Lavoratori “fragili” e Coronavirus: le indicazioni per la ripresa

Il ministero della Salute, nella circolare n. 7942 del 27 marzo 2020, ha fornito una definizione di questi soggetti e ha dettato le raccomandazioni generali da adottare a tutela del singolo paziente al fine di evitare il contagio con il virus

Lavoratori "fragili" e Coronavirus.

La presenza e la corretta gestione dei lavoratori "fragili" nei luoghi di lavoro costituisce una delle condizioni cruciali per la costruzione di un sistema imprenditoriale saldo e un banco di prova in questo periodo pandemico. Tutto ciò per definire un sistema strategico all’interno del quale si realizzi un’unica cabina di regia per tutte le Regioni italiane che si relazioni - in maniera trasparente e dal centro alla periferia – con figure e istituzioni che operano in rete e in base a funzioni e compiti definiti e con ben precise attribuzioni, senza sovrapposizioni o lacune.

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Il ministero della Salute nella circolare n. 7942 del 27 marzo 2020 ha fornito una definizione di paziente "fragile" (vedere il box 1) e ha dettato le raccomandazioni generali da adottare a cura del singolo paziente a sua tutela al fine di evitare il contagio con il virus.

Il criterio di fondo sotteso alla circolare è quello di responsabilizzare ogni singolo cittadino che si trovi in condizione di "fragilità" a prendersi maggiormente cura di sé e delle persone della sua cerchia ristretta e allargata. La circolare non affronta la problematica della "fragilità sociale" che può condizionare quella sanitaria (si veda solo, ad esempio, la situazione dei migranti senza permesso di soggiorno e con lavoro nero che possono costituire un problema sanitario per sé e per i colleghi italiani, se non regolarizzati).

Una nota critica rispetto alle indicazioni della circolare è quella inerente all'utilizzo di mascherine: è previsto l’utilizzo di quelle «di uso comune, quali quelle chirurgiche» fuori dal domicilio. Queste non sono protettive per i soggetti "fragili" e pertanto è opportuno - in relazione all’esperienza clinica e in deroga alla circolare - l'impiego di mascherine FFP2, ferme restando le altre misure di igiene del lavoro.

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Tra le raccomandazioni della circolare si fa cenno al rapporto tra lavoratore "fragile" e medico curante (medico di medicine generale) in qualità di primo interlocutore sanitario del singolo e all’opportunità di evitare accessi ingiustificati al pronto soccorso di ospedali pubblici, che diverrebbero fonte di possibile contagio.

Vi è, poi, un cenno in merito alla possibilità di potere operare in smart working, evitando assembramenti di lavoratori con distanze insufficienti tra l’uno e l’altro e facendo riferimento alle misure igieniche (dispositivi di protezione individuale – Dpi – e pulizia degli ambienti) da adottare nel caso in cui il lavoro insieme non è evitabile.

Lavoratori "fragili" e Coronavirus: le misure igienico-sanitarie

Le misure igienico-sanitarie sono state descritte in dettaglio nell’allegato 1 del D.P.C.M. 8 marzo 2020, nel «Protocollo di sicurezza dei lavoratori» del 14 marzo 2020, nel nuovo «Protocollo» del 24 aprile 2020 e nella informativa per imprese redatta dalla Ats Milano Città Metropolitana del marzo 2020 (quest’ultima per le imprese operanti nel relativo territorio) in relazione ai lavoratori "fragili" il primo protocollo, integrato dal secondo, prevede che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire soltanto qualora siano assicurati ai lavoratori adeguati livelli di protezione e che il mancato adeguamento determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza. Le aziende devono fornire un’informazione adeguata sulla base delle mansioni e dei contesti lavorativi, con particolare riferimento alle misure adottate cui il personale deve attenersi, in particolare sul corretto utilizzo di Dpi idonei, in relazione ai rischi valutati e alla mappatura delle diverse attività dell’azienda (vedere quanto sopra in merito alle mascherine FFP2 per i soggetti "fragili").

Lo smart working, in particolar modo per i lavoratori "fragili"- come sottolineato anche dalla circolare del ministero della Salute n. 14915 del 29 aprile 2020, continua a essere favorito pure nella fase di progressiva riattivazione del lavoro, ferma la necessità che il datore di lavoro – in collaborazione con il medico competente - garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività, assistenza nell’uso delle apparecchiature, strumenti e contenuti informativi/formativi per i lavoratori, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause anche nell’ottica di contribuire a evitare l’isolamento sociale a garanzia di un complessivo benessere psico-fisico.

