Rifiuti con codici a specchio: la sentenza della Corte europea sulla classificazione

Rifiuti con codici a specchio classificazione
Secondo la Corte i detentori di rifiuti non sono obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame

Chiarimenti dalla Corte di Giustizia delle comunità europee sulla classificazione dei rifiuti con codici a specchio e il cosiddetto principio di precauzione. In particolare, con la decisione 28 marzo 2019, in cause riunite da C-487/17 a C-489/17, il tribunale ha stabilito che:

  • l’allegato III della direttiva 2008/98 nonché l’allegato della decisione 2000/532 devono essere interpretati nel senso che il detentore di un rifiuto che possa essere classificato con codici speculari, ma la cui composizione non sia immediatamente nota, deve, ai fini della classificazione, determinare questa composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi. A questo fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal regolamento n. 440/2008 o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale;
  • tuttavia, il legislatore dell’Unione, nel settore specifico della gestione dei rifiuti, ha inteso operare un bilanciamento tra, da un lato, il principio di precauzione e, dall’altro, la fattibilità tecnica e la praticabilità economica, in modo che i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ma possano limitarsi a ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti in tale rifiuto e valutare le sue caratteristiche di pericolo sulla base di calcoli o mediante prove in relazione a tali sostanze;
  • di conseguenza, una misura di tutela come la classificazione di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari in quanto rifiuto pericoloso è necessaria qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di tale rifiuto si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare la caratteristica di pericolo che detto rifiuto presenta;
  • per quanto sopra, il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso.

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Di seguito il testo della sentenza della Corte di Giustizia europea 28 marzo 2019.

 

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Sentenza della Corte (decima sezione) 28 marzo 2019 nelle cause riunite da C-487/17 a C-489/17
 

«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Direttiva 2008/98/CE e decisione 2000/532/CE – Rifiuti – Classificazione come rifiuti pericolosi – Rifiuti ai quali possono essere assegnati codici corrispondenti a rifiuti pericolosi e a rifiuti non pericolosi»

LA CORTE (Decima Sezione),

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 novembre 2018,ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, e dell’allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU 2008, L 312, pag. 3), come modificata dal regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014 (GU 2014, L 365, pag. 89, e rettifica in GU 2017, L 42, pag. 43) (in prosieguo: la «direttiva 2008/98»), nonché dell’allegato, rubrica intitolata «Valutazione e classificazione», punto 2, della decisione 2000/532/CE della Commissione, del 3 maggio 2000, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi (GU 2000, L 226, pag. 3), come modificata dalla decisione 2014/955/UE della Commissione, del 18 dicembre 2014 (GU 2014, L 370, pag. 44) (in prosieguo: la «decisione 2000/532»).

2 Tali domande sono state proposte nell’ambito dei procedimenti penali pendenti a carico di Alfonso Verlezza, Riccardo Traversa, Irene Cocco, Francesco Rando, Carmelina Scaglione, Francesco Rizzi, Antonio Giuliano, Enrico Giuliano, della Refecta Srl, della E. Giovi Srl, della Vetreco Srl, della SE.IN Srl (causa C-487/17), di Carmelina Scaglione (causa C-488/17) e della MAD Srl (causa C-489/17) per reati riguardanti, in particolare, un traffico illecito di rifiuti.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3 La direttiva 2008/98 prevede, al suo considerando 14, quanto segue:

«La classificazione dei rifiuti come pericolosi dovrebbe essere basata, tra l’altro, sulla normativa comunitaria relativa alle sostanze chimiche, in particolare per quanto concerne la classificazione dei

preparati come pericolosi, inclusi i valori limite di concentrazione usati a tal fine. I rifiuti pericolosi dovrebbero essere regolamentati con specifiche rigorose, al fine di impedire o limitare, per quanto possibile, le potenziali conseguenze negative sull’ambiente e sulla salute umana di una gestione inadeguata. È inoltre necessario mantenere il sistema con cui i rifiuti e i rifiuti pericolosi sono stati classificati in conformità dell’elenco di tipi di rifiuti stabilito da ultimo dalla decisione 2000/532 (...) al fine di favorire una classificazione armonizzata dei rifiuti e di garantire una determinazione armonizzata dei rifiuti pericolosi all’interno della Comunità».
4 L’articolo 3 della direttiva 2008/98 fornisce, in particolare, le seguenti definizioni:

«1) “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi;
2)  “rifiuto pericoloso” rifiuto che presenta una o più caratteristiche pericolose di cui all’allegato  III;
(...)
6) “detentore di rifiuti” il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso;

7) “commerciante” qualsiasi impresa che agisce in qualità di committente al fine di acquistare e successivamente vendere rifiuti, compresi i commercianti che non prendono materialmente possesso dei rifiuti;

