratura della strumentazione[44];
- le operazioni di manutenzione periodica e straordinaria devono essere registrate mediante la redazione di una tabella riepilogativa degli interventi[45];
- se in passato si richiedeva che gli analizzatori in continuo fossero certificati, ora, a seguito dell’intervento del D.Lgs. n. 183/2017, si richiede che l’idoneità degli analizzatori in continuo sia attestata, ai sensi della norma Uni En 15267; inoltre, essi devono essere dotati di un sistema di calibrazione in campo;
- il sistema di misura in continuo deve espletare almeno le seguenti funzioni: campionamento e analisi; calibrazione; acquisizione, validazione, elaborazione automatica dei dati;
- sempre quale conseguenza dell’intervento del D.Lgs. n. 183/2017 il posizionamento della sezione di campionamento non deve più rispettare la norma Uni 10169 (edizione giugno 1993), ma la norma Uni En 15259;
- le procedure di validazione dei dati per tipo di processo sono stabilite dall’autorità competente per il controllo, sentito il gestore.
Con specifico riferimento ai medi impianti di combustione, il D.Lgs. n. 183/2017 ha introdotto un nuovo punto 5-bis, disponendo che a questi impianti si applichino, in aggiunta alle disposizioni dei precedenti paragrafi, ulteriori e specifiche disposizioni. Esse troveranno applicazione solo a partire dal 1° gennaio 2025 e, in caso di impianti di potenza termica nominale pari o inferiore a 5 MW, a partire dal 1° gennaio 2030.
Infine, a favore degli impianti con emissioni scarsamente rilevanti di cui all’art. 272, comma 1, il D.Lgs. n. 183/2017 ha introdotto alcune semplificazioni circa la valutazione della conformità ai limiti emissivi (art. 272, comma 1-bis). In particolare:
- si è demandato alla legislazione regionale e delle province autonome l’individuazione dei metodi di campionamento e di analisi delle emissioni da utilizzare nei controlli, nonché il potere di imporre al gestore obblighi di monitoraggio;
- in caso di impianti di combustione che utilizzano biomasse combustibili o biogas, si è stabilito che l’autorità competente possa decidere di limitare o non effettuare i controlli qualora il gestore disponga di una dichiarazione di conformità dell’impianto rilasciata dal costruttore che attesta la conformità delle emissioni ai valori limite, ovvero qualora, sulla base di un controllo documentale, risultino regolarmente applicate le istruzioni tecniche per l’esercizio e la manutenzione previste dalla dichiarazione
Controlli e sanzioni
L’art. 271 e l’allegato VI contengono disposizioni in merito al campionamento e controllo dei valori limite di emissione. A esito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 183/2017, l’art. 271 oggi sul punto dispone:
- l’obbligo di indicazione nelle stesse autorizzazioni della periodicità dei monitoraggi di competenza del gestore, garantiti o attraverso l’esecuzione di misure periodiche basate su metodi discontinui o attraverso l’utilizzo di sistemi di monitoraggio basati su metodi in continuo;
- la comunicazione all’autorità competente entro 24 ore dall’accertamento di anomalie e l’intervento nel più breve tempo possibile;
- la valorizzazione della collaborazione con l’autorità competente assicurando l’accesso ai punti di prelievo e di campionamento in condizioni di sicurezza[46];
- la sostituzione del periodo di marcia controllata con la possibilità di considerare un periodo rappresentativo delle condizioni di esercizio dell’impianto, senza condizionare così l’operatività dell’impianto stesso.
Occorre rilevare che lo svolgimento dei monitoraggi da parte del gestore dell’impianto è attività distinta da quella di controllo, che resta in capo all’autorità competente; il comma 20 dell’art. 271 specifica che solo le difformità accertate in sede di controllo rilevano ai fini del reato di cui all’art. 279, comma 2. La rilevanza sanzionatoria della violazione dei valori limite passa, dunque, attraverso un controllo dell’autorità, sulla cui portata, tuttavia, non vi è dettaglio nella normativa di riferimento; è comunque ragionevole ritenere che l’attività di controllo non possa limitarsi alla mera acquisizione del dato[47].