L’articolazione del lavoro nella sede dell’impresa potrà essere ridefinita con orari differenziati che favoriscano il distanziamento sociale riducendo il numero di presenze in contemporanea nel luogo di lavoro con flessibilità di orari.

Le agevolazioni a favore dei lavoratori in condizione di grave handicap e "fragili", in termini di organizzazione del lavoro sono descritte nel box 2.

Il nuovo «Protocollo» riporta altre indicazioni sull’organizzazione del lavoro: «distanziamento sociale» (anche attraverso la rimodulazione degli spazi di lavoro), soluzioni innovative (quali il riposizionamento delle postazioni di lavoro adeguatamente distanziate), evitamento delle aggregazioni sociali anche in relazione agli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro e rientrare a casa, con particolare riferimento all’utilizzo del trasporto pubblico. Per quest'ultimo aspetto sarebbe opportuno lo studio di piani di mobilità sostenibile volti anche al contenimento del traffico urbano ed extra-urbano e dell’inquinamento atmosferico che contribuisce all’insorgenza di patologie respiratorie.

Aspetti cruciali del nuovo «Protocollo » , recepito nel D.P.C.M. 26 aprile 2020, allegato 6, sono quelli correlati al rispetto della assicurazione di adeguati livelli di protezione per i lavoratori, ciò presuppone un alto senso di responsabilità da parte dei datori di lavoro e di tutte le figure della prevenzione in gioco (dirigenti, preposti, responsabile servizio protezione prevenzione, medico competente, lavoratori stessi e rappresentanze sindacali). In questa ottica si può pensare – ai fini dell’igiene e sicurezza del lavoro – a una maggiore collaborazione tra mondo delle imprese e servizi di vigilanza delle Asl (Ats in Lombardia), questi ultimi da supportare con maggiori risorse.

In merito ai lavoratori "fragili" (a rischio elevato) il punto b) dell’allegato 1 al D.P.C.M. 8 marzo 2020 recita: «evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute» ; è necessario pertanto verificare che nessun collega di lavoro del soggetto "fragile" abbia in corso un’infezione respiratoria acuta».

Lavoratori "fragili" e Coronavirus: le condizioni del soggetto

Il D.P.C.M. 8 marzo 2020 art.3, comma 1 b) e la circolare Inps 716 25 febbraio 2020 consigliano che, qualora il lavoratore si trovi in malattia, quest'ultimo prenda contatti con il proprio medico curante per concordare un congruo periodo di malattia in relazione alla patologia presentata, specie se respiratoria.

L'Inps chiede ai medici di medicina generale e ai «medici certificatori di malattia» di ritenere, in situazione di emergenza da Covid-19, i pazienti con patologia cronica e/o immunodepressi, ma asintomatici come soggetti a maggior rischio di contrarre infezione. Il lavoratore "fragile’ si deve rivolgere al proprio medico curante per la prescrizione della malattia (codice INPS V07.0 «necessità di isolamento, altri rischi potenziali di malattie e altre cure profilattiche»). Se il medico curante non prescrive il congedo, il lavoratore deve contattare il medico competente aziendale e dargli il consenso per le azioni successive, quindi:

se il medico competente è a conoscenza della patologia di "fragilità" deve raccomandare al datore di lavoro l’adozione delle misure idonee,
b) qualora il medico competente non sia a conoscenza della patologia deve invitare il lavoratore a rivolgersi nuovamente al medico curante per ottenere un certificato attestante la condizione oppure richiedere al lavoratore di trasmettere la documentazione clinica comprovante la "fragilità" per poi procedere a informare il datore di lavoro e adottare le misure idonee al caso. Oltre al suddetto codice, andrà specificata nella diagnosi la patologia cronica associata o la causa di immunodepressione e va indicato chiaramente se si tratta di quarantena, isolamento fiduciario, febbre con sospetto di Coronavirus, o in alternativa va apposto il codice V29.0 corrispondente alle dette situazioni.

