(End of waste per inerti: così non va)
È reperibile in rete il testo di un decreto, firmato digitalmente il 15 luglio 2022 dal ministro per la Transizione ecologica, recante i criteri specifici per il recupero dei rifiuti inerti da attività di costruzione e demolizione (C&D waste), nonché per altri rifiuti di origine minerale. Al momento, tuttavia, ancora non risulta la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, nonostante siano trascorse diverse settimane dalla firma. È possibile che il ritardo dipenda da osservazioni della Commissione europea, cui lo schema di provvedimento risulta trasmesso. Si può tuttavia anche immaginare che, a seguito di attenta lettura e commenti da parte di diversi operatori, stiano emergendo perplessità su alcuni contenuti del provvedimento nel testo reperibile sul web. Sarebbe probabilmente preferibile risolvere queste perplessità - e dunque modificare il testo e/o predisporre una circolare di chiarimenti da emanare contestualmente alla sua pubblicazione - prima di renderlo operativo in Gazzetta Ufficiale. Vediamo molto brevemente, in primo luogo, l’obiettivo fondamentale del decreto e, successivamente, alcuni dei punti più controversi.
Obiettivo del decreto
Nel disegno previsto dallo schema di decreto, al termine delle operazioni di recupero di tipo meccanico, non si avranno più rifiuti da costruzione e demolizione – pari a circa 70 milioni di tonnellate l’anno[1]Osserva, peraltro, il Consiglio di Stato nel parere sullo schema di regolamento spedito il 17 maggio 2022: «emerge dall’AIR, ad esempio, che degli oltre 70 milioni annui di tonnellate di rifiuti prodotti dal settore delle costruzioni e demolizioni, solo circa 3,2 milioni di tonnellate sono stati smaltiti in discarica, mentre non è indicato il dato percentuale della quota di questa tipologia di rifiuti che viene avviata al recupero; da questo dato è logico inferire l’ipotesi che esista una massa notevole di questa tipologia di rifiuti che si colloca al di fuori dei fisiologici meccanismi di gestione dei rifiuti, essendo peraltro notorio il gravissimo fenomeno dell’abbandono incontrollato di rifiuti inerti da demolizione e costruzione». – bensì aggregati recuperati da utilizzare per gli scopi specifici previsti dal decreto. Va ricordato che, secondo l’art. 184-ter, D.Lgs. n. 152/2006, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e se soddisfa i criteri specifici stabiliti a livello europeo oppure, in mancanza di criteri comunitari, quelli previsti dal ministero della Transizione ecologica all’interno di decreti adottati caso per caso per le singole tipologie di rifiuti[2]Senza considerare il provvedimento in discussione, ancora non pubblicato in Gazzetta Ufficiale, a oggi il ministero competente ha emanato cinque regolamenti end of waste.. Ciò premesso, nel seguito sono riportate le principali criticità rilevate nel testo esaminato.
I rifiuti della tabella 1 dell’Allegato 1 sono “inerti per decreto” o la natura inerte del rifiuto va comunque verificata?
Secondo l’art. 2, comma 1, lettera a), ai fini di cui al regolamento (vale a dire per la perdita della qualifica di rifiuto da parte dei rifiuti di costruzione e demolizione) si considerano «rifiuti inerti delle attività di costruzione e demolizione» una serie di rifiuti non pericolosi elencati (con i rispettivi codici) nella tabella 1 dell’allegato 1. La successiva lettera b) rinvia a un gruppo analogo di «altri rifiuti inerti di origine minerale», anch’essi elencati nella citata tabella 1, qui sotto integralmente riportata. Tutti questi rifiuti, dunque, una volta sottoposti a operazioni di recupero in conformità al nuovo regolamento, cessano di essere rifiuti.