Venendo, poi, ai poteri ordinatori, il D.Lgs. n. 183/2017 ha complessivamente aggiornato il quadro normativo. Fermi restando i poteri di intervento in ordine agli aspetti autorizzativi (diffida, sospensione, revoca di cui già si è detto) in estrema sintesi:
- in caso di accertamento di non conformità nel corso di controlli da parte dell’autorità competente, essa «impartisce al gestore, con ordinanza, prescrizioni dirette al ripristino della conformità nel più breve tempo possibile, sempre che queste prescrizioni non possano essere imposte sulla base di altre procedure previste dalla vigente normativa» (art. 271, comma 20-bis);
- qualora sia il gestore ad accertare la non conformità nel corso dei controlli di propria competenza, non solo deve darne comunicazione all’autorità competente entro 24 ore, ma deve anche procedere al ripristino della conformità nel più breve tempo possibile o nel termine fissato dall’autorità. Nel caso in cui il gestore non provveda entro il termine fissato, si applica la sanzione prevista dall’art. 279, comma 2 (art. 271, comma 20-ter);
- infine, la «cessazione dell’esercizio dell’impianto deve essere sempre disposta se la non conformità può determinare un pericolo per la salute umana o un significativo peggioramento della qualità dell’aria a livello locale» (art. 271, comma 20-bis).
Quanto, conclusivamente, alle sanzioni penali e amministrative pecuniarie si rinvia al capitolo 8.
Leading case –Corte di cassazione penale 30 aprile 2020, n. 13324
Il caso riguarda il titolare di un ristorante cui è stato contestato il reato di getto pericoloso di cose (674, codice penale) per aver immesso nell’aria vapori e fumi provenienti dalla cucina in assenza di canna fumaria, causando molestie ai residenti. La difesa, nel ricorrere in Cassazione, ha sostenuto che, essendo l’attività autorizzata, il giudice di merito abbia errato nel non verificare se le emissioni avessero superato i limiti di legge. La corte di Cassazione, nell’evidenziare che in passato, un orientamento giurisprudenziale avesse escluso la configurabilità del reato di getto pericoloso di cose in caso di emissioni provenienti da attività autorizzata e contenute nei limiti previsti, ha aderito a un diverso, e oggi prevalente, indirizzo giurisprudenziale. Secondo la Corte, infatti, il reato in questione si deve ritenere configurabile «indipendentemente dal superamento dei valori limiti eventualmente stabiliti dalla legge, in quanto anche un’attività produttiva di carattere industriale autorizzata può procurare molestie alle persone». La Corte ha poi evidenziato che l’evento di molestia, sanzionabile ai sensi dell’art. 674, codice penale, si può avere, non solo in caso di emissioni in violazione dei limiti di legge, ma anche nel caso di superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844, codice civile. Quanto, invece, ai casi in cui non esiste una normativa statale che preveda specifici valori limite, la giurisprudenza individua quale parametro di legalità dell’emissione quello della “stretta tollerabilità”, ritenendo in questo caso inadeguato il parametro della “normale tollerabilità” di cui all’art. 844, codice civile. Pertanto, secondo la Corte «occorre distinguere l’ipotesi che siano svolte senza autorizzazione (perché non prevista o perché non richiesta o ottenuta) oppure in conformità alle previste autorizzazioni. Nella prima ipotesi, il contrasto con gli interessi protetti dalla disposizione di legge va valutato secondo criteri di “stretta tollerabilità”, mentre laddove l’attività è esercitata secondo l’autorizzazione e senza superamento dei limiti di questa, si deve fare riferimento alla “normale tollerabilità” delle persone quale si ricava dal contenuto dell’articolo 844 cod. civ. Qualora sia riscontrata l’autorizzazione e il rispetto dei limiti di questa, una responsabilità potrà comunque sussistere qualora l’azienda non adotti quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per ulteriormente abbattere l’impatto sulla realtà esterna».
