Impianti di depurazione e fascia di inedificabilità circostante: un interpello ambientale sul tema è stato posto dalla Provincia di Brescia al Mase. In particolare, con il quesito è stato chiesto se la determinazione della fascia di rispetto minima di 100 metri, con vincolo di inedificabilità assoluta, circostante l’area destinata a un impianto di depurazione, valga anche «quando venga esclusa, attraverso specifiche analisi di microbiologia ambientale, ogni correlazione tra i microrganismi patogeni prodotti dal depuratore e possibili rischi per la salute delle persone».
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Di seguito i testi dell'interpello e del parere ministeriale.
Interpello ambientale della Provincia di Brescia 11 ottobre 2024, n. 185378
Oggetto: Interpello ambientale ai sensi dell’art. 3-septies del D. Lgs. 152/2006 in ordine all’interpretazione della Delibera del Comitato dei Ministri per la Tutela delle Acque dall'inquinamento, del 4 febbraio 1977, Allegato 4, punto 1.2 - fascia di rispetto minima di 100 metri, con vincolo di inedificabilità assoluta, circostante l’area destinata a un impianto di depurazione.
Con il presente interpello, si intende porre all’attenzione di Codesto Spettabile Ministero un quesito sull’esatta interpretazione da dare alla normativa di cui all’oggetto, generato dalla fattispecie che si descrive di seguito.
1. In via preliminare, si precisa che si propone il presente interpello in merito all’applicazione della normativa statale in materia ambientale, ai sensi dell’art. 3-septies del D.Lgs. 152/2006, il quale prevede che “le Regioni, le Province, le città metropolitane, i Comuni, le associazioni di categoria rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni, possono inviare al Ministero della Transizione Ecologica con le modalità di cui al comma 3 istanze di ordine generale sull’applicazione della normativa statale in materia ambientale....”
2. Tutto ciò premesso, il quesito sottoposto a Codesto Spettabile Ministero trae origine dalla necessità di dare avvio alla realizzazione di un nuovo depuratore di acque reflue civili a servizio del Comune di Bagolino, in provincia di Brescia.
Si evidenzia in proposito che l’agglomerato di Bagolino è compreso nella procedura d’infrazione europea 2014/2059, il che rende tanto più urgente dotarlo di un impianto di depurazione.
Nel corso dell’iter di progettazione del depuratore, il gestore del SII del Comune di Bagolino, dopo aver individuato la soluzione progettuale preferibile e aver svolto le necessarie valutazioni sul territorio, ha proposto la localizzazione dell’opera nell’area compresa tra il fiume Caffaro e Via Prada.
Il Gestore ha pertanto sottoposto all’Ufficio d’Ambito di Brescia lo studio di fattibilità per il “Nuovo impianto di depurazione a servizio del Comune di Bagolino”, per il quale è stata convocata una Conferenza di Servizi per la condivisione della localizzazione in forma simultanea e modalità sincrona, ex art. 14-ter l. 241/1990, con gli Enti ed i soggetti interessati alla realizzazione dell’opera.
Tale Conferenza è approdata ad un esito positivo: le amministrazioni intervenute hanno ritenuto possibile coltivare il progetto nelle aree proposte, salvo l’indicazione di opportune prescrizioni (come risulta dal verbale di conclusione della Conferenza di Servizi, doc.1).
Successivamente a questo evento, però, alcuni residenti nell’area contigua a quella prescelta hanno contestato l’inosservanza della fascia di rispetto stabilita dalla Delibera del Comitato dei Ministri per la Tutela delle Acque dall'inquinamento del 4 febbraio 1977, allegato 4, punto 1.2, secondo cui: “Per gli impianti di depurazione che trattino scarichi contenenti microrganismi patogeni e/o sostanze pericolose alla salute dell'uomo, è prescritta una fascia di rispetto assoluto con vincolo di inedificabilità circostante l'area destinata all'impianto. La larghezza della fascia è stabilita dall'autorità competente in sede di definizione degli strumenti urbanistici e/o in sede di rilascio della licenza di costruzione. In ogni caso tale larghezza non potrà essere inferiore ai 100 metri” e su cui quindi verte la presente richiesta di chiarimenti.