La successiva lettera c) dell’art. 2 riporta, tuttavia, un’accurata definizione di «rifiuti inerti», ricalcata, solo con qualche omissione, da quella prevista dalla normativa sulle discariche (vedere l’art. 2 del D.Lgs. n. 36/2003, nel testo vigente): «i rifiuti solidi dalle attività di costruzione e demolizione e altri rifiuti inerti di origine minerale che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa; i rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano né sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e, in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana». La domanda che sorge spontanea è dunque la seguente: i rifiuti elencati in tabella 1 sono “inerti per decreto” (ai fini ovviamente del recupero), oppure per ciascuno di essi va in concreto verificata la natura inerte, anche – occorrendo – attraverso prove analitiche? Nella prima ipotesi, non si comprende a cosa serva nel decreto la definizione di rifiuto inerte; nella seconda, l’intento di semplificazione appare lontano dall’essere raggiunto. Ci si potrebbe, inoltre, chiedere se il produttore del rifiuto debba classificarlo prima come “non pericoloso” e poi come “inerte” o se, invece, la classificazione come “inerte” assorba quella di “non pericoloso”. Oppure se il recuperatore, munito di titolo abilitativo adeguato alla nuova disciplina, possa ricevere rifiuti inerti che, però, il produttore abbia classificato semplicemente come “non pericolosi” e, in caso affermativo, se per farlo abbia la necessità - e dunque anche la possibilità - di operare in un “doppio binario”. Ciò vorrebbe dire mantenere la vecchia autorizzazione in via semplificata per ricevere i rifiuti non pericolosi che, pur se “tabellati”, non sono (o non sono stati classificati come) inerti, ma affiancando a essa la nuova comunicazione aggiornata per ricevere anche gli inerti. Il tema è rilevante anche al fine di realizzare quel giusto bilanciamento tra tutela dell’ambiente e semplificazione, per incentivare l’economia circolare, espressamente ricordata dal Consiglio di Stato nel richiamato parere. Per alcuni tipi di rifiuti elencati, ad esempio le terre e rocce, il tema potrebbe essere molto rilevante e si auspica, pertanto, un chiarimento definitivo, se necessario anche attraverso una modifica testuale, prima della pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale.
Incertezze sulla demolizione selettiva
All’art. 1, il secondo periodo del comma 1 prevede poi che «in via preferenziale, i rifiuti ammessi alla produzione di aggregati recuperati provengono da manufatti sottoposti a demolizione selettiva». La disposizione non è chiarissima. In primo luogo, il decreto non contiene la definizione di demolizione selettiva. Di questa pratica si erano però già occupate le linee guida Snpa recanti criteri e indirizzi tecnici per il recupero dei rifiuti inerti approvate con delibera del 29 novembre 2016[3]Sempre sul tema alcune indicazioni sono fornite anche dalla Uni/Pdr 75:2020 «Linea guida per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti in un’ottica di economia circolare». Per ulteriori riferimenti si rimanda a F. Peres Costruzione e demolizione tema rifiuti sempre aperto in Ambiente&Sicurezza n. 5/2019. secondo le quali, con questa particolare tecnica di demolizione, sarebbe possibile ottenere un riciclaggio di alta qualità di ciò che non può che essere qualificato rifiuto. Le linee guida prevedevano, a questo fine, un’indagine preliminare sulla struttura da demolire, sul sito e sull’area circostante, per caratterizzare la natura dei materiali che la compongono, nonché una declinazione delle attività funzionali alla demolizione utili non solo per gestire eventuali criticità, ma anche per valorizzare le parti direttamente riutilizzabili. Ciò premesso, la formale pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di un provvedimento come quello in commento dovrebbe essere preceduta da quanto segue:
- una chiara definizione giuridica della demolizione selettiva, da aggiungere alle altre definizioni presenti nell’art. 2;
- l’individuazione delle modalità pratiche attraverso le quali dovrebbe essere possibile “imboccare la corsia preferenziale” prevista dal secondo periodo del comma 1.