Tabella 4
Giurisprudenza richiamata nel capitolo |
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Anno | Corte di Giustizia europea | Corte Costiuzionale | Consiglio di Stato | TAR | Corte di Cassazione |
2011 | Bologna n. 49 | Penale, n. 5347 | |||
2012 | C-68/11 | ||||
2013 | Penale, n. 191 | ||||
2014 | n. 41 | Venezia n. 573 | Penale, n. 19330
Penale, n. 34087 |
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2015 | Penale, n. 1713
Penale, n. 36903 |
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2016 | n. 1633 | ||||
2017 | Penale, n. 50632
Penale, n. 56281 Penale, n. 57958 |
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2018 | Catanzaro n. 682
Abruzzo n. 316 |
Penale, n. 810
Penale, n. 51033 Penale, n. 51475 |
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2019 | C - 723/17 | n. 6071 | Puglia n. 524
Piemonte n. 969 |
Penale, n. 28355 | |
2020 | Penale, n. 13324 |
[1] In particolare sono state sostituite: la direttiva 96/62/Ce in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente; la direttiva 1999/30/Ce concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo; la direttiva 2000/69/Ce concernente i valori limite per il benzene e il monossido di carbonio nell’aria ambiente; la direttiva 2002/3/Ce relativa all’ozono nell’aria; la decisione 97/101/Ce del Consiglio, che instaura uno scambio reciproco di informazioni e di dati provenienti dalle reti e dalle singole stazioni di misurazione dell’inquinamento atmosferico negli Stati membri
[2] Per “zona” si intende «una parte del territorio di uno stato membro da esso delimitata, ai fini della valutazione e della gestione della qualità dell’aria» (art. 2, comma 1, n. 16, direttiva 2008/50/Ce).
[3] Per “agglomerato” si intende una «zona in cui è concentrata una popolazione superiore a 250.000 abitanti o, allorché la popolazione è pari o inferiore a 250.000 abitanti, con una densità di popolazione per km2 definita dagli stati membri» (art. 2, comma 1, n. 17, direttiva 2008/50/Ce). Si noti che lo Stato italiano ha fissato quale soglia una densità di popolazione per km2 superiore a 3.000 abitanti [art. 2, comma 1, lettera f), D.Lgs. n. 155/2010].
[4] Art. 13, direttiva 2008/50/Ce.
[5] Art. 14, direttiva 2008/50/Ce.
[6] I valori limite e i valori obiettivo sono specificati rispettivamente agli allegati XI e XIV alla direttiva
[7] I valori soglia di allarme sono individuati all’allegato XII alla Direttiva.
[8] Art. 19, direttiva 2008/50/Ce. Si osserva che gli stati membri devono anche fornire, periodicamente, alla Commissione informazioni sulla qualità dell’aria ambiente (art. 27). Le modalità di attuazione degli obblighi di comunicazione, nonché per lo scambio di informazioni tra stati membri, sono stabilite nella decisione della Commissione 2011/850/Ue.
[9] La direttiva 2015/1480/Ue ha modificato alcune norme tecniche degli allegati alla direttiva 2008/50/Ce relative al numero minimo di punti di campionamento, ai metodi di riferimento da adottare per la valutazione dei valori di concentrazione e alla convalida dei dati di valutazione della qualità dell’aria ambiente. Queste modifiche sono state recepite nell’ordinamento italiano con il decreto del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 gennaio 2017.
[10] La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in una sentenza adottata su rinvio pregiudiziale operato da un giudice belga (causa C-723/17, sentenza del 26 giugno 2019) ha precisato che «spetta a un giudice nazionale, adito con una domanda presentata a tal fine da privati direttamente interessati dal superamento dei valori limite di cui all’art. 13, paragrafo 1, della citata direttiva [2008/50/EC], verificare se i punti di campionamento situati in una determinata zona siano stati installati conformemente ai criteri di cui all’allegato III, sezione B, punto 1, lettera a), di detta Direttiva e, in caso contrario, adottare nei confronti dell’autorità nazionale competente, ogni misura necessaria, quale, ove prevista dal diritto nazionale, un’ingiunzione affinché i detti punti di campionamento siano collocati nel rispetto di tali criteri».