Nonostante l’apparente linearità di quanto sopra descritto, non esiste spesso un raccordo e un’intesa tra medici curanti e medici competenti aziendali. I primi, ai quali va senz'altro riconosciuto il merito di avere agito in prima linea e molto spesso senza il necessario supporto del servizio sanitario regionale, dovrebbero essere le figure che prendono in carico i soggetti "fragili" con gli interventi clinici più opportuni e che redigono le certificazioni a favore dei lavoratori da esibire al medico competente (professionista che deve essere sempre più gestionale e non un clinico specialista). Non è chiaro, poi, il riferimento a quelli che vengono definiti «medici certificatori» . Problematico e critico si è rivelato, inoltre, il ricorso al codice Inps V07.0. Il suo utilizzo è stato avviato dall'Inps di Parma ma non è accettato dall'Inps di Milano; la cosa lascia alquanto perplessi in merito all’Istituto previdenziale che dovrebbe essere unico a livello nazionale e rimanda alle difficoltà dei medici curanti, dei medici del lavoro e dei datori di lavoro con sedi operative in due Regioni diverse, situazione inaccettabile.

Le problematiche amministrative correlate alla gestione della "quarantena", i benefici per i lavoratori con «malattia da grave patologia» e il «congedo per cure dei lavoratori con disabilità (fragili)» sono descritti nei box 3, 4 e 5.

Lavoratori "fragili" e Coronavirus: il ruolo del medico competente

Il nuovo «Protocollo» prevede che il medico competente applichi le indicazioni delle autorità sanitarie e che, in considerazione del suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglia sanitaria, suggerisca l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori (ad esempio, i tamponi). Alla ripresa delle attività, è opportuno che questa figura sia coinvolta attivamente per le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di "fragilità" e per il reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa infezione da Covid-19.

Il «Protocollo» e il «Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione» (Inail, aprile 2020) raccomandano che la sorveglianza sanitaria «ponga particolare attenzione ai soggetti "fragili" anche in relazione all’età» . Inoltre, per il reintegro progressivo dei lavoratori dopo l’infezione da Covid-19, «il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal Dipartimento di Prevenzione territoriale di competenza, effettua la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute sia di durata >60 giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione (D.Lgs 81/2008, art. 41, comma 2 lett. e-ter)) - anche per valutare profili specifici di rischiosità – sia indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia» .

Per i lavoratori delle aree più colpite sono opportune «misure aggiuntive specifiche, a partire dal tampone, per le quali il datore di lavoro fornirà la massima collaborazione» . Per tutti gli altri lavoratori sarà «il medico competente a poter suggerire l'adozione di eventuali mezzi diagnostici ritenuti utili al contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori, all'interno delle indicazioni delle autorità sanitarie».

Problematica aperta in tutto il territorio nazionale è quella del rapporto tra medici competenti e organi di vigilanza delle Asl (Ats in Lombardia). I servizi di medicina del lavoro non si muovono in modo univoco e in alcuni casi agiscono con iniziative, pure pregevoli, ma diverse tra provincia e provincia. Non è, poi, definito in modo univoco a quali strutture spetta effettuare i tamponi, ospedali pubblici attrezzati ad hoc e/o strutture sanitarie private accreditate, a quali costi per i lavoratori e per le imprese, (le variazioni sono notevoli e non si è pensato, solo ad esempio, a instaurare un regime di convenzione tra azienda ed ente pubblico di riferimento territoriale per avere prezzi calmierati e risposte affidabili e in tempi ragionevoli ).

La circolare n. 14915 prevede che, nel rispetto dell’autonomia organizzativa di ciascun datore di lavoro e delle norme sulla privacy, il lavoratore dia comunicazione al datore di lavoro, direttamente o tramite il medico competente, della variazione del proprio stato di salute legato all’infezione da Sars-Cov 2 quale contatto con caso sospetto, inizio quarantena o isolamento domiciliare fiduciario e/o riscontro di positività al tampone. In merito al rientro del lavoratore dopo un periodo di malattia e con le criticità appena espresse (vedere il box 6).

A proposito del ruolo del medico competente, la circolare del ministero della Salute n. 14915 conferma che - ancor di più in questo momento particolare – questa figura ha e deve avere un ruolo (auspicabile) di “consulente globale” e in merito al suo ruolo nei confronti dei soggetti "fragili", il documento tecnico dell'Inail (sopra citato) afferma - al capitolo «Sorveglianza sanitaria e tutela dei lavoratori fragili» - il «ruolo cardine» del medico competente nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, in particolare attraverso la collaborazione alla valutazione dei rischi e alla effettuazione della sorveglianza sanitaria (con il relativo giudizio di compatibilità tra stato di salute del lavoratore e mansione affidata o altra da reperire in alternativa, in caso di limitazioni e prescrizioni). Si concorda senz'altro sulla seconda attività mentre sulla prima, e in generale, sul ruolo del medico competente in azienda sembra che l’Istituto non prenda in considerazione il fatto che questa figura spesso (anche in emergenza Covid) non è coinvolta nella gestione aziendale del rischio e delle relative misure.