La disposizione sembra, infatti, rivolgersi al recuperatore invitandolo a preferire, in fase di accettazione, i rifiuti provenienti da demolizione selettiva rispetto a quelli da demolizione indifferenziata. Ciò presuppone però che quel recuperatore, in quel preciso momento, abbia di fronte a sé, in ingresso all’impianto, più conferitori di rifiuti inerti da demolizione, alcuni da selettiva e altri no, e non potendo per esigenze logistiche o per le quantità autorizzate, accettarli tutti, dia la precedenza ai primi. In linea teorica questa situazione è possibile, ma in concreto appare davvero poco probabile e, anche ove si verificasse, resterebbe il tema del suo accertamento, delle interferenze con i rapporti contrattuali e con gli impegni già assunti dal recuperatore e infine delle conseguenze di un’eventuale violazione di questo vago precetto. Senza questi chiarimenti, la norma non pare destinata a centrare l’obiettivo previsto dalla direttiva 2018/851/Ue[4]L’art. 1, punto 12), direttiva 2018/861/Ue aveva così modificato l’art. 11 della direttiva 2008/98/CE: «Gli Stati membri adottano misure intese a promuovere la demolizione selettiva onde consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità tramite la rimozione selettiva dei materiali, nonché garantire l’istituzione di sistemi di cernita dei rifiuti da costruzione e demolizione almeno per legno, frazioni minerali (cemento, mattoni, piastrelle e ceramica, pietre), metalli, vetro, plastica e gesso». di incentivare in concreto la demolizione selettiva.
Per i rifiuti da costruzione e demolizione non tabellati le operazioni di recupero potranno continuare a essere autorizzate anche in via semplificata?
L’art. 1 si chiude con il comma 2 che si limita a ribadire quanto previsto dall’art. 184-ter comma 3 primo periodo, ovvero che le operazioni di recupero su rifiuti non riportati nella tabella 1 dell’allegato 1 sono soggette al rilascio o al rinnovo delle autorizzazioni di cui agli artt. 208, 209 e 2011 e titolo III-bis del D.Lgs. n. 152/2006. Non essendo stato ripreso il secondo periodo del comma 3 dell’art. 183-ter (relativo alle autorizzazioni in via semplificata) ci si potrebbe domandare se per i rifiuti da costruzione e demolizione non tabellati le operazioni di recupero potranno continuare a essere autorizzate anche in via semplificata. La risposta dovrebbe essere in senso positivo, poiché è vero che il comma 3 dell’art. 183-ter non è stato interamente riportato nel nuovo decreto, ma, essendo il decreto ministeriale una fonte di rango secondario, non avrebbe, comunque, potuto disporre diversamente o derogare a quanto previsto dal D.Lgs. n. 152/2006, fonte di rango primario. Tuttavia, un espresso chiarimento sarebbe più che opportuno, a evitare interpretazioni stravaganti.
I rifiuti abbandonati o sotterrati
Oltre a individuare i codici rifiuti rilevanti per il nuovo regolamento, nella prima sezione viene specificato che non sono ammessi alla produzione di aggregato recuperato i rifiuti derivanti dalle attività di costruzione e di demolizione aventi i codici previsti dalla tabella 1, ma abbandonati o sotterrati. Si tratta di una previsione fermamente contestata dagli operatori del settore, che, da un lato, in fase consultiva, da un lato avevano richiesto di ampliare il più possibile la lista dei codici Eer da ammettere alla produzione di aggregato riciclato[5]Nel proprio position paper Anpar aveva, infatti, auspicato l’inserimento di codici generici quali il 170904 o il 191209 o i codici relativi agli eventi calamitosi 200301 o 200399. e dall'altro, avevano proposto di seguire un criterio merceologico e inserire specifiche limitazioni legate alla sola componente inerte. Nonostante le perplessità manifestate anche dal Consiglio di Stato nel parere consultivo 10 maggio 2022[6]A detta del Consiglio di Stato «Manca, tuttavia, una più diretta valutazione, forse necessaria, delle speciali esigenze che nascono (purtroppo frequentemente) dalla gestione dell’emergenza e della ricostruzione nelle aree terremotate (si considerino, ad esempio, le disposizioni speciali contenute nell’articolo 28 - Disposizioni in materia di trattamento e trasporto del materiale derivante dal crollo parziale o totale degli edifici - del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189 […]). L’esclusione, inoltre, di tutti i rifiuti inerti di demolizione/costruzione abbandonati e interrati, trattandosi, purtroppo, di un fenomeno molto diffuso, sembrerebbe imporre l’avvio in discarica di queste notevoli masse di materiali, che verrebbero in tal modo sottratte a ogni possibile processo di selezione e controllo per l’eventuale re-immissione in ciclo di frazioni recuperabili»., il Ministero ha, tuttavia, per ora, scelto di non estendere il novero dei codici Eer disciplinati dal regolamento, qualificando come “residuali” le tipologie di rifiuti indicate dagli operatori del settore e ritenendo che l’ammissione di codici rifiuti molto variabili e misti aumenterebbe il rischio di una contaminazione da sostanze pericolose. È auspicabile che anche questa tematica venga rivista prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto.