[11] In questo senso, ad esempio, la sentenza 19 dicembre 2012, Commissione contro Italia, C- 68/11, ECLI:EU:C:2012:815.
[12] Le specifiche modalità di valutazione sono stabilite all’art. 4 della direttiva e comprendono misurazioni in punti fissi, tecniche di modellizzazione, utilizzo di misure indicative e di stime
[13] Inoltre, l’art. 5 della direttiva dispone che gli Stati membri forniscano periodicamente alla Commissione informazioni dettagliate circa le zone e agglomerati dove si riscontri un superamento (aree di superamento, valori riscontrati, motivi e fonti del superamento, popolazione esposta).
[14] Per «impianti di combustione medi» si intendono impianti di combustione aventi una potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50 MW, indipendentemente dal tipo di combustibile utilizzato (art. 2, direttiva 2015/2193/Ue).
[15] Secondo le definizioni date dall’art. 3 della direttiva 2016/2284/Ue, per «impegno nazionale di riduzione delle emissioni” si deve intendere l’«obbligo degli Stati membri di ridurre le emissioni di una sostanza; esso specifica la riduzione minima delle emissioni da conseguire in un determinato anno civile, espresso in percentuale del totale delle emissioni nel corso dell’anno di riferimento (2005)», mentre, per «emissioni antropogeniche» si devono intendere le «emissioni atmosferiche di inquinanti associate ad attività umane».
[16] Il decreto ha recepito nell’ordinamento italiano sia la direttiva 2004/107/Ce che la direttiva 2008/50/Ue
[17] L’art. 2, D.Lgs. n. 155/2010 classifica come “agglomerati”: (1) un’area urbana; oppure (2) un insieme di aree urbane che distano tra loro non più di qualche chilometro; oppure (3) un’area urbana principale e un insieme di aree urbane minori che dipendono da quella principale sul piano demografico e dei servizi. Ogni agglomerato deve avere più di 250.000 abitanti o una densità di popolazione superiore a 3.000 abitanti per km2.
[18] Per quanto riguarda il processo di delimitazione delle zone, l’art. 2, D.Lgs. n. 155/2010 distingue a seconda del tipo di inquinante in considerazione: per quel che riguarda gli inquinanti con natura cosiddetta “secondaria” – quali il PM10, il PM2,5, gli ossidi di azoto e l’ozono – il processo di delimitazione delle zone presuppone l’analisi delle caratteristiche orografiche e meteo-climatiche, del carico emissivo e del grado di urbanizzazione del territorio; diversamente, per gli inquinanti cosiddetti “primari” – quali il piombo, il monossido di carbonio, gli ossidi di zolfo, il benzene, il benzo(a)pirene e i metalli – la zonizzazione deve essere effettuata in funzione del carico emissivo
[19] Sentenza della Corte costituzionale n. 41/2014
[20] Le emissioni da fonti naturali sono emissioni non causate né direttamente né indirettamente da attività umane, inclusi eventi naturali quali eruzioni vulcaniche, attività sismiche, attività geotermiche, incendi spontanei, tempeste di vento, aereosol marini o trasporto e risospensione atmosferici di particelle naturali dalle regioni secche.
[21] In merito, si segnala l’adozione del D.M. Ambiente 26 novembre 2018 «Siti e criteri per l'esecuzione del monitoraggio degli impatti dell'inquinamento atmosferico sugli ecosistemi - Attuazione articolo 7, comma 3, Dlgs 81/2018».