8) “intermediario” qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di altri, compresi gli intermediari che non prendono materialmente possesso dei rifiuti;

9) “gestione dei rifiuti” la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento nonché le operazioni effettuate in qualità di commercianti o intermediari;

10) “raccolta” il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento;

(...)».
5 L’articolo 4, paragrafo 2, terzo comma, di tale direttiva così dispone:

«Conformemente agli articoli 1 e 13, gli Stati membri tengono conto dei principi generali in materia di protezione dell’ambiente [,] di precauzione e sostenibilità, della fattibilità tecnica e praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali».
6 L’articolo 7 della citata direttiva, intitolato «Elenco dei rifiuti», prevede quanto segue:

«1. Le misure intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, relative all’aggiornamento dell’elenco dei rifiuti istituito dalla decisione 2000/532/CE, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 39, paragrafo 2. L’elenco dei rifiuti include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L’inclusione di una sostanza o di un oggetto nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi. Una sostanza o un oggetto è considerato un rifiuto solo se rientra nella definizione di cui all’articolo 3, punto 1.
2. Uno Stato membro può considerare come pericolosi i rifiuti che, pur non figurando come tali nell’elenco dei rifiuti, presentano una o più caratteristiche fra quelle elencate nell’allegato III. Lo Stato membro notifica senza indugio tali casi alla Commissione. Esso li iscrive nella relazione di cui all’articolo 37, paragrafo 1, fornendole tutte le informazioni pertinenti. Alla luce delle notifiche ricevute, l’elenco è riesaminato per deciderne l’eventuale adeguamento.

3. Uno Stato membro può considerare come non pericoloso uno specifico rifiuto che nell’elenco è indicato come pericoloso se dispone di prove che dimostrano che esso non possiede nessuna delle caratteristiche elencate nell’allegato III. Lo Stato membro notifica senza indugio tali casi alla
Commissione fornendole tutte le prove necessarie. Alla luce delle notifiche ricevute, l’elenco è riesaminato per deciderne l’eventuale adeguamento.
4. La declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non può essere ottenuta attraverso una diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso di un rifiuto.

(...)
6.  Gli Stati membri possono considerare un rifiuto come non pericoloso in base all’elenco di rifiuti di cui al paragrafo 1.
(...)».
7 L’allegato III della direttiva 2008/98 contiene l’elenco delle diverse caratteristiche di pericolo per i rifiuti. Per quanto riguarda i «metodi di prova», detto allegato prevede quanto segue:

«I metodi da utilizzare sono descritti nel regolamento (CE) n. 440/2008 della Commissione [, del 30 maggio 2008, che istituisce dei metodi di prova ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) (GU 2008, L 142, pag. 1),] e in altre pertinenti note del [Comitato europeo di normazione (CEN)] oppure in altri metodi di prova e linee guida riconosciuti a livello internazionale».
8 Ai sensi dell’allegato, rubrica intitolata «Valutazione e classificazione», della decisione 2000/532:

«1. Valutazione delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti
Nel valutare le caratteristiche di pericolo dei rifiuti, si applicano i criteri di cui all’allegato III della direttiva 2008/98/CE. Per le caratteristiche di pericolo HP 4, HP 6 e HP 8, ai fini della valutazione si applicano i valori soglia per le singole sostanze come indicato nell’allegato III della direttiva 2008/98/CE. Quando una sostanza è presente nei rifiuti in quantità inferiori al suo valore soglia, non viene presa in considerazione per il calcolo di una determinata soglia. Laddove una caratteristica di pericolo di un rifiuto è stata valutata sia mediante una prova che utilizzando le concentrazioni di sostanze pericolose come indicato nell’allegato III della direttiva 2008/98/CE, prevalgono i risultati della prova.
2. Classificazione di un rifiuto come pericoloso
I rifiuti contrassegnati da un asterisco (*) nell’elenco di rifiuti sono considerati rifiuti pericolosi ai sensi della direttiva [2008/98], a meno che non si applichi l’articolo 20 di detta direttiva.
Ai rifiuti cui potrebbero essere assegnati codici di rifiuti pericolosi e non pericolosi, si applicano le seguenti disposizioni:
– L’iscrizione di una voce nell’elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a “sostanze pericolose”, è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più delle caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 8 e/o da HP 10 a HP 15 di cui all’allegato III della direttiva [2008/98]. La valutazione della caratteristica di pericolo HP 9 «infettivo» deve essere effettuata conformemente alla legislazione pertinente o ai documenti di riferimento negli Stati membri.