Le verifiche sui rifiuti in ingresso
Questa verifica compete ovviamente al recuperatore, e lo schema di decreto ne individua le modalità, che partono dall’esame «della documentazione a corredo dei rifiuti in ingresso, a controllo visivo e, qualora se ne ravveda la necessità, a controlli supplementari». A questo fine, il recuperatore deve garantire un sistema per il controllo di accettazione dei rifiuti in ingresso per verificarne la conformità al regolamento in commento; un sistema che deve essere coordinato con quello di gestione ambientale certificato ai sensi della Uni En Iso 14001 o conforme al regolamento Emas, se adottato dal produttore dell’aggregato recuperato. Desta al riguardo qualche perplessità la richiesta formazione e aggiornamento “almeno biennale”, non prevista da alcuna norma di settore e rispetto alla quale non sembrano chiari né i contenuti né le modalità di prova e di eventuale verifica. Inoltre, il prescritto stoccaggio dei rifiuti risultati non conformi, in area dedicata, rischia di essere un requisito tecnico-gestionale che non tutti gli impianti potranno garantire per motivi di spazio e layout.
Processo di lavorazione minimo dei rifiuti e deposito dell’aggregato recuperato, prima e dopo la verifica di conformità
Partendo dal processo di recupero dei rifiuti per la produzione dell’aggregato recuperato, è previsto che questo avvenga «mediante fasi meccaniche e tecnologicamente interconnesse». A mero titolo esemplificativo, il decreto riporta quali attività: la macinazione, la vagliatura, la selezione granulometrica, la separazione della frazione metallica e delle frazioni indesiderate. L’esemplificazione è certamente utile, ma fa sorgere alcuni dubbi legati a processi di lavorazione non meccanici (quale il lavaggio) o comunque diversi da quelli indicati, la legittimazione dei quali dovrà essere verificata dalle singole Autorità competenti in sede di adeguamento autorizzativo. È poi previsto «il processo di recupero, a seconda del tipo di materiale, si realizza tramite il compimento di tutte o alcune delle suddette fasi, ovvero di altri processi di tipo meccanico che consentano il rispetto dei criteri previsti dal presente regolamento», ammettendo così la produzione di end of waste differenziati sulla base dei trattamenti cui sono stati sottoposti. Illogicamente, non sembra invece prevista la possibilità che determinati rifiuti inerti soddisfino già i criteri per divenire aggregato e possano quindi essere oggetto di mera verifica, in conformità a quanto previsto dall’art. 184-ter, comma 2, D.Lgs. 152/2006.