Questo essendo il quadro fattuale e normativo, si rivolgerà adesso l’attenzione al tema dell’interpretazione giuridica.
3. Preliminarmente vale la pena sottolineare che la deliberazione richiamata è stata adottata nel 1977 e pertanto non dovrebbe sottrarsi ai canoni dell’interpretazione evolutiva, alla luce dell’incredibile progresso tecnologico avvenuto negli ultimi decenni, che renderebbe ormai manifestamente obsoleta qualsiasi ipotesi di configurazione di un vincolo di inedificabilità assoluta.
La gestione della problematica non dovrebbe allora prescindere da un vaglio teleologico del dato normativo, incentrato sullo scopo perseguito dal Legislatore: nella specie, l’esigenza di protezione della salute umana dal pericolo di diffusione di agenti patogeni contenuti nelle acque da depurarsi. La valutazione di tale rischio non si presta ad essere affidata ad una meccanica applicazione del parametro generico della distanza (che talora, secondo i casi, potrebbe risultare insufficiente o esorbitante), ma richiede un confronto con le condizioni concrete dell’area (conformazione morfologica del territorio, distribuzione dei venti e misure di mitigazione adottate).
Il rigido riferimento ad una fascia di rispetto, indipendente dal riscontro di un plausibile pericolo per la salute umana e disancorato dagli effetti dell’evoluzione tecnologica, renderebbe l’operazione anacronistica ed inefficiente.
D’altra parte, il medesimo Allegato 4, punto 1.2, della Deliberazione ministeriale ammette esplicitamente una deroga alla distanza minima di 100 metri nel caso di necessità di ampliamenti o adeguamenti di un depuratore in zona ormai edificata, prevedendo che la minore distanza venga compensata “con idonei accorgimenti sostitutivi quali barriere di alberi, pannelli di sbarramento o, al limite, ricovero degli impianti in spazi chiusi”. E l’interpretazione letterale della disposizione è stata dal canto suo esclusa in alcune normative regionali: ad esempio, la L.R. Sicilia 15/05/1986, n. 27, all’articolo 46, dopo aver previsto, al primo comma, fasce di rispetto, con vincolo assoluto di inedificabilità, circostanti l'area destinata ad un impianto di depurazione a servizio di comuni (pari a 100 metri per gli impianti di terzo livello, a 50 metri per gli impianti di secondo livello e a 25 metri per i sistemi di pretrattamento di primo livello), contempla espressamente una deroga, stabilendo al terzo comma che “Il dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti dell'Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità al controllo può imporre, per particolari motivi di tutela ambientale, fasce di rispetto superiori a quelle previste dal precedente comma e può autorizzare, con provvedimento motivato, fasce di rispetto con larghezze inferiori a quelle previste dal primo comma”.
Lo stesso Giudice amministrativo ha affermato il carattere relativo del vincolo di inedificabilità insito nella fascia di rispetto minima: nella recente sentenza n. 364/2022, il T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, pronunciandosi sulla questione relativa alla sanabilità delle opere abusive realizzate nella fascia di rispetto di 100 metri da un depuratore, ha espressamente attribuito carattere relativo al divieto di edificazione nella fascia di rispetto; ed ha fondato tale assunto sulla ratio della disciplina. Più precisamente: “la funzione del vincolo di inedificabilità è di escludere un'eventuale correlazione tra i microrganismi patogeni prodotti dal depuratore e l'insorgenza di un rischio per la salute delle persone che risiedono o lavorano nelle vicinanze, la rigidità del vincolo varia necessariamente in rapporto alla maggiore o minore probabilità che vi siano pericoli per la salute delle persone. Normalmente, tale probabilità è inversamente proporzionale alla distanza dal depuratore, anche se poi occorre tenere conto della morfologia del terreno, che è in grado di influire sulla diffusione dei microrganismi patogeni. Non è quindi ragionevole che l'inedificabilità sia assoluta a poco meno di 100 metri dal depuratore, mentre può essere ragionevole un divieto inderogabile a distanze molto inferiori”. Quindi, una deroga al divieto è possibile, ove venga in concreto assicurato l’obiettivo perseguito dalla disposizione.