– Una caratteristica di pericolo può essere valutata utilizzando la concentrazione di sostanze nei rifiuti, come specificato nell’allegato III della direttiva [2008/98] o, se non diversamente specificato nel regolamento (CE) n. 1272/2008, eseguendo una prova conformemente al [regolamento n. 440/2008] o altri metodi di prova e linee guida riconosciuti a livello internazionale, tenendo conto dell’articolo 7 del regolamento (CE) n. 1272/2008 per quanto riguarda la sperimentazione animale e umana.

(...)».

9 Il regolamento n. 1357/2014 prevede, al suo considerando 2:

«La direttiva 2008/98/CE stabilisce che la classificazione dei rifiuti come pericolosi debba essere basata, tra l’altro, sulla normativa dell’Unione relativa alle sostanze chimiche, in particolare per quanto concerne la classificazione dei preparati come pericolosi, inclusi i valori limite di concentrazione usati a tal fine. È inoltre necessario mantenere il sistema con cui sono stati classificati i rifiuti e i rifiuti pericolosi in conformità dell’elenco dei tipi di rifiuti stabilito da ultimo dalla decisione 2000/532 (...), al fine di favorire una classificazione armonizzata dei rifiuti e garantire una determinazione armonizzata dei rifiuti pericolosi all’interno dell’Unione».

Diritto italiano

10 In base a quanto indicato dal giudice del rinvio, le disposizioni fondamentali in materia di rifiuti sono attualmente contenute nel decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152 (supplemento ordinario alla GURI n. 88, del 14 aprile 2006; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 152/2006»). In particolare, l’articolo 184 di tale decreto disciplina la classificazione dei rifiuti, distinguendo, in base alla loro origine, i rifiuti urbani e i rifiuti speciali, che possono, a loro volta, essere distinti, in base alle caratteristiche di pericolo, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi. Tale articolo 184 è stato oggetto di varie modifiche.

11 Originariamente, detto articolo prevedeva, al suo comma 4, l’istituzione, mediante l’adozione di un decreto interministeriale, di un elenco di rifiuti conformemente a diverse disposizioni del diritto dell’Unione, in particolare alla decisione 2000/532, precisando che, sino all’emanazione di tale decreto, avrebbero continuato ad applicarsi le disposizioni previste da una direttiva del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio del 9 aprile 2002, direttiva che figura all’allegato D del decreto legislativo n. 152/2006. Inoltre, il medesimo articolo qualificava come pericolosi i rifiuti non domestici espressamente specificati come tali mediante un apposito asterisco nell’elenco di cui a tale allegato D.

12 La legge dell’11 agosto 2014, n. 116 (supplemento ordinario alla GURI n. 192, del 20 agosto 2014; in prosieguo: la «legge n. 116/2014»), che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge del 24 giugno 2014 n. 91, ha modificato la parte premessa all’allegato D del decreto legislativo
n. 152/2006 introducendo le disposizioni seguenti:
«1.  La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente  codice CER [Catalogo europeo dei rifiuti], applicando le disposizioni contenute nella decisione [2000/532].
2. Se un rifiuto è classificato con codice CER pericoloso “assoluto”, esso è pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione. Le proprietà di pericolo, definite da H1 ad H15, possedute dal rifiuto, devono essere determinate al fine di procedere alla sua gestione.

3. Se un rifiuto è classificato con codice CER non pericoloso “assoluto”, esso è non pericoloso senza ulteriore specificazione.

4. Se un rifiuto è classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso, per stabilire se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede. Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti: a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l’analisi del rifiuto; b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso: la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi; le fonti informative europee ed internazionali; la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto; c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.

5. Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione.
6. Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso.

7. La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione».

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

13 Le domande di pronuncia pregiudiziale sono state presentate nell’ambito di tre cause relative a procedimenti penali avviati nei confronti di una trentina di imputati accusati di delitti connessi al trattamento di rifiuti pericolosi.

14 Dalle ordinanze di rinvio risulta che detti imputati, nelle loro rispettive qualità di gestori di discariche, di società di raccolta e di produzione di rifiuti nonché di società incaricate di effettuare le analisi chimiche dei rifiuti, sono sospettati di aver realizzato, in violazione dell’articolo 260 del decreto legislativo n. 152/2006, un traffico illecito di rifiuti. È contestato loro, in relazione a rifiuti ai quali potevano essere assegnati sia codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi (in prosieguo: «codici speculari»), di aver trattato tali rifiuti come non pericolosi. In base ad analisi chimiche non esaustive e parziali, essi avrebbero attribuito a detti rifiuti codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi e li avrebbero, poi, trattati in discariche per rifiuti non pericolosi.