Potenzialmente molto critica è poi la disciplina per la gestione dell’aggregato recuperato durante la fase di verifica di conformità. È, infatti, previsto che il deposito e la movimentazione devono essere «organizzati in modo tale che i singoli lotti di produzione non siano miscelati». Ancora una volta, infatti, il ministero sembra dimenticare la ricaduta operativa del regolamento sui singoli impianti, che difficilmente hanno un’estensione idonea a permettere il deposito separato di ogni singolo lotto di aggregato prodotto. Ne consegue il rischio che per essere coerenti con il decreto molti impianti si troveranno costretti a ridurre drasticamente i rifiuti in ingresso e la propria capacità di recupero, per non trovarsi il processo di lavorazione ingolfato per mancanza di spazio utile. Non si tratterebbe di una criticità dei soli operatori del settore, posto che una drastica riduzione dei quantitativi di inerti recuperabili si riverbererebbe sull’intero mercato italiano del recupero.
Ulteriori perplessità
Anche altre disposizioni del decreto suscitano perplessità. È il caso, ad esempio, dei parametri indicati, posto che quasi tutti i valori limite corrispondono ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (Csc) previsti dalla tabella 1 dell’allegato V alla parte IV, D.Lgs. n. 152/2006 per suolo e sottosuolo di siti a uso verde pubblico, privato e residenziale. La scelta, estremamente cautelativa, ha suscitato perplessità tanto negli operatori del settore che nel Consiglio di Stato[7]Che auspicava di «verificare l’impatto applicativo di tali previsioni in relazione alla effettiva capacità degli operatori economici (i produttori di aggregati recuperati) di dotarsi di mezzi adeguati a svolgere compiutamente i suindicati controlli analitici».. Era stata infatti auspicata una differenziazione analitica in base all’effettivo utilizzo dell’aggregato, la verifica analitica per famiglie (ad esempio Btex totali) e, più in generale, il riferimento alle Csc previste per i siti a uso commerciale e industriale. Sono stati, infine, aggiunti i parametri “materiali galleggianti” e “frazioni estranee”, per i quali, «ove non definito da standard tecnici applicabili», valgono, rispettivamente, i valori <5 cm3/kg e <1 % in peso. Sarebbe stato certamente più opportuno indicare limiti univoci o gli standard tecnici applicabili.
Quanto poi a contenuti e condizioni di elaborazione della dichiarazione di conformità, destano perplessità sia gli adempimenti connessi all’invio alle autorità (di cui non sono dettati tempi e condizioni) sia quelli legati alla conservazione documentale (anche in questo caso, non è indicata una tempistica). Sul piano contenutistico, occorre evidenziare che la dichiarazione contiene precise indicazioni circa il rispetto delle norme Uni per utilizzi specifici (quelli contemplati dall’allegato 2), con facoltà per il produttore dell’aggregato di barrare soltanto talune o tutte le norme Uni e relative modalità di utilizzo, in funzione delle caratteristiche del prodotto. Ciò significa che l’utilizzo specifico del materiale (come aggregato recuperato e quindi al di fuori della disciplina dei rifiuti) sarà possibile esclusivamente coerentemente con le norme Uni e gli scopi di utilizzo “flaggati” nella dichiarazione di conformità.
Inoltre, va segnalato che il decreto contempla, per le imprese registrate Emas (regolamento n. 1221/2009/Ce) o in possesso di certificazione ambientale UNI EN ISO 14001 rilasciate da organismi accreditati, un’agevolazione consistente nell’esenzione dall’obbligo di conservazione presso gli impianti di copia della dichiarazione di conformità[8]Si esonerano, infatti, queste imprese dall’adempimento previsto all’art. 5, comma 3 del decreto.. Atteso che resta fermo l’obbligo di trasmissione della dichiarazione alle autorità, è difficile comprendere ragione e rilevanza di siffatta esclusione, sia per la modesta agevolazione pratica che – soprattutto – per le difficoltà che può porre in fase di controllo.
In ultimo appare inattuabile la facoltà di revisione dei criteri da parte del ministero, posto che lo scadere del termine di 180 giorni per monitorare l’attuazione pratica delle nuove norme e valutare eventuali modifiche coincide con il termine entro il quale i recuperatori dovranno presentare la domanda di adeguamento; si tratta, di fatto, di un periodo di monitoraggio nel quale, probabilmente, non ci sarà nulla di nuovo da monitorare.