[22] Preliminarmente al rilascio dell’autorizzazione, l’autorità competente verifica se le emissioni diffuse di ciascun impianto siano tecnicamente convogliabili sulla base delle migliori tecniche disponibili e, in questo caso, ne dispone la captazione e il convogliamento (art. 270, comma 1). Il convogliamento è ordinato anche qualora la tecnica individuata non soddisfi il requisito della “disponibilità” (ovvero qualora la tecnica di cui si chiede l’applicazione non risulti sviluppata a condizioni tecnicamente ed economicamente valide nel pertinente comparto industriale) in caso di particolari situazioni di rischio sanitario oppure qualora l’impianto sia sito in zone che richiedono una particolare tutela ambientale (art. 270, comma 2). Di norma ciascun impianto (o macchinario fisso dotato di autonomia funzionale) deve avere un solo punto di emissione (art. 270, comma 5). Ove non sia tecnicamente possibile, l’autorità può autorizzare un impianto con più punti di emissione oppure, ove opportuno, può consentire il convogliamento delle emissioni prodotte da più impianti in uno o più punti di emissione comuni purché le emissioni di tutti gli impianti presentino caratteristiche omogene dal punto di vista chimico-fisico (art. 270, commi 6 e 7). Con specifico riferimento ai grandi impianti di combustione è altresì precisato che, ciascun camino, contenente una o più canne di scarico, corrisponde a un punto di emissione anche ai fini dell’applicazione dell’art. 270 del D.Lgs. n. 152/2006 (art. 273, comma 7).
[23] Recentemente, in alcuni provvedimenti autorizzativi sono stati introdotti anche “valori obiettivo di lungo periodo”; sussistono, tuttavia, dubbi circa i sistemi di monitoraggio ed il carattere vincolante di tali limiti.
[24] La Corte di Cassazione penale ha ricordato nella recente sentenza n. 56281/2017 che, poiché «l’autorizzazione all’esercizio di impianti produttivi di emissioni ha funzioni non soltanto abilitative, ma anche di controllo del rispetto della normativa di settore e presuppone, per il rilascio, un procedimento amministrativo complesso, che involge anche aspetti prettamente tecnici, deve escludersi la possibilità di provvedimenti equipollenti o sostitutivi del formale atto autorizzativo». Peraltro, in precedenza la Corte aveva già chiarito che l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera è dovuta solo qualora le emissioni siano effettivamente prodotte e non anche se l’impianto sia solo potenzialmente in grado di produrle. Si veda la sentenza della Cassazione penale n. 36903/2015, che conferma le sue precedenti sentenze n. 34087/2014 e n. 5347/2011. Tuttavia, essa ha anche recentemente ribadito che qualora l’autorizzazione sia dovuta, la sua mancanza integra «un reato permanente, formale e di pericolo […], che non richiede neppure che l’attività inquinante abbia avuto effettivo inizio, essendo sufficiente la sola sottrazione della stessa al controllo preventivo degli organi di vigilanza […]; tale contravvenzione prescinde, dunque, dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, in quanto non costituisce un reato di danno ma, per l’appunto, di mera condotta, la cui ratio si ravvisa nella necessità che la pubblica Amministrazione possa esercitare un controllo preventivo su attività potenzialmente dannose per l’ambiente […], a prescindere dalla effettiva produzione di emissioni nocive o superiori ai limiti fissati». Sul punto si vedano le sentenze della Cassazione penale n. 50632/2017 e n. 1713/2015. Nello stesso senso, Cassazione penale n. 28355/2019, la quale ha affermato che: «a fronte della accertata presenza di punti di emissione – giustificativi come tali della necessaria autorizzazione – consegue l’adozione ove possibile delle necessarie tecniche di contenimento, senza che il relativo funzionamento, quand’anche capace di contenere totalmente le emissioni, possa confondersi con la scomparsa delle ragioni giustificative del controllo pubblico e quindi della prescritta autorizzazione».
[25] Diversamente, per gli impianti di cui al titolo II, ovvero gli impianti termici civili di potenza termica nominale inferiore a 3MW, non è previsto il rilascio di un’autorizzazione per l’esercizio, ma il produttore ne deve dichiarare la conformità alle caratteristiche tecniche di cui all’art. 285, D.Lgs. n. 152/2006, nonché l’idoneità a rispettare i valori limite di emissione di cui all’art. 286, D.Lgs. n. 152/2006.