15 In tali circostanze, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma (Italia) ha adottato diversi provvedimenti di sequestro riguardanti le discariche in cui i rifiuti in esame erano stati trattati nonché i capitali appartenenti ai proprietari di tali discariche e ha nominato, in detto contesto, un commissario giudiziale incaricato della gestione di tali discariche e dei siti di raccolta e di produzione di rifiuti per un periodo di sei mesi.

16 Il Tribunale di Roma, investito di diversi ricorsi proposti dagli imputati contro detti provvedimenti, con tre ordinanze distinte ha annullato i medesimi provvedimenti.

17 Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma (Italia) ha proposto tre ricorsi contro dette ordinanze dinanzi alla Corte suprema di cassazione (Italia).

18 Secondo tale Corte, i procedimenti principali riguardano la determinazione dei criteri da applicare nella valutazione delle caratteristiche di pericolo presentate da rifiuti ai quali possono essere assegnati codici speculari. A tale riguardo, detta Corte precisa che la determinazione dei criteri in parola costituisce una questione che ha interessato la giurisprudenza e la dottrina nazionali nel corso degli ultimi dieci anni e che, quanto all’interpretazione da dare alle disposizioni pertinenti di diritto nazionale e di diritto dell’Unione, sono state adottate due soluzioni differenti.

19 Così, da un lato, secondo la tesi cosiddetta della «certezza» o della «pericolosità presunta» che sarebbe ispirata al principio di precauzione, in presenza di rifiuti ai quali possono essere assegnati codici speculari, il loro detentore è tenuto a rovesciare una presunzione di pericolosità di tali rifiuti, ed è pertanto obbligato a effettuare analisi dirette a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nei rifiuti in esame.

20 Dall’altro lato, conformemente alla tesi cosiddetta della «probabilità», ispirata al principio dello sviluppo sostenibile e fondata sulla versione in lingua italiana dell’allegato, rubrica intitolata
«Valutazione e classificazione», punto 2, della decisione 2000/532, il detentore di rifiuti ai quali possono essere assegnati codici speculari disporrebbe di un margine di discrezionalità nel procedere al previo accertamento della pericolosità dei rifiuti in questione tramite analisi appropriate. Il detentore di detti rifiuti potrebbe così limitare le proprie analisi alle sostanze che, con un livello di probabilità elevato, possono essere contenute nei prodotti alla base del processo di produzione del rifiuto in esame.
21 In tali circostanze, la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, che sono formulate in termini identici nelle cause da C-487/17 a C-489/17:
«1) Se l’allegato alla decisione [2000/532 e l’allegato III della direttiva 2008/98] vadano o meno interpretati, con riferimento alla classificazione dei rifiuti con voci speculari, nel senso che il produttore del rifiuto, quando non ne è nota la composizione, debba procedere alla previa caratterizzazione ed in quali eventuali limiti.
2) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba essere fatta in base a metodiche uniformi predeterminate.

3) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba basarsi su una verifica accurata e rappresentativa che tenga conto della composizione del rifiuto, se già nota o individuata in fase di caratterizzazione, o se invece la ricerca delle sostanze pericolose possa essere effettuata secondo criteri probabilistici considerando quelle che potrebbero essere ragionevolmente presenti nel rifiuto.

4) Se, nel dubbio o nell’impossibilità di provvedere con certezza all’individuazione della presenza o meno delle sostanze pericolose nel rifiuto, questo debba o meno essere comunque classificato e trattato come rifiuto pericoloso in applicazione del principio di precauzione».

22 Con decisione del presidente della Corte del 7 settembre 2017, le cause da C-487/17 a C-489/17 sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento nonché della sentenza.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla ricevibilità

23 Il sig. Rando, la Vetreco e il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte suprema di cassazione (Italia) ritengono che le domande di pronuncia pregiudiziale siano irricevibili e debbano, pertanto, essere respinte.

24 Secondo il sig. Rando, le questioni pregiudiziali sono prive di rilevanza poiché si fondano sull’applicazione della legge n. 116/2014. Orbene, quest’ultima costituirebbe una «regola tecnica» che avrebbe dovuto essere notificata previamente alla Commissione. Poiché tale notifica non è avvenuta, detta legge non potrebbe applicarsi ai singoli.

25 La Vetreco sostiene che le questioni pregiudiziali non sono indispensabili per la risoluzione delle controversie principali poiché la giurisprudenza italiana ha definito i criteri conformemente ai quali occorre classificare i rifiuti che possono rientrare in codici speculari. Il giudice del rinvio dovrebbe quindi limitarsi a valutare i fatti e ad applicare la propria giurisprudenza, senza che sia a tal fine necessario interpellare la Corte.

