La confisca nei reati ambientali

In che termini la possibilità di confisca incide sulla effettiva afflittività delle disposizioni in materia ambientale? In caso di estinzione del reato ambientale per prescrizione, è possibile procedere comunque alla confisca?

Le riflessioni già svolte in merito al delitto di «Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti » [1. Si veda, degli stessi autori, Traffico illecito di rifiuti e reati ambientali ordinari, in Ambiente&Sicurezza n. 4/2004, pag. 107.] forniscono lo spunto per analizzare gli aspetti relativi all’applicabilità della confisca sia in generale - con riferimento al rapporto tra le disposizioni generali disciplinate dall’art. 240, c.p., e quelle speciali di cui alla parte IV, D.Lgs. n. 152/2006 - sia con specifico riferimento al delitto di cui all’art. 260 del testo unico ambientale. Le disposizioni del D.Lgs. n. 152/2006, in materia di rifiuti, che disciplinano ipotesi speciali di confisca sono previste:

  • dal terzo periodo del comma 3 dell’art. 256, relativamente all’area su cui è stata realizzata la discarica non autorizzata, e
  • dal comma 2 del successivo art. 258, con riferimento ai mezzi di trasporto con cui sono stati realizzati i reati di «traffico illecito di rifiuti » (art. 259), trasporto non autorizzato [art. 256, comma 1 lettere a) e b)] e all’uso di certificato di analisi di rifiuti falso (art. 258, comma 4, secondo periodo).

In questi casi, il legislatore prevede che la misura ablativa possa essere disposta solo come conseguenza di una sentenza di condanna ovvero di una sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. Il primo argomento di riflessione è, quindi, relativo alle effettive possibilità per il Giudice di disporre la confisca a fronte di sentenza di estinzione del reato e, in particolare, per intervenuta prescrizione.

Sul punto si riscontra, talvolta, nella realtà effettiva dei processi, una divergenza tra quanto statuito dal Giudice del merito e quanto indicato dalla giurisprudenza di legittimità, che si può definire ormai consolidata e costante. Infatti, la Suprema Corte ha avuto più volte modo di ribadire che, nelle ipotesi in analisi, in caso di proscioglimento per estinzione dal reato non può essere disposta la confisca, posto che il legislatore testualmente prevede che la confisca consegua «alla sentenza di condanna o alla decisione emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. », non includendo in questa previsione anche l’ipotesi in cui il reato venga dichiarato estinto per prescrizione[2. Cosi, ex multiis, le sentenze della Cassazione penale, sez. III, 16 aprile 2008, n. 23081, CED 240544; 18 settembre 2008, n. 41351, CED 241533.].

In questo senso è di conforto, nonché di grande interesse, l’ulteriore orientamento che esclude l’applicabilità della confisca in caso di decreto penale di condanna, sancendo così, in modo chiaro e definitivo, la tassatività della natura delle disposizioni previste dal D.Lgs. n. 152/2006, in commento.

Infatti, l’art. 460 c.p.p., comma 2, dispone che con il decreto di condanna il giudice ordina la confisca nei casi previsti dall’art. 240 c.p., comma 2, e, quindi, esclude implicitamente le ipotesi in cui la confisca sia prevista come obbligatoria da altre disposizioni di legge. Pertanto, estendere la possibilità di confisca anche al decreto penale comporterebbe, sempre e in ogni caso, un’interpretazione analogica vietata dall’art. 14 delle preleggi che deve essere applicato anche a una misura ablativa come la confisca.

A sostegno di questo ragionamento, la Corte di Cassazione prosegue indicando la natura della confisca: «la confisca di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex artt. 256 e 259, ha chiaramente una funzione sanzionatoria, è una forma di rappresaglia legale nei confronti dell’autore del reato e mira a colpirlo nei suoi beni. In questa ottica è ben comprensibile che il legislatore voglia specificare, con una valutazione legale tipica, i casi in cui tale sanzione aggiuntiva a volte molto più pesante della sanzione penale principale (come espressamente riconosce lo stesso ricorrente) debba obbligatoriamente intervenire. Ed è razionale pensare che il legislatore abbia voluto escluderla nei casi di decreto penale, tipicamente meno gravi. Sarebbe, infatti, irrazionale consentire una forte mitigazione di pena e imporre nel contempo una misura tanto radicale. Nella strategia sanzionatoria e deterrente del legislatore, pertanto, decreto penale ed esclusione della confisca appaiono in sintonia»[3. Così la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 29 febbraio 2012, n. 18774, CED 252622.].