Tale interpretazione senza dubbio assicura, attraverso la ponderazione degli interessi, una migliore protezione del bene giuridico che la norma mira a tutelare e conferma la precedente giurisprudenza del TAR Brescia (sentenza n. 479/2014): già in quell’occasione infatti i Giudici, interpretando le indicazioni tecniche contenute nel cit. Allegato 4 alla Delibera del 4 febbraio 1977 nel quadro dei principi generali in materia di precauzioni igienico-sanitarie, erano giunti a concludere che il vincolo di inedificabilità nella fascia di rispetto dovesse considerarsi non assoluto.
Più precisamente, l’assunto è che l’esistenza di un potere di deroga, espressamente contemplata nel caso di ampliamenti o adeguamenti di un depuratore in un contesto già edificato, debba essere necessariamente ammessa in generale, anche in assenza di una disposizione analoga a favore delle edificazioni: questo “per il principio di reciprocità (che rappresenta un cardine della regolamentazione delle distanze in materia igienico-sanitaria), e per il principio di proporzionalità (che trova automatica applicazione ogni volta che occorra graduare un peso imposto al privato in rapporto a un interesse pubblico)”, purché la deroga venga motivata “in base a uno studio approfondito della situazione di fatto”.
Insomma, “se ... l'obiettivo perseguito dal vincolo è in concreto assicurato, perché viene esclusa attraverso specifiche analisi di microbiologia ambientale ogni correlazione tra i microrganismi patogeni prodotti dal depuratore e possibili rischi per la salute delle persone, deve essere riconosciuta anche la facoltà di derogare alla distanza minima” (v. T.A.R. Lombardia sez. I - Brescia, 07/05/2014, n. 479).
La previsione di fasce di rispetto in realtà dipende dalle difficoltà di accertare con precisione le conseguenze concrete di un insediamento, che costringono a ripiegare su valutazioni presuntive codificate in astratto. Ma è indubbio che la sostituzione di una presunzione ad un accertamento riduce, per le ragioni già indicate, l’efficienza dell’ordinamento, sicché l’imputazione di un valore relativo al vincolo derivante dall’introduzione di una fascia di rispetto equivale al recupero della prevalenza dell’accertamento sulla presunzione, laddove sia possibile.
Ed è parimenti indubbio che, dopo quasi mezzo secolo dalla previsione delle fasce di rispetto, i progressi tecnologici nel frattempo intervenuti siano in grado di moltiplicare le situazioni in cui il ripristino del primato dell’accertamento specifico sia praticabile.
Alla luce di quanto osservato, il sottoscritto Emanuele Moraschini, in qualità di Presidente della Provincia di Brescia,
INTERPELLA
Codesto Spettabile Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Direzione generale uso sostenibile del suolo e delle risorse idriche, ai sensi dell’art. 3-septies del D. Lgs. 152/2006 in ordine all’interpretazione del carattere assoluto o relativo del divieto di edificazione nella fascia di rispetto minima, previsto dall’Allegato 4, punto 1.2, della Delibera del Comitato dei Ministri per la Tutela delle Acque dall'inquinamento del 4 febbraio 1977, e in particolare sulla correttezza di un’interpretazione che postuli il carattere assoluto del vincolo di inedificabilità ivi previsto, anche quando venga esclusa, attraverso specifiche analisi di microbiologia ambientale, ogni correlazione tra i microrganismi patogeni prodotti dal depuratore e possibili rischi per la salute delle persone.