26 Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte suprema di cassazione afferma, innanzitutto, che le questioni sollevate non individuano con precisione le disposizioni di diritto dell’Unione di cui si chiede l’interpretazione, giacché solo nella prima di dette questioni appare un riferimento, generico, alla decisione 2000/532 e alla direttiva 2008/98. Inoltre, tali questioni non soddisferebbero i requisiti dell’autosufficienza, non essendo in sé comprensibili . Infine, le ordinanze di rinvio non conterrebbero alcuna spiegazione riguardo all’illecita classificazione asseritamente commessa negli anni dal 2013 al 2015, e il giudice del rinvio non avrebbe spiegato il collegamento logico e argomentativo tra, da un lato, l’unico dubbio interpretativo enunciato nelle motivazioni di tali decisioni, concernente i termini «opportuna» e «pertinenti» di cui all’allegato, rubrica intitolata
«Valutazione e classificazione», punto 2, della decisione 2000/532, e, dall’altro, le questioni pregiudiziali che riguardano elementi non affrontati in tali motivazioni.
27 A tale riguardo, si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il procedimento di cui all’articolo 267 TFUE è uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali. Ne deriva che spetta solo ai giudici nazionali cui è stata sottoposta la controversia e a cui incombe la responsabilità dell’emananda decisione giudiziaria valutare, tenendo conto delle specificità di ogni causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale all’emanazione della loro sentenza sia la rilevanza delle questioni che essi sottopongono alla Corte (v., in particolare, sentenze del 17 luglio 1997, Leur- Bloem, C-28/95, EU:C:1997:369, punto 24, nonché del 7 luglio 2011, Agafiţei e a., C-310/10, EU:C:2011:467, punto 25).
28 Di conseguenza, allorché le questioni sollevate dai giudici nazionali riguardano l’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, la Corte, in linea di principio, è tenuta a statuire (v., in particolare, sentenze del 17 luglio 1997, Leur-Bloem, C-28/95, EU:C:1997:369, punto 25, nonché del 7 luglio 2011, Agafiţei e a., C-310/10, EU:C:2011:467, punto 26).

29 Tuttavia, la Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale quando risulta manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale, quando il problema è di natura ipotetica o quando la Corte non dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenze dell’11 luglio 2006, Chacón Navas, C-13/05, EU:C:2006:456, punto 33; del 7 luglio 2011, Agafiţei e a., C-310/10, EU:C:2011:467, punto 27, nonché del 2 marzo 2017, Pérez Retamero, C-97/16, EU:C:2017:158, punto 22).

30 Nella specie, occorre innanzitutto constatare che, sebbene la descrizione del contesto fattuale e normativo contenuta nelle domande di pronuncia pregiudiziale sia succinta, tale descrizione risponde comunque ai requisiti dell’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte e, pertanto, consente a quest’ultima di comprendere tanto i fatti quanto il contesto giuridico nel quale le controversie principali sono intervenute.

31 Si deve poi aggiungere che, come risulta dai punti da 18 a 20 della presente sentenza, il giudice del rinvio ha spiegato le ragioni che l’hanno indotto a chiedere l’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione che sono oggetto delle questioni pregiudiziali.

32 Infine, occorre ricordare che, secondo l’articolo 10 della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU 1998, L 204, pag. 37), come modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 luglio 1998 (GU 1998, L 217, pag. 18), gli Stati membri non sono soggetti né all’obbligo di notificare alla Commissione il progetto di regola tecnica né a quello di informarla quando adempiono i loro obblighi derivanti da direttive dell’Unione.

33 Nella specie, è pacifico che, adottando le disposizioni della legge n. 116/2014, la Repubblica italiana ha adempiuto obblighi derivanti da direttive in materia di classificazione dei rifiuti, in particolare dalla direttiva 2008/98. Pertanto, ammettendo che la legge n. 116/2014 rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 98/34, l’assenza di notifica di tali disposizioni da parte di detto Stato membro non costituirebbe un vizio procedurale sostanziale tale da comportare l’inapplicabilità ai singoli delle regole tecniche di cui trattasi. Detta assenza non inficia la loro opponibilità ai singoli e non ha quindi, in quanto tale, alcuna incidenza sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali.

34 Alla luce di tali considerazioni, occorre constatare che le domande di pronuncia pregiudiziale contengono gli elementi di fatto e di diritto necessari per consentire alla Corte di fornire una risposta utile al giudice del rinvio.

35 Di conseguenza, le domande di pronuncia pregiudiziale sono ricevibili.

Nel merito

Sulle prime tre questioni
36 Con le sue prime tre questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’allegato III della direttiva 2008/98 nonché l’allegato della decisione 2000/532 debbano essere interpretati nel senso che il detentore di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare se il rifiuto in questione contenga una o più sostanze pericolose onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo nonché, in caso affermativo, con quale grado di determinatezza e secondo quali metodi.