I ragionamenti sopra esposti non possono non valere anche rispetto alle cause di estinzione del reato diverse dalla prescrizione. Va menzionata, in proposito, la sentenza di non procedere per intervenuta oblazione, di ricorrenza frequente per i reati di gestione abusiva riguardante rifiuti non pericolosi.

Chiarita, quindi, l’inapplicabilità delle disposizioni speciali a fronte di provvedimenti diversi da una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, resta da valutare la possibilità di applicare le disposizioni di carattere generale previse dal codice penale. Come noto, l’art. 240 c.p. disciplina la confisca, quale misura di sicurezza patrimoniale, di carattere facoltativo per principio generale.

Il comma 1 dell’art. 240 dispone, infatti, che possono essere oggetto di confisca i cosiddetti mezzi di esecuzione del reato (ovvero, da dettato legislativo, le «cose che servirono o furono destinate a commettere il reato» ) e le cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto.

La confisca è, invece, obbligatoria (deve essere sempre ordinata dal Giudice, dispone il legislatore al comma 2 dell’art. 240 c.p.) per:

  • le «cose che costituiscono il prezzo del reato » (art. 240, comma 2, n. 1 c.p.);
  • i beni e gli strumenti informatici utilizzati per la commissione di alcuni reati tassativamente indicati dal numero 1-bis del comma in commento;
  • le «cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna » (art. 240, comma 2, n. 2 c.p.).

Si tratta, in quest’ultimo caso, di cose la cui pericolosità è presunta dal legislatore stesso che, quindi, non lega la misura ablativa alla dichiarazione di penale responsabilità ed è proprio quest’aspetto che deve essere valutato ai fini della presente trattazione.

Com’è evidente, nei processi per reati ambientali rare volte si discute di beni oggettivamente criminosi per loro intrinseca natura. Interessante sul punto è il ragionamento espresso dalla Corte di Cassazione con riferimento a un’area adibita a discarica non autorizzata: «un’area adibita a discarica abusiva non rientra certamente tra le ipotesi di cui all’art. 240 c.p., comma 2, sia perché la realizzazione e la gestione di una discarica, se debitamente autorizzata, è lecita, quanto per il fatto che la disposizione che la prevede consente la soggezione a confisca obbligatoria solo se l’area appartiene all’autore o al compartecipe al reato. Si è anche rilevata la natura obiettivamente sanzionatoria della misura di sicurezza in esame, definita una forma di “rappresaglia legale” nei confronti dell’autore del reato, finalizzata a colpirlo nei suoi beni»[4. Così la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 27 giugno 2013, n. 37548, CED 257687.].

Per quanto sopra, appare allora evidente come occorra verificare la compatibilità dell’accertamento circa la natura del bene, ai fini della sua confiscabilità, con le ragioni di economia processuale sottese alla declaratoria di intervenuta prescrizione, anche ai sensi del disposto dell’art. 129 c.p.p.

Infatti, anche laddove il Giudice di prime cure utilizzi i più ampi poteri di accertamento del fatto-reato, che la giurisprudenza talvolta riconosce al fine di verificare l’eventuale natura criminosa della cosa, un accertamento in questa direzione risulterebbe improduttivo di qualsiasi effetto ai fini che si stanno analizzando in ragione della fase preliminare della declaratoria di prescrizione che si impone e della conseguente assenza di qualsiasi attività istruttoria dibattimentale in ordine alla configurabilità del contestato fatto-reato.