[26] Ciò non esclude, però, la necessità di autorizzazione per l’impianto singolo, non inserito in una più vasta attività produttiva. La Corte di cassazione penale, nella sentenza n. 191/2013, ha, infatti, precisato che il concetto di stabilimento «può essere integrato anche dal singolo impianto che sia dotato di autonomia operativa, con la conseguenza che la natura “mobile” dell’impianto non costituisce caratteristica che di per sé lo sottragga alla disciplina sulle immissioni». Il principio deve, peraltro, trovare coordinamento con le disposizioni contenute nell’art. 272, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, che escludono l’obbligo di autorizzazione anche per gli impianti mobili che non operano all’interno di uno stabilimento, qualora si tratti di attività che producono emissioni scarsamente rilevanti per l’inquinamento. Il principio per cui, di norma, l’autorizzazione deve essere rilasciata con riferimento allo stabilimento e non al singolo impianto è stato recentemente ribadito dalla Cassazione penale nella sentenza n. 51033/2018.
[27] Sul punto, si segnala che il D.Lgs. n. 102/2020 ha specificato che «I valori limite di emissione sono identificati solo per sostanze e parametri valutati pertinenti in relazione al ciclo produttivo e sono riportanti nell’autorizzazione unitamente al metodo di monitoraggio…».
[28] La giurisprudenza anche di recente ha confermato che deve essere comunicata «ogni modifica che “possa produrre effetti sull’ambiente” e, dunque, ogni modifica relativa all’utilizzo di sostanze e di cicli di prodotto, atteso che non rileva certamente, ai fini dell’applicabilità della norma, che la modifica introdotta sia poi ritenuta, a seguito di concreta valutazione espletata dalle Amministrazioni competenti, non influente sull’ambiente ma solamente il fatto che la stessa, potenzialmente, lo fosse e tale certamente nel caso concreto, in cui veniva introdotto un diverso materiale da utilizzare» (Tar Puglia n. 524/2019).
[29] Il Tar Bologna (sentenza n. 49/2011) sul punto ha precisato che «affinché la modifica sia sostanziale è sufficiente che vi sia un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o un’alterazione delle condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse. Quindi, sono sufficienti modifiche minime concernenti le emissioni per giustificare un procedimento più completo con la partecipazione di tutti gli enti coinvolti e titolari istituzionalmente di un interesse alla tutela dell’ambiente». Più recentemente il Consiglio di Stato (sentemza n. 6071/2019) ha ribadito che «ciò che rileva, ai fini della classificazione come “sostanziale” di una “modifica” è il potenziale incremento, quantitativo o qualitativo, delle “emissioni in atmosfera” rispetto al precedente assetto produttivo. In altre parole, è “sostanziale” la “modifica” che aumenta, quantitativamente o qualitativamente, l’impatto inquinante (inteso come specificato supra) dello stabilimento rispetto alla situazione pregressa».
[30] In questo senso, si veda la sentenza del Consiglio di Stato n. 1633/2016.
[31] Il D.Lgs. n. 102/2020 ha modificato il comma 4 dell’art. 272, D.Lgs. n. 152/2006 da un lato, limitando il divieto di ricorso ad autorizzazioni di carattere generale ai soli casi di utilizzo di sostanze mutagene, cancerogene e tossiche per la riproduzione nei cicli produttivi da cui originano le emissioni (il testo previgente faceva riferimento all’utilizzo di sostanze nell’impianto o nell’attività). D’altro lato, il divieto viene esteso anche alle sostanze classificate «estremamente preoccupanti ai sensi della normativa europea vigente in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio». Laddove, ad esito di questsa modifica, un impianto in possesso di autorizzazione generale alle emissioni venga a rientrare nel divieto, dovrà presentare domanda di autorizzazione (ordinaria) entro tre anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 102/2020.