37 In limine, occorre precisare che, partendo dalla premessa che i rifiuti di cui ai procedimenti principali, che derivano dal trattamento meccanico di rifiuti urbani, sono riconducibili a codici speculari, il giudice del rinvio ha chiaramente circoscritto l’oggetto delle sue questioni pregiudiziali in maniera tale che la
Corte non è tenuta, contrariamente a quanto sostengono alcune delle parti nei procedimenti principali, a pronunciarsi sulla correttezza o meno della qualificazione effettuata dal giudice del rinvio.
38 Ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/98, costituisce un rifiuto pericoloso il «rifiuto che presenta una o più caratteristiche pericolose di cui all’allegato III» di tale direttiva. Occorre osservare, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 33 delle sue conclusioni, che tale direttiva assoggetta la gestione di rifiuti pericolosi a condizioni specifiche concernenti la loro tracciabilità, il loro imballaggio e la loro etichettatura, il divieto di miscelarli con altri rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materie, nonché il fatto che i rifiuti pericolosi possono essere trattati esclusivamente in impianti appositamente designati che abbiano ottenuto un’autorizzazione speciale.

39 Come risulta dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/98, al fine di determinare se un rifiuto rientri nell’elenco di rifiuti stabilito dalla decisione 2000/532, che è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi, occorre tener conto dell’«origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose», poiché questi ultimi consentono di verificare se un rifiuto presenti una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III di tale direttiva.

40 Pertanto, qualora la composizione di un rifiuto cui potrebbero essere attribuiti codici speculari non sia immediatamente nota, spetta al suo detentore, in quanto responsabile della sua gestione, raccogliere le informazioni idonee a consentirgli di acquisire una conoscenza sufficiente di detta composizione e, in tal modo, di attribuire a tale rifiuto il codice appropriato.

41 Infatti, in mancanza di tali informazioni, il detentore di un siffatto rifiuto rischia di venir meno ai suoi obblighi in quanto responsabile della sua gestione, qualora successivamente risulti che tale rifiuto è stato trattato come rifiuto non pericoloso, malgrado presentasse una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98.

42 Occorre osservare che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni, esistono diversi metodi per raccogliere le informazioni necessarie relative alla composizione dei rifiuti, che consentono pertanto di individuare l’eventuale presenza di sostanze pericolose nonché di una o di più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98.

43 Oltre ai metodi indicati alla rubrica intitolata «Metodi di prova» di cui a detto allegato III, il detentore dei rifiuti può, in particolare, riferirsi:

– alle informazioni sul processo chimico o sul processo di fabbricazione che «generano rifiuti» nonché sulle relative sostanze in ingresso e intermedie, inclusi i pareri di esperti;

– alle informazioni fornite dal produttore originario della sostanza o dell’oggetto prima che questi diventassero rifiuti, ad esempio schede di dati di sicurezza, etichette del prodotto o schede di prodotto;

– alle banche dati sulle analisi dei rifiuti disponibili a livello di Stati membri; e

– al campionamento e all’analisi chimica dei rifiuti.

44 Per quanto riguarda il campionamento e l’analisi chimica, occorre precisare, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 69 delle sue conclusioni, che tali metodi devono offrire garanzie di efficacia e di rappresentatività.

45 Si deve osservare che l’analisi chimica di un rifiuto deve, certamente, consentire al suo detentore di acquisire una conoscenza sufficiente della composizione di tale rifiuto al fine di verificare se esso presenti una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98. Tuttavia, nessuna disposizione della normativa dell’Unione in questione può essere interpretata nel senso che l’oggetto di tale analisi consista nel verificare l’assenza, nel rifiuto di cui trattasi, di qualsiasi sostanza pericolosa, cosicché il detentore del rifiuto sarebbe tenuto a rovesciare una presunzione di pericolosità di tale rifiuto.

46 Occorre infatti ricordare, da un lato, che, per quanto riguarda gli obblighi derivanti dall’articolo 4 della direttiva 2008/98, emerge chiaramente da tale articolo, paragrafo 2, che gli Stati membri
devono, nell’applicare la gerarchia dei rifiuti prevista da tale direttiva, adottare misure appropriate per incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo (sentenza del 15 ottobre 2014, Commissione/Italia, C-323/13, non pubblicata, EU:C:2014:2290, punto 36). Così facendo, detto articolo prevede che gli Stati membri tengano conto della fattibilità tecnica e della praticabilità economica, cosicché le disposizioni di detta direttiva non possono essere interpretate nel senso di imporre al detentore di un rifiuto obblighi irragionevoli, sia dal punto di vista tecnico che economico, in materia di gestione dei rifiuti. Dall’altro lato, conformemente all’allegato, rubrica intitolata «Valutazione e classificazione», punto 2, primo trattino, della decisione 2000/532, la classificazione di un rifiuto che può rientrare in codici speculari in quanto «rifiuto pericoloso» è opportuna solo quando tale rifiuto contiene sostanze pericolose che gli conferiscono una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98. Ne consegue che il detentore di un rifiuto, pur non essendo obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ha tuttavia l’obbligo di ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi, e non ha pertanto alcun margine di discrezionalità a tale riguardo.
47 Tale interpretazione, come sostenuto in udienza dalle parti nei procedimenti principali, è ormai avvalorata dalla comunicazione della Commissione del 9 aprile 2018, contenente orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti (GU 2018, C 124, pag. 1). Tuttavia, poiché tale comunicazione è successiva ai fatti di causa, la Corte, in considerazione della natura penale di tali procedimenti, ritiene che non si debba tener conto della stessa comunicazione nell’ambito delle sue risposte alle questioni pregiudiziali.