La circolare n. 14915 enfatizza la messa in atto di misure organizzative e logistiche con particolare riferimento alle condizioni di fragilità; se queste non sono possibili, il datore di lavoro fornisce al medico competente informazioni in merito a quanto già pianificato, anche al fine di agevolare, ad esempio, l’individuazione di eventuali prescrizioni/limitazioni da poter introdurre nel giudizio di idoneità in occasione della sorveglianza sanitaria. In proposito, sarebbe opportuno che questa collaborazione fosse possibile anche al di fuori della sorveglianza sanitaria in relazione alla conoscenza dei casi specifici a conoscenza del medico e/o indicati dal datore di lavoro.

Inoltre, l’azione del medico competente, in un corretto sistema a rete, dovrebbe seguire e non precedere quella del medico di medicina generale nell’identificazione dei soggetti suscettibili; il primo è centrale nel momento successivo della gestione del reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa infezione da Sars-Cov-2.

Nelle situazioni in cui non è presente, il documento raccomanda la nomina di un medico competente ad hoc, cosa non semplice da attuare e da sottoporre a verifica, oppure il ricorso - per il periodo emergenziale - anche a medici delle strutture territoriali pubbliche (ad es. servizi prevenzionali territoriali, Inail ecc.) che possono effettuare le visite, magari anche a richiesta del lavoratore; è da chiedersi in proposito se le aziende e i lavoratori saranno messi a conoscenza e con quali modalità di questa possibilità e perplessità insorgono circa la conoscenza delle specifiche realtà aziendali che possono acquisire delle figure attivate con queste modalità e con funzioni prioritarie di controllo.

In riferimento alla maggiore "fragilità" delle fasce di età più elevate della popolazione nonché in presenza di alcune tipologie di malattie cronico-degenerative che in caso di comorbilità con l’infezione possono influenzare negativamente la severità e l’esito della patologia, il documento introduce la possibilità di una «sorveglianza sanitaria eccezionale» (concetto rafforzato dalla circolare 14915); questa verrebbe effettuata sui lavoratori con età >55 anni (non si comprende la definizione di questo limite) o su lavoratori al di sotto di questa età, ma che ritengano di rientrare, per condizioni patologiche, in questa condizione anche attraverso una visita a richiesta. La circolare n. 14915 prevede, poi, che «i lavoratori vanno comunque - attraverso adeguata informativa - sensibilizzati a rappresentare al medico competente l’eventuale sussistenza di patologie (a solo titolo esemplificativo, malattie cardiovascolari, respiratorie, metaboliche), attraverso la richiesta di visita medica di cui all’art. 41 comma 1 lett. c. (c.d. visita a richiesta del lavoratore), corredata da documentazione medica relativa alla patologia diagnosticata, a supporto della valutazione del medico competente» .

Pur apprezzando l’importanza di questo approccio alla “fragilità”, rimarcherei sia la necessità di un maggiore e sistemico raccordo tra ministero della Salute e Inail sia il fatto che ancora una volta l’Istituto sembra reperire una soluzione che sovraccarica il medico competente e non stimola la creazione di una rete con la medicina di base territoriale, senza una visione sistemica della realtà sanitaria ed evidenziando uno scollamento anche a livello centrale tra la sua impostazione, quella dell'Inps e quella del ministero della Salute. Le certificazioni di malattia non correlata all’attività lavorativa spettano ai medici curanti.

In assenza di copertura immunitaria adeguata (utilizzando test sierologici di accertata validità non ancora applicati) sulle spalle del medico del lavoro viene poi scaricata anche l’espressione del giudizio di «inidoneità temporanea» o limitazioni dell’idoneità per un periodo adeguato a favore del lavoratore per un rischio che - a eccezione del settore sanitario e pochi altri - è da giudicare senz'altro "estrinseco", estraneo all’attività dell’impresa. Una volta accertata l’infezione con gli opportuni criteri (epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale), questa può essere considerata un "infortunio sul lavoro" e l’indennizzo spetterebbe all'Inail e il periodo di assenza dal lavoro dovrebbe essere, di conseguenza, coperto da questo istituto e non dall'Inps.