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Parere del ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica 10 gennaio 2025, n. 3144
Oggetto: Interpello ambientale ai sensi dell’art. 3-septies del D. Lgs. 152/2006 in ordine all’interpretazione della Delibera del Comitato dei Ministri per la Tutela delle Acque dall'inquinamento, del 4 febbraio 1977, Allegato 4, punto 1.2 - fascia di rispetto minima di 100 metri, con vincolo di inedificabilità assoluta, circostante l’area destinata a un impianto di depurazione – rif. nota prot. entrata n. 185378 dell’11.10.2024
Con istanza di interpello formulata ai sensi dell’articolo 3 septies, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, acquisita al protocollo di questo Ministero n. 185378 dell’11.10.2024, codesta Amministrazione ha richiesto un’interpretazione della vigente normativa in materia ambientale in tema di determinazione della fascia di rispetto minima di 100 metri, con vincolo di inedificabilità assoluta, circostante l’area destinata a un impianto di depurazione, proponendo il seguente quesito:
[...] interpretazione del carattere assoluto o relativo del divieto di edificazione nella fascia di rispetto minima, previsto dall’Allegato 4, punto 1.2, della Delibera del Comitato dei Ministri per la Tutela delle Acque dall'inquinamento del 4 febbraio 1977, e in particolare sulla correttezza di un’interpretazione che postuli il carattere assoluto del vincolo di inedificabilità ivi previsto, anche quando venga esclusa, attraverso specifiche analisi di microbiologia ambientale, ogni correlazione tra i microrganismi patogeni prodotti dal depuratore e possibili rischi per la salute delle persone.
Si rappresenta che con nota prot. n. 221470 del 03.12.2025 questo Ministero ha sottoposto l’interpello in oggetto alla valutazione tecnica dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), dell’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA), del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e delle Direzioni Generali di questo Ministero per quanto di competenza. La presente istruttoria tiene conto dei riscontri ricevuti.
Considerazioni del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica
Preliminarmente, questa Amministrazione intende esprimere alcune considerazioni in ordine alla ricevibilità del quesito posto in sede di interpello ai sensi dell’art. 3 septies del d.lgs. n. 152 del 2006.
A tal proposito, atteso che l’art. 3 septies cit. consente di presentare a questo Ministero «istanze di ordine generale sull’applicazione della normativa statale in materia ambientale», è necessario accertare la natura normativa, piuttosto che meramente amministrativa, delle disposizioni contenute al punto 1.2. dell’Allegato 4 alla delibera del Comitato dei ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento del 4 febbraio 1977, di cui è chiesta l’interpretazione.
Al fine di stabilire la natura regolamentare e normativa di tale atto generale non è possibile ricorrere ai criteri formali contenuti nella legge 23 agosto 1988, n. 400, in particolare all’art. 17, in quanto entrata in vigore successivamente all’adozione della delibera. È necessario, pertanto, rifarsi a criteri diversi.
Ciò posto, limitatamente alle disposizioni oggetto del presente interpello contenute nell’allegato 4, è innegabile che sotto il profilo sostanziale esse presentino carattere generale e astratto.
Peraltro, anche da un punto di vista formale sembra possibile predicare la natura normativa di tali disposizioni. Il Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento è stato istituito dall’art. 3 della legge 10 maggio 1976, n. 319, al fine di esercitare le funzioni statali in materia di tutela delle acque dall’inquinamento indicate dal precedente art. 2. Tra le competenze attribuite allo Stato, che le esercita mediante il suddetto Comitato, figura, all’art. 2, lett. e), n. 1, «la determinazione di norme tecniche generali [...] per la regolamentazione dell’installazione e dell’esercizio degli impianti di acquedotto, fognatura e depurazione».
Tali funzioni sono esercitate proprio attraverso l’Allegato 4 della delibera del 4 febbraio 1977 che, pertanto, limitatamente alle stesse disposizioni contenute nel suddetto allegato, presenta per tabulas natura normativa.
Con riferimento al merito del quesito, il punto 1.2 dell’Allegato della delibera del 4 febbraio 1977 dispone che «[p]er gli impianti di depurazione che trattino scarichi contenenti microrganismi patogeni e/o sostanze pericolose alla salute dell’uomo, è prescritta una fascia di rispetto assoluto con vincolo di inedificabilità circostante l'area destinata all'impianto. La larghezza della fascia è stabilita dall'autorità competente in sede di definizione degli strumenti urbanistici e/o in sede di rilascio della licenza di costruzione. In ogni caso tale larghezza non potrà essere inferiore ai 100 metri».