48 Peraltro, tale interpretazione è anche conforme al principio di precauzione, che è uno dei fondamenti della politica di tutela perseguita dall’Unione in campo ambientale, posto che dalla giurisprudenza della Corte risulta che una misura di tutela quale la classificazione di un rifiuto come pericoloso s’impone soltanto qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, sussistano elementi obiettivi che dimostrano che una siffatta classificazione è necessaria (v., per analogia, sentenze del 7 settembre 2004, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, C-127/02, EU:C:2004:482, punto 44, nonché del 13 settembre 2017, Fidenato e a., C-111/16, EU:C:2017:676, punto 51).

49 Allorché il detentore di un rifiuto ha raccolto le informazioni sulla composizione di tale rifiuto, è tenuto, in situazioni come quelle di cui ai procedimenti principali, a procedere alla valutazione delle caratteristiche di pericolo di detto rifiuto conformemente all’allegato, rubrica intitolata «Valutazione e classificazione», punto 1, della decisione 2000/532, al fine di poterlo classificare vuoi sulla base del calcolo delle concentrazioni delle sostanze pericolose presenti nel rifiuto stesso e in funzione dei valori soglia indicati, per ogni sostanza, all’allegato III della direttiva 2008/98, vuoi sulla base di una prova, vuoi sulla base di tali due metodi. In quest’ultimo caso, lo stesso punto 1 prevede che «prevalgono i risultati della prova».

50 Per quanto riguarda il calcolo della caratteristica di pericolo presentata da un rifiuto, risulta dall’allegato, rubrica intitolata «Valutazione e classificazione», punto 2, secondo trattino, della decisione 2000/532 che il grado di concentrazione delle sostanze pericolose contenute in tale rifiuto e che possono attribuire a quest’ultimo caratteristiche di pericolo deve essere calcolato secondo le indicazioni dell’allegato III della direttiva 2008/98. Quest’ultima, in relazione alle caratteristiche di pericolo da HP 4 a HP 14, contiene istruzioni precise riguardanti la determinazione delle concentrazioni in questione e fissa, in tabelle specifiche per le diverse caratteristiche di pericolo, i limiti di concentrazione a partire dai quali o al di sopra dei quali il rifiuto in esame deve essere classificato come pericoloso.

51 Per quanto riguarda le prove, occorre in primo luogo rilevare che la valutazione delle caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 3, come risulta dall’allegato III della direttiva 2008/98, deve essere effettuata sulla base di tale metodo ove ciò sia «opportuno e proporzionato». Ne consegue che, quando la valutazione della pericolosità di un rifiuto può essere fatta sulla base delle informazioni già ottenute in modo tale che il ricorso a una prova non sarebbe né opportuno né proporzionato, il detentore di tale rifiuto può procedere a classificarlo senza ricorrere a una prova.

52 Si deve in secondo luogo constatare che, sebbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 64 delle sue conclusioni, il legislatore dell’Unione non abbia finora armonizzato i metodi di analisi e di prova, tuttavia sia l’allegato III della direttiva 2008/98 sia la decisione 2000/532 rinviano a tale riguardo, da un lato, al regolamento n. 440/2008 e alle note pertinenti del CEN nonché, dall’altro, ai metodi di prova e alle linee guida riconosciuti a livello internazionale.
53 Tuttavia, dalla rubrica intitolata «Metodi di prova» dell’allegato III della direttiva 2008/98 risulta che tale rinvio non esclude che possano essere presi in considerazione anche metodi di prova sviluppati a livello nazionale, a condizione che siano riconosciuti a livello internazionale.

54 Alla luce di tali considerazioni, occorre rispondere alle prime tre questioni dichiarando che l’allegato III della direttiva 2008/98 nonché l’allegato della decisione 2000/532 devono essere interpretati nel senso che il detentore di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo, e a tal fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal regolamento n. 440/2008 o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale.