Lavoratori "fragili" e Coronavirus: l'infezione in itinere

Una fattispecie particolare, infine, è costituita dalla possibilità che l’infezione sia stata causata da contatti con altri soggetti in itinere o anche con colleghi di lavoro. La circolare Inail n. 13 del 3 aprile 2020 («Sospensione dei termini di prescrizione e decadenza per il conseguimento delle prestazioni Inail. Tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da Coronavirus - Sars- Cov-2 - in occasione di lavoro. D.L. 17 marzo 2020, n. 18 «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”. Art. 34, commi 1 e 2; art. 42 commi 1 e 2, all'art. 34, commi 1 e 2») prevede, infatti, che sono tutelati da parte dell’Istituto i casi di contagio da Coronavirus avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che si configurano come infortuni in itinere. Per questa ragione si considera «necessitato l’uso del mezzo privato da parte dei lavoratori che devono operare in presenza, in deroga alla normativa vigente e fino al termine dell’emergenza epidemiologica» in relazione al fatto che il rischio di contagio è molto più probabile a bordo di mezzi pubblici affollati».

Box 1

LAVORATORI “FRAGILI” E CORONAVIRUS: LE CLASSI DI PAZIENTI

a) sottoposti a trapianto di organo solido o a trapianto di cellule staminali emopoietiche (Tcse);

b) con immunodeficienza primitiva (compresi immunodeficienza comune variabile);

c) con infezione connatale o acquisita da Hiv;

d) che per qualsiasi condizione (ad esempio, patologie autoimmuni o, più in generale, immunomediate) stiano assumendo cronicamente trattamenti immunosoppressivi (ad esempio, farmaci inibitori della calcineurina, micofenolato, azatioprina, ciclofosfamide, methotrexate, steroidi a dose ≥1 mg/Kg, modificatori della risposta biologica – ad esempio anticorpi monoclonali inducenti alterazioni di numero e funzione delle cellule dell’immunità innata o adattiva).
(Circolare ministero della Salute n. 7942 – 27 marzo 2020)

Box 2

LAVORATORI “FRAGILI” E CORONAVIRUS: LA AGEVOLAZIONI PER DISABILI

Il decreto-legge n.18 del 17.3.2020 all’art.39 prevede misure straordinarie in materia di lavoro agile e di esenzione dal servizio con la previsione che «fino alla data del 30 aprile 2020 (e fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica – vedere il nuovo «Protocollo» 24 aprile 2020), i lavoratori con grave handicap (…) hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile (artt.18>23 legge 22 maggio 2017, n. 81) a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione; inoltre, ai Lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile (artt.18>23, legge 22 maggio 2017 n. 81).

«Agevolazioni per lavoratori disabili in condizione di grave handicap» (art. 3 comma 3, legge 104/1992)

Box 3

LAVORATORI “FRAGILI” E CORONAVIRUS: LA QUARANTENA

Il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva (art. 1, comma 2 h, i del decreto-legge 23 febbraio 2020 n. 6) dai lavoratori del settore privato è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto (periodo di assenze per malattia oltre il quale non si ha più diritto alla conservazione del posto di lavoro e si può essere licenziati per eccesso di malattia).

Fino al 30 aprile (e fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica, Nda) ai lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità nelle condizioni di grave handicap (art.3 c3 L.104/92) e ai lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali – attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita (art.3, comma 1, legge 104/1992) – il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie è equiparato al ricovero ospedaliero (ex art.19, comma 1, decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9).

Per la quarantena con sorveglianza attiva e/o la permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva il medico curante del soggetto redige il certificato di malattia con gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena con sorveglianza attiva o alla permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva (ex art. 1, comma 2 h, i, decreto-legge 23 febbraio 2020, n.6).

(Decreto-legge 23 febbraio 2020 n. 6 e decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9)

Box 4

LAVORATORI “FRAGILI” E CORONAVIRUS: IL REQUISITO PER IL BENEFICIO DA “MALATTIA PER GRAVE PATOLOGIA”

Requisiti per il beneficio da “malattia per grave patologia”che richiedono terapie salvavita e altre assimilabili.

Esistenza di una patologia cronica grave (non permanentemente incompatibile con il mantenimento del rapporto di lavoro nelle mansioni di competenza).

Necessità – in conseguenza della patologia – di effettuazione di terapie salvavita o assimilabili (terapie indispensabili per il mantenimento in vita del soggetto o per il suo prolungamento, di per sé produttive – per effetti immediati o conseguenti – di incapacità temporanea alla prestazione lavorativa).

Il riconoscimento della “grave patologia”,nei diversi contratti collettivi nazionali di lavoro, comporta – già da prima dell’attuale periodo di emergenza Coronavirus, lo scorporo, dal complessivo periodo di comporto, dei periodi di assenza dovuti a: giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital necessari alla effettuazione delle terapie salvavita; giorni di assenza dovuti alle citate terapie, nel senso dei soli giorni di assenza correlati agli effetti collaterali diretti delle terapie stesse, con esclusione, invece, di assenze correlate alle manifestazioni cliniche della patologia di base o a generica ‘convalescenza’; sono, inoltre, escluse le assenze dovute ad altre patologie intercorrenti.

Contratti collettivi nazionali settori pubblici e privati

Box 5

LAVORATORI “FRAGILI” E CORONAVIRUS: CONGEDI PER CURE DEI LAVORATORI CON DISABILITÀ

I lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa >50% possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni; il congedo è accordato dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale o appartenente a una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all’infermità invalidante riconosciuta; durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l’avvenuta sottoposizione alle cure. Nel caso di un lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione della sua assenza può essere prodotta anche una attestazione cumulativa.

Il riconoscimento del congedo per cure dei lavoratori con disabilità comporta lo scorporo, dal complessivo periodo di comporto, dei periodi di assenza dovuti a: giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital necessari alla effettuazione di percorsi terapeutici; giorni di assenza dovuti alle terapie, nel senso dei soli giorni di assenza correlati agli effetti collaterali diretti delle terapie stesse, con esclusione, invece, di assenze correlate alle manifestazioni cliniche della patologia di base o a generica convalescenza; sono inoltre escluse le assenze dovute ad altre patologie intercorrenti. Si devono intendere come ricompresi nel beneficio contrattuale anche i giorni utilizzati per l’effettuazione delle terapie in ambiente extra-ospedaliero, ad esempio a domicilio. Nei giorni di assenza di congedo per cure, il lavoratore ha diritto all’intera retribuzione prevista contrattualmente. Inoltre, la disciplina contrattuale prevede che il datore di lavoro, “per agevolare il soddisfacimento di particolari esigenze collegate a terapie o visite specialistiche” favorisca un’idonea articolazione dell’orario di lavoro nei confronti dei soggetti interessati.

Il lavoratore in congedo per cure, con necessità di terapie non domiciliari, non è tenuto – nei giorni di assenza dovuti alle dette terapie – all’osservanza delle fasce orarie di reperibilità.
(Art.7, D.Lgs.119 del 18 luglio 2011)

Box 6

LAVORATORI “FRAGILI” E CORONAVIRUS: IL RIENTRO DOPO LA MALATTIA

a) dopo 60 giorni continuativi di malattia : visita medica da parte del medico competente aziendale per accertare il suo stato di salute e la compatibilità di questo con la mansione svolta.

b) dopo meno di 60 giorni continuativi di malattia : richiesta scritta di visita medica al medico competente aziendale per ragioni di salute correlate al lavoro (art.4 1 comma 2 c) D.Lgs n. .81/2008).

Lavoratori “fragili” e Coronavirus: un caso particolare

Il lavoratore positivo che viene ricoverato in ospedale, quando viene dimesso riceve indicazioni dall’ospedale di mantenere l’isolamento domiciliare (quarantena) e di non rientrare al lavoro fino a quando il controllo del tampone non risulta negativo.

Il lavoratore considerato contatto stretto che termina il periodo di quarantena senza sintomi può essere riammesso al lavoro senza ulteriori controlli.

Il soggetto – che ha manifestato sintomi ma che non ha effettuato il primo tampone per impossibilità a recarsi in ospedale per condizioni cliniche o altra motivazione – effettua comunque un tampone di controllo prima del rientro:

a) esito positivo :

– prosegue isolamento domiciliare

– ripete tampone ogni 7 giorni fino a negativizzazione

(confermata da 2 tamponi negativi a distanza di 24 ore)
b) esito negativo :

– ripete tampone dopo 24 h

– se confermato negativo rientro in servizio
L’autorizzazione al rientro viene fornita nel caso specifico dal medico competente utilizzando apposita modulistica rilasciata al dipendente.
Fonte: fondazione Irccs «Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano» – «Infezione da Covid-2019: indicazioni per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori»

 

 

(Lavoratori "fragili" e Coronavirus)

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