L’Amministrazione interpellante, in sostanza, chiede a questo Ministero di chiarire se il vincolo di inedificabilità in una fascia non inferiore ai cento metri da impianti di depurazione che trattino scarichi contenenti microrganismi patogeni e/o sostanze pericolose alla salute dell’uomo sia da considerare assoluto oppure se possa essere derogato.
A questo proposito, si osserva innanzitutto che, con specifico riguardo al carattere assoluto o relativo del vincolo di inedificabilità nella fattispecie considerata, la giurisprudenza amministrativa può apparire contraddittoria. A fronte di un formante favorevole – almeno formalmente – al riconoscimento dell’assolutezza del suddetto vincolo di inedificabilità (v., Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2023, n. 11326 e 17 settembre 2013, n. 4606; Id., sez. V, 30 aprile 2003, n. 244 e 8 maggio 2002, n. 2456), si registra un opposto orientamento che, con varietà di accenti, ammette delle deroghe al ricorrere di specifiche condizioni (Cons. Stato, sez. IV, 16 maggio 2019, n. 3158; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 19 gennaio 2022, n. 364 e Id., sez. I, 7 maggio 2014, n. 479; Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2002, n. 5972 e Id., sez. IV, 23 maggio 1991, n. 445).
Un simile contrasto impone una più approfondita analisi delle disposizioni, al fine di verificare se l’antinomia è effettiva o meramente apparente.
Si rileva, innanzitutto, che l’Allegato 4 alla delibera 4 febbraio 1977, dopo aver prescritto «una fascia di rispetto assoluto con vincolo di inedificabilità circostante l’area destinata all’impianto» di depurazione che tratti scarichi contenenti microrganismi patogeni e/o sostanze pericolose per la salute dell’uomo (punto 1.2), introduce due ordini di deroghe, debitamente circostanziate.
Il primo riguarda «gli impianti di depurazione esistenti» per i quali, ove «la larghezza minima suddetta non possa essere rispettata, devono essere adottati idonei accorgimenti sostitutivi quali barriere di alberi, pannelli di sbarramento o, al limite, ricovero degli impianti in spazi chiusi» (punto 1.2). La seconda deroga è prevista per le ipotesi di «[c]ostruzione o ampliamento di impianti di depurazione per insediamenti esistenti» le quali sono ammesse anche «[n]el caso di impossibilità di rispettare integralmente le norme riguardanti la scelta del sito», purché siano adottati «tutti gli accorgimenti tecnici necessari a garantire il rispetto delle norme di carattere igienico-sanitario riportate nella presente normativa e delle finalità che le norme stesse si prefiggono» e a condizione che «[t]ale impossibilità [sia] documentata e la documentazione stessa [...] messa a disposizione dell’autorità competente che deve accertarla» (punto 1.6).
Con riguardo alla prima fattispecie derogatoria, si è di recente maggiormente consolidato un formante giurisprudenziale, elaborato soprattutto dal Tribunale amministrativo per la Lombardia, sede di Brescia, riportato peraltro dalla stessa Amministrazione interpellante.
In una prima occasione, tale giudice ha accolto il ricorso proposto avverso una serie di atti e provvedimenti volti a impedire la realizzazione di un piano di lottizzazione a destinazione residenziale perché attuato in violazione della fascia di rispetto di centro metri da un preesistente depuratore (TAR Brescia, n. 479/2014).
Il Collegio ha innanzitutto osservato che, in base all’Allegato 4 della delibera 4 febbraio 1977, «quando emerga la necessità di ampliamenti o adeguamenti della struttura in un contesto già edificato, è espressamente contemplata la possibilità di sostituire la distanza minima con barriere di protezione o altre soluzioni», soggiungendo che, sebbene «una disposizione analoga non [sia] prevista a favore delle edificazioni, ossia quando l’avvicinamento dipenda dalla volontà di espandere la zona edificata, [...] per il principio di reciprocità (che rappresenta un cardine della regolamentazione delle distanze in materia igienico-sanitaria), e per il principio di proporzionalità (che trova automatica applicazione ogni volta che occorra graduare un peso imposto al privato in rapporto a un interesse pubblico), si deve ammettere l’esistenza anche in questo caso di un potere di deroga, da motivare in base a uno studio approfondito della situazione di fatto». In secondo luogo, con una lettura teleologico-funzionale del dato normativo, è stato rilevato che «le disposizioni [...] dell’allegato 4 associano esplicitamente il vincolo di inedificabilità alla sua funzione, che è quella di escludere un’eventuale correlazione tra la produzione di microrganismi patogeni da parte del depuratore e l’insorgenza di un rischio per la salute delle persone che risiedono nelle vicinanze», così che «se [...] l’obiettivo perseguito dal vincolo è in concreto assicurato, perché viene esclusa attraverso specifiche analisi di microbiologia ambientale ogni correlazione tra i microrganismi patogeni prodotti dal depuratore e possibili rischi per la salute delle persone, deve essere riconosciuta anche la facoltà di derogare alla distanza minima».
Tali statuizioni sono state confermate in un analogo caso più recente, in cui, però, gli interventi non avevano ad oggetto edilizia residenziale ma la costruzione di manufatti funzionali allo svolgimento di attività agricole, quali le trincee destinate al deposito del foraggio (TAR Lombardia n. 364/2022, su cui pende il giudizio di appello, n.r.g. 9121/2022).
Nondimeno, le acquisizioni dei giudici bresciani appaiono, in parte, smentite dal Consiglio di Stato dalla cui giurisprudenza emerge che le nuove edificazioni localizzate in prossimità di impianti esistenti non possono derogare la distanza prescritta di 100 metri (Cons. Stato n. 4606/2013).
In particolare, esso ha innanzitutto qualificato come assoluto il vincolo di inedificabilità in esame, «che non ammette deroghe entro quel limite dei 100 mt.». Successivamente, ha statuito che l’ipotesi derogatoria introdotta dal punto 1.2 cit. per gli impianti esistenti deve essere riferita «a quelli esistenti alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia, ossia quando la trasformazione del territorio è già intervenuta e – in una ottica di bilanciamento tra la tutela della salute ed il mantenimento dell’infrastruttura – viene individuata una soluzione di mitigazione dell’impatto mediante accorgimenti sostitutivi», concludendo che ove «il limite di inedificabilità riguarda una area inedificata [...], [essa] in presenza delle condizioni attuali, tale deve restare [...]» (Cons. Stato n. 11326/2023).
Dunque, dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato si desume che la deroga contenuta al punto 1.2 cit. è limitata nel tempo, giacché riguarda i soli impianti esistenti al momento dell’adozione della delibera 4 febbraio 1977.
D’altra parte, la derogabilità del vincolo di inedificabilità è ammessa solo sulla base della previsione di cui al punto 1.6. cit. della delibera 4 febbraio 1977.
A tal proposito, già una – non troppo recente – giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di derogare al limite dei cento metri, ove si tratti della realizzazione di impianti di depurazione a servizio di «insediamenti esistenti», «nel caso di impossibilità di rispettare integralmente le norme riguardanti la scelta del sito», con l’obbligo di adottare «tutti gli accorgimenti tecnici necessari a garantire il rispetto delle norme di carattere igienico-sanitario riportate nella presente normativa e delle finalità che le norme stesse si prefiggono», nonché di documentare «l’impossibilità» di soluzioni alternative, mettendo i relativi supporti a «disposizione dell'autorità competente che deve accertarla», inquadrando la questione proprio nell’ambito del suddetto punto 1.6 (Cons. Stato, n. 5972/2002).
Più recentemente, questo orientamento è stato confermato rilevando che «il principio di precauzione non impone un sistema basato sul rigido rispetto delle norme tra le costruzioni, ma al contrario consente, in presenza della valutazione tecnica di ogni possibile rischio per la collettività di riferimento, un sistema ispirato al bilanciamento tra i contrapposti interessi: quello privato, al rispetto della distanza minima tra le costruzioni; e quello pubblico, alla deroga di siffatto limite, nel perseguimento dell’interesse pubblico generale alla migliore allocazione possibile dell’opera pubblica» (Cons. Stato, n. 3158/2019). In quell’occasione, il giudice amministrativo ha ritenuto legittima la scelta di localizzare, ad una distanza inferiore a quella prescritto dal punto 1.2 cit., un impianto per la depurazione e il trattamento primario e secondario delle acque reflue, destinato a sostituire quello preesistente, limitato al solo trattamento primario dei reflui, al fine di conformarlo alle disposizioni sopravvenute. Anche in quel caso, si trattava di realizzazione di un nuovo impianto, ai sensi del punto 1.6 cit.