Sulla quarta questione
55 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio di precauzione debba essere interpretato nel senso che, in caso di dubbio riguardo alle caratteristiche di pericolo di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari, o in caso di impossibilità di determinare con certezza l’assenza di sostanze pericolose in tale rifiuto, quest’ultimo debba, in applicazione di tale principio, essere classificato come rifiuto pericoloso.

56 Al fine di rispondere a tale questione, occorre anzitutto ricordare che il principio di precauzione costituisce, secondo l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, uno dei fondamenti della politica dell’Unione in materia ambientale.

57 Si deve poi rilevare che dalla giurisprudenza della Corte risulta che un’applicazione corretta del principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l’individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per l’ambiente dei rifiuti in questione e, in secondo luogo, una valutazione complessiva del rischio per l’ambiente basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale (v., in tal senso, sentenze del 9 settembre 2003, Monsanto Agricoltura Italia e a., C-236/01, EU:C:2003:431, punto 113; del 28 gennaio 2010, Commissione/Francia, C-333/08, EU:C:2010:44, punto 92, nonché del 19 gennaio 2017, Queisser Pharma, C-282/15, EU:C:2017:26, punto 56).

58 La Corte ne ha dedotto che, ove risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura insufficiente, non concludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per l’ambiente nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive, purché esse siano non discriminatorie e oggettive (v., in tal senso, sentenza del 19 gennaio 2017, Queisser Pharma, C-282/15, EU:C:2017:26, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

59 Occorre infine constatare che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, terzo comma, della direttiva 2008/98, gli Stati membri devono tener conto non soltanto dei principi generali in materia di protezione dell’ambiente di precauzione e sostenibilità, ma anche della fattibilità tecnica e della praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali. Ne consegue che il legislatore dell’Unione, nel settore specifico della gestione dei rifiuti, ha inteso operare un bilanciamento tra, da un lato, il principio di precauzione e, dall’altro, la fattibilità tecnica e la praticabilità economica, in modo che i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ma possano limitarsi a ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti in tale rifiuto e valutare le sue caratteristiche di pericolo sulla base di calcoli o mediante prove in relazione a tali sostanze.

60 Ne consegue che una misura di tutela come la classificazione di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari in quanto rifiuto pericoloso è necessaria qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di tale rifiuto si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare la caratteristica di pericolo che detto rifiuto presenta (v., per analogia, sentenze del 7 settembre 2004, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, C-127/02, EU:C:2004:482, punto 44, nonché del 13 settembre 2017, Fidenato e a., C-111/16, EU:C:2017:676, punto 51).

61 Come sostiene la Commissione nelle sue osservazioni, una siffatta impossibilità pratica non può derivare dal comportamento del detentore stesso del rifiuto.
62 Alla luce di tali considerazioni, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso.

Sulle spese

63 Nei confronti delle parti nei procedimenti principali la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione) dichiara:

1) L’allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, come modificata dal regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014, nonché l’allegato della decisione 2000/532/CE della Commissione, del 3 maggio 2000, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi, come modificata dalla decisione 2014/955/UE della Commissione, del 18 dicembre 2014, devono essere interpretati nel senso che il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo, e a tal fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal regolamento (CE) n. 440/2008 della Commissione, del 30 maggio 2008, che istituisce dei metodi di prova ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale.
2) Il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso.

2 COMMENTI

  1. Salve,
    perdonate, ma commentando in questo modo la sentenza credo si crei confusione.
    Voi scrivete, infatti:

    “di conseguenza, una misura di tutela come la classificazione di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari in quanto rifiuto pericoloso è necessaria qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di tale rifiuto si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare la caratteristica di pericolo che detto rifiuto presenta.”

    Se ne dedurrebbe che la classificazione di uno specchio sia dovuta solo nel caso in cui il detentore sia nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutarne le HP: questo è ERRATO. Queste sono infatti le condizioni per le quali, in base al principio di precauzione, il rifiuto dovrebbe essere classificato tout court “pericoloso”.

    D’altronde, se si è nell’impossibilità pratica di effettuare analisi chimiche o prove di pericolosità, va da sé che il rifiuto non potrebbe essere classificato.

    Saluti
    MR

    • Egregio Rossi,
      La ringrazio per la segnalazione. Tuttavia, la frase da Lei citata è un’estrapolazione testuale della sentenza (punto 60) e non una nostra interpretazione. In ogni caso, a breve pubblicheremo un commento di un nostro esperto che i nostri abbonati potranno leggere sulla Banca Dati on-line, sulla rivista in formato digitale e su quella cartacea.
      Cordiali saluti,
      Dario De Andrea

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