[32] La presentazione di autonoma istanza di adesione all’autorizzazione generale per il tramite del Suap è ammessa non solo nel caso di attività soggetta unicamente ad autorizzazione generale, ma anche nel caso in cui l’attività sia soggetta ad altri titoli abilitativi tra quelli sostituiti dall’Aua. Sul punto, si veda la circolare ministeriale 7 novembre 2013 precedentemente citata.
[33] Si veda la sentenza della Cassazione penale n. 19330/2014, che ha ritenuto sussistente la contravvenzione di cui all’art. 279, comma 3 nei confronti del titolare di una autocarrozzeria che aveva omesso di comunicare all’autorità competente l’avvio dell’esercizio dell’attività come previsto dall’art. 272, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006
[34] Prima dell’intervento del D.Lgs. n. 183/2017 volto a esplicitare la disciplina di riferimento, la disposizione faceva un generico rinvio alla «normativa vigente».
[35] Riferimento introdotto dal D.Lgs. n. 183/2017
[36]Laddove la disciplina di cui al neo-introdotto comma 7-bis diventi applicabile a uno stabilimento o installazione a seguito di una modifica della classificazione delle sostanze, entro 3 anni il gestore dovrà presentare una domanda di autorizzazione volta all’adeguamento della stessa, allegando la relazione di cui al primo punto che precede.
[37] A titolo meramente esemplificativo, sono disciplinate nella parte III, allegato I: gli impianti di combustione con potenza termica nominale inferiore a 50 MW, gli impianti di essiccazione, i motori fissi a combustione interna, le turbine a gas fisse, i cementifici, i forni eccetera.
[38] La sezione 1 della parte IV, avente ad oggetto i valori di emissione e le prescrizioni relativi alle raffinerie, è stata abrogata dal D.Lgs. n. 183/2017.
[39] L’idoneità deve risultare da apposite prove, effettuate secondo le pertinenti norme En da laboratori accreditati e il produttore deve tenere a disposizione i relativi rapporti.
[40] I medi impianti termici civili messi in esercizio o soggetti a modifica a partire dal 20 dicembre 2018 devono essere preventivamente iscritti nel registro autorizzativo, mentre i medi impianti termici civili messi in esercizio prima del 20 dicembre 2018 devono essere iscritti entro il 1° gennaio 2029.
[41] L’esclusione si riferisce agli impianti termici civili che utilizzano i combustibili previsti dall’allegato X diversi da biomasse e biogas.
[42] L’art. 268, lettera rr) definisce “soglie di consumo” «il consumo di solvente espresso in tonnellate/anno stabilito dalla parte II dell’Allegato III alla Parte quinta del presente decreto, per le attività ivi previste».
[43] Per il campionamento, l’analisi e la valutazione delle emissioni degli impianti termici civili di potenza termica superiore al valore di soglia, si applicano i metodi previsti nella parte III dell’allegato IX alla parte V, D.Lgs. n. 152/2006.
[44] Con il D.Lgs. n. 183/2017 si è disposto che in caso di grandi impianti di combustione, cementifici, vetrerie e acciaierie, le procedure di garanzia di qualità dei sistemi di monitoraggio delle emissioni sono soggette alla norma Uni En 14181 e, pertanto, non deve essere loro applicato il successivo paragrafo 4 in materia di tarature e verifiche.
[45] Per i medi impianti di combustione la registrazione è effettuata nell’ambito dell’archiviazione prevista al punto 5-bis.2.
[46] Come rilevato da L. Butti in Emissioni: tutte le novità a riforma della legislazione in Ambiente&Sicurezza n. 2/2018, questo aspetto assume particolare rilevanza se si considera il delitto di impedimento al controllo previsto dalla legge n. 68/2015.
[47] Sul punto si veda la sentenza Tar Piemonte n. 969/2019, la quale - tra i motivi di annullamento di una diffida - ha rilevato anche il mancato accertamento da parte dell’Arpa della violazione contestata, la quale era stata rilevata unicamente sulla base degli autocontrolli effettuati dal gestore.