Si potrebbe fare un ragionamento diverso soltanto laddove l’istruttoria dibattimentale sia già stata iniziata, ovvero il giudice abbia a disposizione, nel fascicolo del dibattimento, elementi probatori (o quantomeno indiziari) idonei a supportare un accertamento di quanto necessario a sorreggere e giustificare l’adozione della misura della confisca.

La necessità di questo accertamento è inequivocabile anche alla luce della giurisprudenza di legittimità: «l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione impedisce la confisca, pur prevista come obbligatoria, delle cose che ne costituiscono il prezzo, atteso che la misura ablativa è prevista non in ragione della intrinseca illiceità delle stesse bensì in forza del loro peculiare collegamento con il reato, il cui positivo accertamento è necessario presupposto»[5. Così la sentenza della Cassazione penale, sez. IV, 9 febbraio 2011, n. 8382, CED 249590.].

Ad avvalorare quanto sopra, che porta evidentemente a escludere l’applicabilità della confisca a fronte dell’intervenuta prescrizione del reato, vi è una decisione della Suprema Corte secondo la quale «è illegittimo il sequestro preventivo di un bene, anche se finalizzato alla confisca, in caso di intervenuta prescrizione del reato ancora prima dell’esercizio dell’azione penale, rilevando tale aspetto, sotto il profilo della mancanza del fumus del reato, anche in sede di riesame»[6. Così la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 6 aprile 2011, n. 24162, CED 250641.].

Dall’insegnamento della Suprema Corte si ricava, in modo molto nitido, che l’intervento della prescrizione prima dell’accertamento giudiziale impedisce financo di ritenere sussistente il fumus del reato ai fini del sequestro preventivo.

Un ulteriore argomento che emerge con frequenza nelle aule di giustizia è l’applicabilità della confisca nelle ipotesi di condanna per il delitto previsto e punito dall’art. 260, D.Lgs. n 152/2006. Infatti, sebbene per il reato in esame non vi sia apposita previsione di confisca obbligatoria, la Corte di Cassazione ha, in più occasioni, evidenziato che sarebbe del tutto irrazionale prevedere la confisca per il trasporto abusivo (per il quale è effettivamente prevista) e non anche per un traffico illecito che fosse il risultato della sommatoria di più atti di trasporto abusivo[7. In questo senso si vedano le sentenze della Cassazione penale, sez. III, 25 giugno 2008, n. 35879, CED 241030, 12 dicembre 2007, n. 4746, CED 238784.] , ragionamento, quest’ultimo, che non può che essere condiviso.

Si deve, tuttavia, evidenziare che, proprio in virtù del fatto che si sta compiendo un’operazione di estensione in malam partem , seppur giustificata da indubbie ragioni sistematiche, sarebbe opportuno limitare questa portata estensiva a quelle ipotesi di traffico illecito che costituiscono effettivamente la reiterazione (con allestimento mezzi, attività continuativa, ingenti quantità, dolo specifico) di ipotesi di reato per le quali è prevista la confisca, laddove isolatamente considerati.

Diversamente, si giungerebbe a una creazione giurisprudenziale di ipotesi di confisca obbligatoria valicando il limite da quanto concesso dall’interpretazione.

Sebbene in alcune sentenze si afferma che la confisca obbligatoria sarebbe comunque applicabile se il traffico illecito è avvenuto «mediante attività di trasporto », resta, tuttavia, assai arduo individuare cicli di vita di un rifiuto che non comprendano anche uno o più trasporti. In questo contesto, pertanto, la scelta della confisca non può che essere subordinata alla verifica di uno o più fatti di trasporto abusivo, ossia non autorizzato, limitando, quindi, l’applicazione estensiva della misura a quelle ipotesi di traffico illecito che costituiscono la sommatoria di atti di gestione abusiva, ai sensi dell’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, per i quali è prevista la confisca obbligatoria, anche se considerati isolatamente e, quindi, al di fuori di un contesto di traffico illecito.

(a cura di di Cesare Parodi, Procura della Repubblica di Torino e e Maurizio Bortolotto, Gebbia Bortolotto Penalisti associati; articolo tratto da Ambiente&Sicurezza n. 16/2014)

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