Reati ambientali e sequestro impianti: cambia la disciplina

Con la conversione del D.L. n. 2/2023 tramite la legge n. 17/2023 entrano definitivamente in vigore novità su due temi di forte interesse: i sequestri preventivi nei confronti delle imprese condannate e aventi a oggetto stabilimenti o parti di essi; le esenzioni dalle sanzioni (cosiddetto “scudo penale”), con significative differenze rispetto al precedente D.L. n. 2/2023. Coinvolta anche la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti amministrativi

(Reati ambientali e sequestro impianti: cambia la disciplina)

Sulla Gazzetta Ufficiale del 6 marzo 2023, n. 55 è stata pubblicata la legge 3 marzo 2023, n. 17, di conversione (con modificazioni) del D.L. 5 gennaio 2023, n. 2, recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale.

Prima di trattare degli aspetti più salienti delle novità previste dal decreto, è opportuno ricordare che gli “impianti” presi in considerazione dal predetto sono quelli individuati con decreto del presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 1, D.L. 207/2012, che possiedono caratteristiche dimensionali e produttive tali da essere ritenuti meritevoli di una disciplina ad hoc. Conseguentemente, il decreto-legge consente la prosecuzione dell’attività produttiva di siffatti impianti, qualora questi siano interessati da criticità di varia natura, tramite provvedimento del ministro dell’Ambiente adottato in sede di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale.

La norma manifesta la chiara finalità di bilanciare la tutela di due beni costituzionali storicamente in conflitto: la salvaguardia dell’ambiente e della salute a cui si contrappone la tutela dei livelli occupazionali.

In particolare, nello scorrere il testo del decreto, si incontrano i primi articoli dedicati alle misure di rafforzamento patrimoniale volte ad assicurare la continuità produttiva dell’impianto di Taranto (art. 1), alla gestione della procedura speciale di ammissione immediata all’amministrazione straordinaria per le imprese che gestiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale in crisi (art. 2), ai compensi spettanti ai commissari straordinari e giudiziari (artt. 3 e 4), nonché alla disciplina del comitato di sorveglianza (art. 4-bis).

Proseguendo poi nella lettura della norma si rinvengono gli articoli che innovano la materia del diritto penale ambientale; il decreto, infatti:

  • da un lato, muta la disciplina del sequestro preventivo;
  • dall’altro, disegna un nuovo scudo penale.

 

La disciplina dei sequestri preventivi

Quanto al tema dei sequestri, il legislatore introduce due nuovi commi all’articolo 104 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – dedicato all’amministrazione dei beni sottoposti a sequestro e confisca – che specificano quali siano gli effetti del provvedimento di sequestro avente a oggetto stabilimenti industriali, o parti di essi, dichiarati di interesse strategico nazionale (ai sensi del citato art. 1, D.L. n. 207/2012).

In particolare, il neo-introdotto comma 1-bis.1 prevede che, qualora il sequestro abbia ad oggetto i menzionati stabilimenti, il giudice disponga la prosecuzione dell’attività produttiva, nominando un amministratore giudiziario; la norma precisa che, se le imprese interessate dal procedimento penale e dalla misura ablativa sono già state ammesse all’amministrazione straordinaria, la prosecuzione delle attività è affidata al commissario già nominato nella procedura.

La continuità produttiva può essere subordinata, laddove ritenuto necessario, ad alcune prescrizioni dettate, a tutela sia dell’ambiente sia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, dal giudice procedente che deve tener conto di quanto disposto dall’Aia e dal provvedimento di riesame dell’autorizzazione.

La prosecuzione dell’attività non è, invece, consentita quando possa comportare «un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione».

E diversamente non potrebbe essere.

Difatti, l’intento perseguito dal legislatore, come emerge dalla relazione illustrativa che ha accompagnato il disegno di legge di conversione, è proprio quello di ricercare un bilanciamento tra, da una parte, le esigenze di approvvigionamento di beni e servizi vitali per il funzionamento dell’Italia, e, dall’altra, la tutela dei beni giuridici lesi dagli illeciti contestati e accertati in sede cautelare. Intento che si inserisce, evidentemente, nel solco tracciato dalla Corte costituzionale, chiamata a confrontarsi, in due diverse occasioni, con i precedenti decreti “salva Ilva”.