Conclusioni
Per le ragioni esposte, si ritiene vi siano forti motivi che consigliano una complessiva revisione di questo schema di decreto prima dell’eventuale pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e questo nell’interesse dell’economia circolare, della semplificazione delle procedure e della stessa certezza e prevedibilità del diritto ambientale.
Note
1. | ↑ | Osserva, peraltro, il Consiglio di Stato nel parere sullo schema di regolamento spedito il 17 maggio 2022: «emerge dall’AIR, ad esempio, che degli oltre 70 milioni annui di tonnellate di rifiuti prodotti dal settore delle costruzioni e demolizioni, solo circa 3,2 milioni di tonnellate sono stati smaltiti in discarica, mentre non è indicato il dato percentuale della quota di questa tipologia di rifiuti che viene avviata al recupero; da questo dato è logico inferire l’ipotesi che esista una massa notevole di questa tipologia di rifiuti che si colloca al di fuori dei fisiologici meccanismi di gestione dei rifiuti, essendo peraltro notorio il gravissimo fenomeno dell’abbandono incontrollato di rifiuti inerti da demolizione e costruzione». |
2. | ↑ | Senza considerare il provvedimento in discussione, ancora non pubblicato in Gazzetta Ufficiale, a oggi il ministero competente ha emanato cinque regolamenti end of waste. |
3. | ↑ | Sempre sul tema alcune indicazioni sono fornite anche dalla Uni/Pdr 75:2020 «Linea guida per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti in un’ottica di economia circolare». Per ulteriori riferimenti si rimanda a F. Peres Costruzione e demolizione tema rifiuti sempre aperto in Ambiente&Sicurezza n. 5/2019. |
4. | ↑ | L’art. 1, punto 12), direttiva 2018/861/Ue aveva così modificato l’art. 11 della direttiva 2008/98/CE: «Gli Stati membri adottano misure intese a promuovere la demolizione selettiva onde consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità tramite la rimozione selettiva dei materiali, nonché garantire l’istituzione di sistemi di cernita dei rifiuti da costruzione e demolizione almeno per legno, frazioni minerali (cemento, mattoni, piastrelle e ceramica, pietre), metalli, vetro, plastica e gesso». |
5. | ↑ | Nel proprio position paper Anpar aveva, infatti, auspicato l’inserimento di codici generici quali il 170904 o il 191209 o i codici relativi agli eventi calamitosi 200301 o 200399. |
6. | ↑ | A detta del Consiglio di Stato «Manca, tuttavia, una più diretta valutazione, forse necessaria, delle speciali esigenze che nascono (purtroppo frequentemente) dalla gestione dell’emergenza e della ricostruzione nelle aree terremotate (si considerino, ad esempio, le disposizioni speciali contenute nell’articolo 28 - Disposizioni in materia di trattamento e trasporto del materiale derivante dal crollo parziale o totale degli edifici - del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189 […]). L’esclusione, inoltre, di tutti i rifiuti inerti di demolizione/costruzione abbandonati e interrati, trattandosi, purtroppo, di un fenomeno molto diffuso, sembrerebbe imporre l’avvio in discarica di queste notevoli masse di materiali, che verrebbero in tal modo sottratte a ogni possibile processo di selezione e controllo per l’eventuale re-immissione in ciclo di frazioni recuperabili». |
7. | ↑ | Che auspicava di «verificare l’impatto applicativo di tali previsioni in relazione alla effettiva capacità degli operatori economici (i produttori di aggregati recuperati) di dotarsi di mezzi adeguati a svolgere compiutamente i suindicati controlli analitici». |
8. | ↑ | Si esonerano, infatti, queste imprese dall’adempimento previsto all’art. 5, comma 3 del decreto. |