Dai suddetti indici giurisprudenziali, si evince che il vincolo di inedificabilità non può essere derogato là dove l’avvicinamento all’impianto dipenda dalla volontà di espandere la zona edificata. In questa prospettiva, si osserva – in attesa dell’esito del giudizio di appello sulla sentenza n. 364/2022 del TAR Brescia – che la giurisprudenza bresciana risulta disattesa da consolidati orientamenti del Consiglio di Stato. Pertanto, le sentenze del TAR Brescia citate dall’interpellante non appaiono suscettibili di assurgere a precedente utile, nel loro contenuto conformativo.
In particolare, la deroga ammessa dallo stesso punto 1.2 dell’Allegato IV cit., deve intendersi quale una disposizione di natura transitoria, giacché riferita agli impianti esistenti al momento dell’entrata in vigore della stessa disposizione, e avente ormai carattere del tutto residuale nella sua portata applicativa concreta.
Al contrario, conserva una sua attualità l’ulteriore deroga prevista dal successivo punto 1.6. Essa si riferisce all’ipotesi di insediamenti esistenti che non sono dotati di un’adeguata capacità depurativa, con riguardo agli standard posti dalla normativa vigente, rendendosi pertanto necessario costruire un nuovo impianto o ampliare quello esistente.
In tale circostanza, è possibile disattendere il vincolo di inedificabilità in presenza di tre circostanze concorrenti, che si aggiungono a quella della funzionalizzazione dell’impianto o del suo ampliamento a dotare insediamenti esistenti di adeguate infrastrutture di depurazione:
i) la impossibilità di rispettare integralmente le norme sulla localizzazione del sito;
ii) il fatto che tale impossibilità sia documentalmente comprovata e accertata, sulla base
di tale documentazione tecnica, dalle competenti autorità;
iii) l’adozione di tutti gli accorgimenti tecnici necessari a garantire il rispetto delle norme
di carattere igienico-sanitario riportate nelle disposizioni di cui alla delibera 4 febbraio 1977 e delle finalità che le stesse si prefiggono. A tal proposito, si osserva che il riferimento alle «finalità» evidenzia che gli accorgimenti tecnici previsti nella suddetta delibera, ivi compresi quelli cui si riferisce la deroga di cui al punto 1.2, non esauriscono il novero delle cautele che possono essere richieste dalle competenti autorità, alla luce del progresso tecnologico intercorso dall’epoca di adozione della suddetta delibera.
Conclusioni
Alla luce di quanto esposto, si rassegnano le seguenti conclusioni:
Il vincolo di inedificabilità nella fascia di cento metri previsto dal punto 1.2 dell’Allegato 4 alla delibera del Comitato dei ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento del 4 febbraio 1977 può essere derogato esclusivamente nei due casi specifici di seguito riportati:
- Nel caso di impianti esistenti ai sensi del medesimo punto 1.2, ossia nel caso in cui l’impianto preesista all’entrata in vigore delle disposizioni contenute nella delibera 4 febbraio 1977;
- Nel caso di costruzione o ampliamento di impianti di depurazione al servizio di insediamenti esistenti, ai sensi e nel rispetto delle condizioni previste dal punto 1.6 dell’Allegato 4 cit. e specificate supra in motivazione.***
Le considerazioni sopra riportate, rese nel rispetto delle condizioni e dei termini di cui all’articolo 3 septies TUA, sono da ritenersi pertinenti e valide in relazione al quesito formulato, con esclusione di qualsiasi riferimento a specifiche procedure o procedimenti, anche a carattere giurisdizionale, eventualmente in corso o in fase di evoluzione, per i quali occorrerà considerare tutti gli elementi pertinenti al caso di specie, allo stato, non a conoscenza e non rientranti nella sfera di competenza di questa Amministrazione.