Con la sentenza 85/2013, difatti, il Giudice delle leggi ha affermato che non è astrattamente precluso al legislatore di salvaguardare la continuità occupazione ed economica degli stabilimenti di interesse strategico nazionale. Peraltro, già ormai dieci anni fa, la Corte ha specificato che i sequestri dell’autorità giudiziaria non devono necessariamente paralizzare in toto la prosecuzione dell’attività di impresa, a condizione che vengano ragionevolmente bilanciate, da un lato, le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità dei lavoratori e, dall’altro, la continuità occupazionale ed economica.

Principio ribadito con l’altra pronuncia, la n. 58/2018. In questo secondo caso, il percorso motivazione seguito dalla Corte costituzionale, seppur con le medesime premesse, giunge però alla declaratoria di illegittimità parziale del decreto “Salva Ilva”, ritenendo che le prescrizioni imposte alla Società non fossero idonee a tutelare il diritto alla salute e alla vita, nonché il diritto al lavoro in un ambiente sicuro e non pericoloso.

Nel D.L. 5 gennaio 2023, n. 2, come convertito, l’importanza dei ricordati beni costituzionali salta all’occhio nel leggere del diretto interessamento della presidenza del Consiglio dei ministri, del ministero delle Imprese e del made in Italy e del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, nel caso di imposizione di misure ablative.

Questi organi dell’esecutivo, difatti, sono destinatari del provvedimento del giudice di cui al comma 1-bis.1, anche se impeditivo della prosecuzione delle attività; inoltre, i predetti sono stati inseriti nel novero dei legittimati a impugnare il provvedimento del giudice, che ha escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva ovvero l’ha negata in sede di revoca, modifica o in sede di “rivalutazione” del sequestro, termine questo utilizzato dal legislatore, pur se totalmente estraneo al codice di procedura penale.

I ministeri e la presidenza del Consiglio, inoltre, nonché il pubblico ministero, l’imputato, il suo difensore e coloro che hanno titolo per la restituzione possono impugnare il provvedimento proponendo appello, ai sensi dell’art. 322-bis codice di procedura penale, mentre l’autorità competente è individuata, in deroga rispetto alla previsione codicistica, nel tribunale di Roma, in composizione collegiale, al fine di mantenere una certa unitarietà nell’applicazione della disciplina a livello nazionale e di garantire la specializzazione nella gestione di situazione così delicate e complesse.

Reati ambientali e sequestro impianti

 

Novità per il D.Lgs. n. 231/2001

Il D.L. n. 2/2023 reca, poi, una disciplina innovativa anche in materia di responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, di cui al D.Lgs. n. 231/2001. In particolare, sono circoscritti i casi e gli effetti del sequestro preventivo, nonché delle sanzioni interdittive e delle misure cautelari, al fine di limitare l’applicazione alle imprese di interesse strategico nazionale di misure che impediscano la prosecuzione delle loro attività, nonostante la contestazione dell’illecito “231”.

 

Lo scudo penale

Come anticipato, le novità non si fermano alla disciplina dei sequestri, ma si estendono al riconoscimento di una nuova esimente, appellata dalla stampa come “scudo penale”.

Invero, a mente dell’art. 7, D.L. n. 2/2023, i soggetti che agiscono per dare esecuzione ai provvedimenti che autorizzano la prosecuzione dell’attività produttiva degli stabilimenti industriali - o parti di esso - dichiarati di interesse strategico nazionale, non sono punibili per i fatti che derivano dal rispetto delle prescrizioni ivi indicati, se agiscono in conformità al dettato delle prescrizioni stesse.

A ben vedere, il legislatore sembra introdurre una presunzione di diligenza a favore di coloro che si attengono ai provvedimenti che autorizzano la continuità d’impresa; presunzione che potrebbe essere ancorata a due elementi tratti dal codice penale.

L’esistenza di un provvedimento amministrativo, infatti, parrebbe imporre al destinatario di adempiere a quanto ivi indicato, così potendo avvalersi lo stesso della scriminante dell’adempimento di un dovere, ai sensi dell’art. 51, codice penale.

Ma, ancor prima, la questione potrebbe porsi sul piano della colpevolezza, nella specie della colpa specifica. Le prescrizioni dell’autorizzazione amministrativa, difatti, costituiscono regole cautelari ritenute idonee alla protezione dei beni giuridici in gioco, secondo la valutazione operata da un’autorità terza. Pertanto, non sembrerebbe poter essere mosso alcun addebito a titolo di colpa in capo a colui che si sia attenuto a regole cautelari che, soltanto in un secondo momento, si siano rivelate inidonee a tutelare i beni giuridici in gioco.

In altre parole, la criticità si riscontrerebbe non nella condotta dell’agente, bensì nell’inadeguatezza della prescrizione che gli è stata impartita.

Ovviamente, collocando l’esimente sul piano della colpevolezza, questa non potrebbe estendersi a fatti che derivano dalla violazione di regole cautelari ulteriori rispetto a quanto preso in considerazione dal provvedimento amministrativo. Si pensi, ad esempio, al caso in cui l’autorizzazione non prescriva alcunché circa la scelta e l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e, a causa di una scorretta gestione degli stessi, il lavoratore sia esposto ad agenti che comportino l’insorgenza di una malattia.

Accogliendo questa seconda lettura dell’articolo 7, si sarebbe, quindi, di fronte non a una causa di non punibilità o a una scriminante speciale, bensì a una clausola di esclusione della punibilità a titolo di colpa, situazione che comporterebbe l’assoluzione con formula liberatoria.

 

Le differenze con la precedente disciplina

Per concludere, occorre menzionare l’articolo 8, D.L. n. 2/2023, che, regolando la disciplina transitoria, dispone che, per il periodo di vigenza del piano ambientale approvato con il D.P.C.M .14 marzo 2014, continua ad applicarsi il cosiddetto “vecchio scudo penale”, previsto dal D.L. 4 luglio 2015, n. 92.

La norma offre lo spunto per tracciare le differenze tra il nuovo e il vecchio scudo (vedere la tabella 1).

Innanzitutto, la precedente esimente richiedeva espressamente l’esistenza del piano ambientale, riferito esclusivamente all’ex-Ilva, a differenza della disposizione ora in commento, che ritiene sufficiente l’esistenza di un generico provvedimento che autorizzi la prosecuzione dell’attività dell’impianto (incluso il provvedimento di cui al medesimo D.L. 2/2023).

Ancora, la neo-introdotta esimente sembra essere limitata alla sola responsabilità penale dell’agente e non anche alla responsabilità amministrativa, come, invece, espressamente previsto per la vecchia esimente. Tuttavia, la nuova norma estende la protezione a ogni fattispecie penale, mentre la precedente circoscriveva il suo ambito di applicazione ai soli illeciti ambientali.

Ancora, il nuovo scudo estende il novero dei soggetti beneficiari a “chiunque”, a differenza del vecchio che riservava la previsione al solo Commissario straordinario, all’affittuario o acquirente e ai soggetti da questi delegati.

Infine, il D.L. 2/2023 non fissa un termine ultimo di vigenza dell’esimente, a differenza della limitazione temporale prevista per il vecchio scudo.

Tabella 1
Vecchia e nuova esimente: le differenze
  D.L. n. 92/2015 D.L. n. 2/2023
Piano ambientale Ne richiedeva espressamente l’esistenza È sufficiente un generico provvedimento che autorizzi la prosecuzione dell’attività dell’impianto
Responsabilità Estesa alla responsabilità amministrativa e quella penale dell’agente (ma solo per i reati ambientali) Limitata alla sola responsabilità penale dell’agente (ma per ogni fattispecie penale)
Soggetti beneficiari Riguardava Commissario straordinario, affittuario o acquirente e soggetti da questi delegati Esteso a “chiunque”
Limite temporale di vigenza Prevista Non prevista

 

Conclusioni

Non resta, quindi, che attendere le prime applicazioni pratiche del D.L. 2/2023 come convertito in legge, per comprendere come - e se - verrà operato il richiesto bilanciamento tra il diritto all’ambiente e alla salute, anche e soprattutto dei lavoratori, e l’interesse alla continuità occupazionale e produttiva nazionale.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome